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“Hocus Pocus”

Pare che la celebre formula magica derivi da una contrazione maldestra delle parole del Canone della Messa in cui tradizionalmente si vede la “forma” della consacrazione eucaristica – “Hoc est enim corpus meum”. Quali i rischî del fascino del mistero per la nostra civiltà?

Fa notizia – il che spesso vuol dire polemica – la pubblicazione del “primo”1 volume dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI (formula neologistica progressivamente sdoganata per designare gli scritti di un Papa). Fa notizia anche perché non è l’Avvenire né l’Osservatore a dedicare una pagina intera all’evento, ma – e questo, in sé, fa già meno notizia – Il Foglio di Giuliano Ferrara: sono gli “atei devoti” a prendersi la briga di quel “politicamente scorretto” che oggi è diventato il pensiero cattolico. Sabato scorso (il 30 novembre 2010, p. V) Paolo Rodari ha dato voce a diverse personalità del mondo della cultura umanistica, provocando uno stuzzicante confronto sulle posizioni liturgiche di Benedetto XVI.

Penne “libere”, penne “non convenzionali”, penne “indipendenti” e tuttavia penne “intrigate” dal vigore riformista (che alcuni tacciano di reazionarismo) di Benedetto XVI. La forza dell’articolo – che tuttavia non costituisce un unicum (e Rodari mostra di ricordarsene bene) – sta nel riuscire a convogliare in un accordo sostanzialmente plaudente (quantunque non confessionale) le disparate ragioni espresse dagli intervistati. Così Saverio Vertone, che si definisce «completamente fuori dalla Chiesa Cattolica», spera vivacemente che la Chiesa non si “dissolva”: «Per un non credente è una sicurezza. Un porto che comunque c’è. Un attracco. In questo senso guardo con interesse l’attenzione che questo Papa sta dando alla liturgia». La sua voce riecheggia quella, ben più tragica, dell’Erode de “La testa del profeta” di Elena Bono mentre confessa la sua segreta speranza che il Battista resistesse alle sue lusinghe; Vertone però non va molto oltre l’encomio del rigore e della norma. Forse un po’ “poco”, almeno in confronto alla giusta contestualizzazione che Rodari era riuscito a porre in apertura di articolo: la pubblicazione di questo volume – “Teologia della liturgia” – «significa porre inequivocabilmente in luce il primato di Dio».

Di ben altra consapevolezza sono le parole di Silvia Ronchey, che fa un così raffinato elogio della potenza semantica della lingua latina – «una risonanza antica, ancestrale, trasmessaci forse dagli avi, forse da ricordi infantili, comunque arcana e rivelatrice» – che non pochi anche tra le file dei cattolici potrebbero grossolanamente fraintenderla e prenderla per una vecchia nostalgica. A metà tra i due si pone il «non credente ma praticante» Giorgio Montefoschi, che pare aver guadagnato la capacità di scrutare sia la pompa sia la povertà del mistero.

Queste voci possono giovarci per la considerazione di quello che avviene invece intra mœnia: sul Corriere erano pubblicate, il giorno dopo l’articolo di Rodari su Il Foglio (31 ottobre 2010, p. 15) le risposte del cardinal Martini alle lettere di alcuni lettori. Un certo Antonio Meli, da Messina, si chiede (e chiede) quanto in fondo sia importante questa storia dell’ermeneutica della continuità nell’interpretazione del Concilio Vaticano II – quasi facendola passare per una fissa intellettualistica del Santo Padre. Il porporato risponde da quel grande gesuita e cardinale che è, evocando con la delicata e mite – ma inequivocabile – immagine della crescita del corpo (già usata all’uopo da Vincenzo di Lérins) proprio l’ermeneutica della continuità di cui Benedetto XVI s’è fatto paladino fin dai primi giorni del suo pontificato.

Ora, se da un lato consideriamo che le posizioni dei cattolici (italiani almeno) si dividono tuttora, fondamentalmente, in quella dicotomia sessantottina tra “progressisti” e “conservatori” (perché l’italiano medio, che è un tiepido in molte cose, pretende di elaborare invece i suoi principî su sistema binario), d’altro canto non si può negare che extra mœnia non siano accampate fasce d’umanità bollabili con l’etichetta di “nostalgici disadattati”. I più acuti ascoltatori delle ragioni di cui il Papa si fa portavoce e difensore non sono dei talebani, e proprio questi vanno giustamente a iscriversi nel nobile solco (già ricordato) in cui si leggono i nomi di «Jeorge Luis Borges, Augusto del Noce, Julien Green, Jacques Maritain, Eugenio Montale, Cristina Campo, François Mauriac, Salvatore Quasimodo, Elémire Zolla, Andrés Segovia, Agatha Christie, Graham Greene […] fino a William Rees-Mogg».

Animi maturi e nobili, che s’identificano apertamente con la confessione cattolica o no, ma che in ogni caso sono interpellati dal suo maestoso patrimonio simbolico (che vuol dire “evocativo-magisteriale”), non possono essere squalificati con la bolla di “reazionarî”. E allora? Allora il pericolo reale che la civiltà cattolica corre in questa fase storica di assestamento fisiologico del magistero conciliare non è la scissione tra “progressisti” e “conservatori” – si sa, i sessantottini continuano a sognare che sia la loro fantasia a governare la storia – ma quella tra ciò che rischia di divenire “un culto degli intellettuali” e il “culto dei non intellettuali”. La venerazione per l’esoterico in quanto formula incomprensibile (non in quanto mistero inesauribile!) è stata però respinta dalla Chiesa Cattolica a ogni passo del suo cammino: ogni forma di elitarismo, ogni forma di gnosticismo, di intellettualismo e di sentimentalismo settarî sono stati continuamente sradicati dal Cattolicesimo – il quale curava, nel contempo, di conservare per sé quanto di buono queste aberrazioni contenevano.

Ecco perché, ci pare, la ricerca di una dialettica della continuità sia il primo traguardo da guadagnare per una rilettura serena e non ideologica dei testi del Vaticano II, i quali – ricordava giustamente il cardinal Martini – hanno contribuito sostanzialmente alla nascita di questa modernità in cui ci troviamo a esistere.

1: Primo solo in senso cronologico, visto che si tratta dell’undicesimo volume previsto nel piano dell’opera.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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