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Una Bibbia ancora buona (?)

La nuova edizione della Bibbia edita dalle Paoline e distribuita anche da Famiglia Cristiana divide il campo delle opinioni per la campagna pubblicitaria. Diamo uno sguardo al di qua delle polemiche, e oltre.

Certo, la recente campagna pubblicitaria delle Edizioni Paoline per il lancio commerciale della Bibbia nella “nuovissima versione” (celebrativa della storica Bibbia da 1000 lire di cinquant’anni fa) pare fatta apposta per innescare un flamewar di costume e società: rapidissimamente al duro timbro del rapper che “schiaccia” i versetti dell’Esodo e del Qoélet si sono affastellate le voci scandalizzate di chi vede nello stile della pubblicità in questione un grave affronto alla santità del testo sacro e quelle di chi plaude all’“aggiornamento” in tal modo operato dall’editrice cattolica col settimanale “Famiglia Cristiana”.

Non vorremmo astenerci dal dire la nostra, se non altro per corrispondere alla provocazione della campagna in un modo che – ci auguriamo – possa essere costruttivo. I due orientamenti della critica osservano dunque, da un lato, che la tanto auspicata “aria d’aggiornamento” (che chi non ne ha mai letto una pagina fa risalire ai documenti del Concilio Vaticano II – e solo a questo) comincia a produrre i suoi frutti, e che finalmente i testi sacri cominciano a venire proposti in un modo “adatto ai giovani”; dall’altro (e omettendo i giudizi dei “cattolici integralisti”) che “la Chiesa” gioca così le sue ultime, disperate carte mediatiche, non riuscendo proprio più a raccattare altrimenti chi ancora la stia a sentire e (in fondo) chi la sovvenzioni.

Per quanto incendiate dalla polemica, le due posizioni hanno un che d’interessante che non può essere respinto aprioristicamente: anzitutto c’è da osservare che proprio perché il testo sacro cristiano è stato prodotto da una storia plurisecolare di numerosi generi letterarî e innumerevoli autori è naturale e giusto che – di epoca in epoca – vengano usati gli opportuni accorgimenti perché il testo sia reso comprensibile. Un curioso paradosso, però, va evidenziato: gli autori della pubblicità hanno scelto, per il rapper, il brano dell’Esodo in cui si racconta la rivelazione a Mosè dello Shém Adonàj (il Nome di Dio come Signore) e quello del Qoélet in cui gli accenti disperanti dell’Agiografo declamano l’invariabilità dei corsi storici e delle alternanze di bontà e cattiveria nella società e nel cuore umano. Ora, è chiaro a chiunque legga i testi sapendo e capendo ciò che dicono che la scelta di chi ha compilato quel brano ha avuto una ratio in sé decisamente felice: a fronte dell’inquieto variare degli eventi umani (variare che somiglia talvolta a un moto di rivoluzione, talaltra a un processo di putrefazione), vi sono cose che conservano un inamovibile valore nell’essere umano attraverso i secoli e i millennî; di queste cose, poi, la Bibbia si fa forziere e deposito. I commenti che però si riscontrano a seguito della sciorinatura rap di quelle parole, lasciano intendere un perfino grottesco travisamento del loro pur chiaro senso: ci vogliono certamente troppe pagine di Margherita Hack sullo stomaco per non capire che i versi del Qoélet non sono un trattato di astronomia (e che, di conseguenza, la Chiesa – che legge e pro-pone la Bibbia – non è ancora ancorata al sistema astronomico tolemaico-aristotelico, come quando questo era invece la dottrina più scientificamente plausibile); ci vuole quindi questo eccesso di pre-giudizio e diffidenza, sì, ma in tutto ciò la comunicazione rap non sembra aver prodotto quello che poteva essere ingenuamente ritenuto il suo obiettivo. Vale a dire che forse un metodo traspositivo di codici linguistici di altre ere e di altri luoghi non può essere calibrato unicamente sulle peculiarità del codice d’arrivo, ma dovrebbe esserlo anche su quelle del codice di partenza. Bicchieri d’acqua, in cui grandi operazioni imprenditoriali rischiano d’affogare miseramente.

Va soppesata poi anche l’impressione che si ha da parte opposta (e si tratta sempre e comunque di parti “distanti” dalla posizione cattolica – parti, quindi, che sarebbero le interlocutrici della stessa): sono essi che smascherano il carattere posticcio e superficiale dei “nostri” aggiornamenti – sono essi a percepire che la forma, in quell’esperimento, non aderisce al contenuto, non lo spiega, non lo supporta, ma piuttosto se ne serve “per riempirsene”. Il risultato è che si cerca la comunicazione, ma arriva la derisione; si cerca il sensazionale e si produce il patetico.

Va bene, si dirà, ma in fin dei conti una campagna pubblicitaria ha per obiettivo principale il colpire l’attenzione dell’osservatore. In effetti le dichiarazioni di Famiglia Cristiana sono state qualcosa di simile. Non si può però togliere la parola, a questo punto, a chi chiedesse (ed è stato chiesto) se c’è da aspettarsi per il futuro una serie di santini con Gesù vestito da Elvis. Ma la cosa che ci lascia davvero perplessi è un’altra, e riguarda precisamente il futuro, sebbene in un senso più largo: la pubblicità fa seguire al rude rapper una voce femminile acqua e sapone, e questa assicura all’ascoltatore che «la Bibbia ha ancora una parola per tutti». Ecco, quell’“ancora” è a nostro avviso la parola di gran lunga più infelice di tutto lo spot: la verità del Dio che si rivela all’uomo non è in alcun senso e in alcun modo inflazionabile, e se non è sempre ciò che pretende d’essere, allora semplicemente non lo è mai stata e non lo sarà mai.

Ma forse… forse “ci” stiamo proponendo in un modo accattivante e un po’ fashion ai non credenti e ai laici? Curioso che siano proprio loro ad aspettarsi da noi (e ad esigere) tutt’altro. E poi, una Bibbia che è “ancora buona”, a che serve ormai in un mondo pieno di ottima letteratura – in buona parte anche più “fresca”?

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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