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Teologia della Porzione

La rubrica più “glocale” che ci sia. Una teologia che non voli sopra le teste ma che provi a raccogliere le istanze degli uomini senza perdersi per strada: l’ambiziosa via che LaPorzione.it si propone insieme coi suoi lettori.

Capita spesso che, quando s’imboccano discussioni di teologia e le si può svolgere appena quel tanto che basta a evitare la banalizzazione delle questioni e la superficialità dei termini, gli interlocutori esclamino: «Che bello! Ma perché nessuno spiega queste cose?». Delle molte osservazioni che si potrebbero fare sull’argomento, già fin d’ora, senz’altro va messo in rilievo che non si tratta di spiegare, ma propriamente di dialogare. Senza fare del facile populismo, e senza misconoscere le credenziali di chi ha dedicato anni e magari decennî di studio ai fenomeni religiosi (nelle loro componenti storiche e in quelle più squisitamente speculative), dobbiamo però dire apertamente che non sono possibili “lezioni di teologia” che prescindano da un dialogo franco e sereno tra due o più persone.

Il verbo greco che sta alla radice della temutissima parola italiana “omelia” non vuol dire altro che “conversare”; e questo non perché tutte le parole e tutte le opinioni abbiano il medesimo valore, ma perché la teologia, nel suo senso più intimo e – diremmo – primordiale, è la conversazione eterna in cui consta il cuore di Dio. Il Dio vivente è un Dio che parla, il Dio la cui vita è un’eterna Parola. Se evitiamo d’identificare frettolosamente questa Parola con la Bibbia (e con ciò che di essa presumiamo di sapere), ci resta la possibilità di scorgere qualche linea dei profili ineffabili di quelle tre Persone divine che hanno voluto manifestarsi al mondo (che liberamente avevano creato) con-vocandolo a un dia-logo.

Ecco perché spesso le omelie sono mortalmente noiose: non di rado esse sono dei dialoghi solo fittizî, in cui l’omileta si sforza di figurarsi le domande e le proposte dell’intelocutore. Inutile dire che, malgrado i suoi sforzi, spesso essi non finiscono che in un pugno di mosche (e nel rischio che qualcuna di esse venga ingoiato da uno sbadiglio); quello che però generalmente si sottovaluta, nel fare queste considerazioni, è che l’impoverimento della relazione omiletica (la quale già di per sé ha il potere di mostrare qualcosa del divino) intiepidisce e raffredda anzitutto l’omileta.

LaPorzione.it ha scelto per sé un nome tecnico del Diritto Canonico – un nome che, lungi dall’essere conforme alla proverbiale aridità delle formule giuridiche, affonda profondissime radici proprio fin nel terreno della Rivelazione di Dio. Era necessario un concetto che sapesse dire quel modo di essere “parte di un tutto” tale che il “tutto” non sia la mera somma delle “parti” e che la “parte” non sia una semplice briciola dell’enorme “tutto”. Sembrano concetti astrusi, ma se ci si pensa permeano la nostra quotidianità fin nelle espressioni più semplici: dire di qualcuno «Lei (o “lui”) è la mia metà» significa affrontare, senza l’imbarazzo della contraddizione, l’equazione “1 = ½” – chi ama sa che in uno dei due amanti (ossia in una “parte” dell’amore) c’è già tutto dell’amore, e che senza quella “parte” non ci sarebbe niente dell’amore. Questa “parte” che rap-presenta efficacemente il “tutto” è ciò che in Teologia e in Diritto hanno voluto chiamare “porzione”. La radice suprema di questo affascinante modo d’essere è – come dicevamo – in ciò che a Dio è piaciuto mostrarci di sé: Dio è l’unità dinamica di tre distinte Persone, eppure nessuno direbbe che ciascuna di queste Persone è “un terzo di Dio”.

Allo stesso modo, quelli che bazzicano i concetti elementari del Diritto, e sanno che “porzione” è il termine tecnico con cui viene definita l’entità della “Diocesi” in rapporto alla “Chiesa”, capiscono bene il nesso analogico tra i due rapporti: anche la Diocesi, infatti, che è una porzione della Chiesa, non è tale perché di Diocesi la Chiesa è formata, ma perché nella Diocesi è rap-presentata efficacemente tutta la Chiesa – tanto che il Vescovo è in una Diocesi il rappresentante e il vicario non del Papa, ma di Cristo stesso (cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium”, nn. 21-24 – http://bit.ly/9zmJlD).

Perciò “LaPorzione.it”; perciò, pure, LaPorzione.it ha voluto proporre una rubrica specifica in cui si possa dar spazio sistematicamente al genio teologico dei cristiani. Una teologia che non voli “sopra le teste” è in un certo senso, sì, una teologia “dal basso”, ma nutriamo fiducia che questo non la condanni alla miseria: nutriamo fiducia che le vostre domande, le vostre questioni, possano suggerirci piste da aprire perché poi le battiamo insieme, nel rispetto dei passi e delle storie di ciascuno. Corriamo il “rischio” di scoprire che «tutto ciò che avreste sempre voluto sapere su Dio e non avete mai osato chiedere» dica alle nostre vite molto più di quanto avremmo mai immaginato.

