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Il crocifisso nella “grande camera”

Il valore sociale, culturale, storico, non coercitivo, del crocifisso delle dispute pubbliche

Sul discusso tema dei simboli religiosi esposti in spazi pubblici, nelle ultime settimane, è arrivata da Strasburgo una sentenza storica: la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocifisso nelle scuole.

Questa sentenza ha posto fine al “caso-crocifisso” approdato a Strasburgo nel 2006, a seguito del ricorso con cui Soile Lautsi, una cittadina italiana di origine finlandese, sosteneva che “la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane costituiva una violazione della libertà di pensiero, di coscienza e religione degli alunni e una violazione del diritto dei genitori ad educare i figli secondo coscienza e senza interferenze da parte dello Stato” (Lautsi vs. Italy, no. 30814/06). La Corte, nel 2009, aveva dato ragione in primo grado alla richiedente, scuotendo notevolmente l’opinione pubblica e determinando il Governo italiano a presentare ricorso, sostenuto da altri dieci paesi del Consiglio d’Europa e da alcune organizzazioni espressione di un vasto sentire della popolazione. La sentenza della Grande Camera, in questi giorni, ha accolto il ricorso dell’Italia e, in sostanza, ha stabilito che il crocifisso può legittimamente restare nelle scuole italiane.

Tre sono le motivazioni principali che hanno portato la Corte al suo pronunciamento. In primo luogo, la Grande Camera riconosce che, quando si tratta di valutare e deliberare in merito alle proprie tradizioni religiose in seno alle pubbliche istituzioni, ai singoli Stati spetti il “margine di apprezzamento”, cioè la precedenza, rispetto a organismi sovranazionali o internazionali. Le leggi, infatti, come dice Montesquieu nel “Lo Spirito delle Leggi”, devono essere sempre espressione dell’identità sociale, culturale e storica degli Stati che vanno a normare: «le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione e sicuramente anche dal clima». In Italia, nello specifico, lo “spirito” della nostra Costituzione, da una parte, proclama solennemente che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e nessuno può essere discriminato per le proprie convinzioni, religiose o di altra natura; dall’altra parte, però, valorizza anche il ruolo della religione e delle singole confessioni religiose, come riportato dagli articoli 7, 8, 19 e 20. La nostra Costituzione, come si evince, garantisce a tutte le confessioni religiose uguale libertà, ma riconosce al Cristianesimo un ruolo preminente nella costruzione dell’identità culturale e valoriale del nostro paese e, quindi, dei fondamenti ispiratori della stessa Costituzione.

La seconda motivazione, strettamente collegata alla prima, riconosce che tutti i simboli religiosi hanno sempre anche un valore culturale e civile ma che il crocifisso ha anche un valore identitario, perché il cristianesimo ha contribuito alla formazione della cultura e della civiltà italiana ed europea.

La terza motivazione, infine, riconosce che l’esposizione del crocifisso in luoghi pubblici non ha un valore coercitivo e, quindi, non discrimina il non credente, né limita la libertà di religione del credente in un’altra religione. Far rimuovere un simbolo religioso non è un diritto, perché non è un diritto qualsiasi desiderio di un singolo individuo, compreso eliminare qualunque cosa non gli piaccia.

La sentenza della Corte ritiene, invece, che, in uno stato laico, tutelare la libertà religiosa vuol dire consentire anche l’esposizione pubblica dei simboli religiosi, perchè non esiste l’una senza l’altra. Se cosi non fosse, in nome della libertà religiosa, si tenderebbe paradossalmente a limitare o persino negare questa libertà, relegando il fatto religioso ad un fatto meramente individuale e privato.

Credo, personalmente, che un crocifisso esposto pubblicamente, se non ha alcun valore coercitivo, neanche aggiunga molto a chi ha Dio nel cuore e cerca, piuttosto nel volto di chi incontra, un “crocifisso” per cui pregare. Ritengo, tuttavia, che all’Europa, sempre più multireligiosa e disgregata lungo la linea di frattura laicismo/religione, la sentenza della Grande Camera dia utili indicazioni su come ripensare il problema del rapporto tra libertà di religione e laicità dello Stato, tra libertà di religione e libertà dalla religione: fino a quando il principio di libertà di coscienza e di pensiero sarà confuso con un libero arbitrio illimitato e la laicità con un deteriore laicismo antireligioso, non ci sarà vera libertà e autentica democrazia, ugualmente ripartita, tanto tra credenti che tra non credenti.

Sapere che in questa Pasqua il crocifisso risorgerà anche nelle aule scolastiche, forse, non aggiunge niente alla mia fede, ma mi fa sentire orgogliosa di essere cristiana e di sapere che per la cultura europea  quell’Uomo crocifisso ha ancora un valore.

2 Comments on Il crocifisso nella “grande camera”

  1. Sull’argomento, sabato 9 aprile, alle 9.30 presso l’Aula Alessandrini del Tribunale di Pescara, l’Unione Giuristi Cattolici organizzerà un convegno “Il principio di laicità dello Stato. Commento alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla presenza del crocifisso nelle aule pubbliche”.
    Maggiori informazioni sul sito diocesano: http://www.diocesipescara.it/uffici/comunicazionisociali/il-principio-di-laicita-dello-stato

  2. Per di più c’è una faccenda che ha infiammato le politiche interne di Germania, Inghilterra e Francia (in particolare quest’ultima) per gli ultimi due mesi: cosa vogliamo, loro non hanno tanto gossip quanto “noantri”, e quindi ammazzano il tempo discutendo di politica… ognuno fa come può, no?
    La faccenda è quella che sta (in parte) alla base della questione del crocifisso: è l’interculturalismo. Dicevo “in parte”, perché è chiaro che di per sé la compresenza di molti segni culturali non è necessariamente foriera di conflitti, a meno che – ed è questo il caso – la cultura locale sia marcatamente aleatoria. In Francia partiti di destra rivendicano la stesura di un “codice di laicità” chiaramente pensato contro eccessi islamici: la notizia sta nel fatto che quello che sembrava una provocazione ha infiammato gli animi del dibattito nazionale fino a ieri, quando a Parigi c’è stato un “Colloquio sulla laicità” (quanto se ne parla da noi?).
    Vi lascio uno spezzone di un dibattito televisivo (http://www.wat.tv/video/oui-multiculturalisme-est-echec-3db8x_2exyh_.html) dalla compostezza semplicemente fantascientifica per gli standard della tv italiana: la chiarezza delle parole di Sarkozy – che parla qui e ora da Presidente e non da capo di un partito – è tanto più sorprendente, se si pensa a quanto sta invece risultando ambigua e torbida, su più fronti, la politica estera francese.

    (Per ragguagli sul colloquio, posto questa pagina di Le Monde, certo non un giornale di destra: http://www.lemonde.fr/politique/article/2011/04/05/debat-sur-la-laicite-vous-voyez-il-n-y-a-pas-eu-de-stigmatisation_1503513_823448.html)

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