Parlare di Dio è contagioso perché in un dialogo simile si sottendono necessariamente almeno due cose: che davvero noi uomini abbiamo qualcosa che ci rende tutti fratelli; che questo qualcosa è la sete di un Dio che ci ha fatti per Sé – una sete che lascia inquieto il nostro cuore finché non lo lasciamo andare alla Sorgente.

Facciamo strada, seguiamo la Via.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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6 Comments on Teologia della Porzione

  1. Manuela, le “parole di Giovanni” sono delle famosissime “parole di Agostino”, che non ho citato per non appesantire il discorso. La tua preoccupazione è chiaramente accesa dallo Spirito, e tale resta finché non si tormenta in uno scrupolo che non sa più vedere che tutti “siamo nelle mani di Dio”, sebbene questo non ci esima dal lavorare per il Regno: hai gli strumenti da lavoro in mano (conversione: preghiera, digiuno, elemosina – intimità con Cristo) e “la messe è molta”. Della salvezza poi, tua o degli altri, non ci è data certezza alcuna all’infuori di quella sulla volontà salvifica di Dio. Di quella, nell’amore che spera e crede, dobbiamo vivere.
    Sì, Giuseppe, “liberi di scegliere” – senza dubbio. Tuttavia è sfumatissimo il confine tra la nostra volontà di salvarci (che comunque è dono di Grazia) e la volontà salvifica di Dio (che è la Grazia stessa). E quando – andando a ritroso nel tuo scritto – potremo dire d’aver fatto la volontà del Padre… Gesù ci ammonisce: “dite: ‘Siamo servi inutili: abbiamo fatto quanto dovevamo fare'”. “Dovere” non sta qui per un’imposizione estrinseca – “Guai a te se non fai questo!” – ma per una necessità intrinseca – “Guai a me se non mangio, se non dormo, se non predico il Vangelo!”. Le “opere di misericordia corporale”, che tu giustamente ricordi, sono tanto importanti quanto difficili da considerare a fondo: esemplifico solo chiedendo quanto una carezza a un bimbo rom (che senz’altro è una cosa buona) ci fa compassionevoli nei suoi confronti.

    L’argomento è difficile e sarà opportuno riprenderlo più in là, come scrivevo a Simone, ma per il momento lascio la sintesi potente di sant’Alfonso, che proprio nel “Trattato della vera devozione a Maria” (V, 138) scrive, ricordando le parole di san Bernardo: “Gesù, nostro grande amico, si è dato a noi senza riserve, corpo e anima, virtù, grazie e meriti: ‘Mi ha conquistato interamente dandosi interamente a me’, dice san Bernardo; non è forse giustizia e riconoscenza che gli diamo tutto ciò che gli possiamo dare? Egli per primo è stato generoso verso di noi; siamolo per secondi, e lo sperimenteremo durante la nostra vita, alla nostra morte e per tutta l’eternità, ancora più generoso: ‘Cum liberali liberalis erit’ [trad.: ‘sarà gioiosamente generoso con chi sarà stato gioiosamente generoso’]”.

  2. Giuseppe // 4 Novembre 2010 a 11:31 //

    Mi piaccino questi pensieri dubbiosi , interrogativi , di Simone e Manuela. Se non fossimo uomini non sapremmo pensarli questi crucci che non ci fanno essere sicuri….
    Ma sicuri di cosa , poi ? Della nostra salvezza ? Ma non dobbiamo mai dimenticare una cosa : noi siamo Figli di Dio ! Questa è la nostra certezza ! E siamo chiamati Figli di Dio perchè tanto è l’ amore di Dio per i suoi Figli . Come Figli non dobbiamo fare altro che la volontà del Padre nostro che è nei cieli con tutte quelle che sono le nostre difficoltà di uomini immersi nel peccato , con tutti gli ostacoli che questo ci mette tra i nostri piedi . E’ nella quotidianità la costruzione del Regno di Dio quando sappiamo stendere la nostra mano ad un povero , quando accarezziamo un bimbo Rom buttato sulla strada , quando sappiano vestire gli ignudi , sappiamo dare da bere agli assetati, quando ci battiamo per la giustizia sociale , quando ci battiamo per la difesa della dignità delle donne . Quando allora avremo fatto una di queste cose ai più piccoli dei nostri fratelli solo allora potremo dire di aver fatto la volontà del Padre nostro …. ” e solo allora posso essere sicuro che ho fatto tutto ciò che mi fu dato di fare ” . E comunque Dio non ci ha ” dato ” un compito di ” fare ” ma ci ha resi liberi di scegliere tra la salvezza e dannazione eterna a seconda delle nostre azioni umane.

  3. Grazie!Che bella idea questo spazio! Anch’io ho un sacco di domande, ma, in verità, tutte si riassumono in una sola questione, per dirla con le parole di Giovanni “…questo qualcosa è la sete di un Dio che ci ha fatti per Sé – una sete che lascia inquieto il nostro cuore finché non lo lasciamo andare alla Sorgente…”; quanto semplice, e vero, è tutto ciò…
    Simone chiede “COME FACCIO AD ESSERE SICURO DELLA SALVEZZA?”. La mia domanda è simile, ma formulata in maniera un po’ diversa: come, cosa e quanto posso fare IO per la salvezza delle anime (vive, defunte e non nate…)? E per le conversioni? O per aiutare i miei fratelli in questo senso? … So bene quanto la nostra mamma celeste abbia a cuore le conversioni che le affidiamo, e so anche che non dobbiamo buttare ai “porci” i nostri doni e che dobbiamo scuotere la polvere dai piedi e andare avanti comunque, e che il seme gettato germoglierà o morirà a seconda del terreno in cui cade. Ma quando si tratta di familiari, amici, persone care, fratelli che abbiamo particolarmente a cuore, come, cosa e quanto possiamo ancora fare? Il mio cuore ha già una risposta (affidamento, preghiera e fiducia), ma il mio è ancora uno spirito “infante”: ci sono tante cose che non so e il mio cammino è ancora molto lungo… Certo che è sempre e solo del Signore l’ultima parola, ma come posso essere sicura che, in quanto a me, ho fatto tutto ciò che mi fu dato da fare?…

  4. Grazie amici. Rispondo solo molto sinteticamente per dire che domenica pubblicherò qualcosa che mi avete fatto venire in mente – spero che il percorso si faccia sempre più interessante, ma credo che le premesse ci siano.
    Simone, a te invece devo scrivere subito due parole, perché le domande che poni non possono essere facilmente integrate in un'”omelia” “dal basso”: ti rendi conto che poni domande già molto complesse che presuppongono l’accesso credente alla Scrittura e alcune altre disposizioni – d’altro canto è possibile che in un percorso “paziente” e lento tu possa dare e ricevere dell’altro (c’è sempre dell’Altro). Brevemente, sulle tue questioni (e restando solo su due spunti biblici): tieni a mente che la salvezza (che viene solo dalla grazia) non è infruttuosa – e qui c’è un posto per le cosiddette “opere”. Quanto alla certezza della salvezza, non voglio risponderti perentoriamente, ma magari aggiungi alla Lettera ai Romani anche il capitolo 18 di Ezechiele (specie i versetti 24-32); quando si legge Paolo è poi importante, per comprendere il clima che le sue lettere generarono nel I secolo, accostarvi le lettere di Pietro (a partire dal capitolo 3 della seconda, in cui si parla esplicitamente di Paolo). Ne riparliamo pubblicamente più in là…

  5. Buongiorno fratello, e fratelli, sono davvero felice e entusiasta dell’ apertura di questo “canale”…E’ bello vedere come la dinamica opera di Dio giunge a compimento nella “porzione ” a lui più gradita. In accordo con i principi ispiratori del progetto mi aspetto grandi “omelie” e esordisco con un quesito che da tempo catalizza i miei pensieri…Premetto che non sono cattolico…e lo dico non per dissociarmi da qualcosa ma al contrario per anticipare il mio senso di appartenenza a tutti coloro che amano il Cristo e lo hanno accolto nella loro vita. Da tempo ho nel cuore una ricerca della sua presenza speciale, e in preghiera ho chiesto al Signore di rivelarmi la santità dei Suoi desideri verso noi uomini, investigando su ciò che ridotto al minino a livello liturgico, possa compiacerLo e farLo alzare in piedi emozionato. Ho ottenuto alcune risposte, che inevitabilmente mi hanno portato ad altre domande…Di cui la più altisonante mi porta a chiedermi questo. COME FACCIO AD ESSERE SICURO DELLA SALVEZZA? In Matteo 7 da 22 a 23, ci sono uomini che hanno operato in suo nome e io credo che realmente lo abbiano fatto eppure il Signore non li conosce, cosa gli era sconosciuto di loro? Cosa li ha resi sconosciuti. Quì indubbiamente si predica una salvezza non per opere ma per grazia, ma continuo a chiedermi quale sia il miglior metro di giudizio per avere cognizione della salvezza, le ore di preghiera? La sua presenza nella mia vita? La mia percezione del suo amore? Il tempo di conoscenza?…Non saprei…Per ora sto riflettendo sui primi tre capitoli della lettera ai romani che lavorano per convincerci di peccato e della sua universalità. Aspetto con ansia i vostri pareri e vi ringrazio anticipatamente.

  6. Gabriella Di Vita // 1 Novembre 2010 a 07:09 //

    Mi piace la tua attenzione all’infinitamente grande che si nasconde dietro semplici parole. Ho sempre amato, in modo particolare, uno stralcio di Guccini (“e ci parlammo ognuno per lasciare qualcosa, per creare qualcosa, per avere qualcosa”, da “Ti ricordi quei giorni?”), perchè può essere decontestualizzato assumendo una valenza universale,che ben si conforma anche ad una Teologia della Porzione.

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