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Come un poveraccio qualunque

“One of us”: Orme di cristologia nostalgica e inconsapevole in una Hit “Anni ‘90”

Non molto tempo fa un amico (“uno di voi”) mi ha detto che la sua visione “della fede” (e ora dovremmo capire meglio cosa s’intende con questa espressione) è “un po’ quella di Joan Osborne in One of us”. Quella volta tacqui, limitandomi a un generico: «Ah, sì…», perché ricordavo vagamente la canzone – che in effetti ha uno di quei sound ipnotici, orecchiabilissimi, che i tedeschi chiamano “Ohrwurm” – ma poco o niente del contenuto. Quella sera stessa la riascoltai, su YouTube (clicca link), una, due, tre volte: era veramente bella, e nella musicalità vibravano i toni del cuore degli anni Novanta – era il pop di una voce generalmente dedita al country e al blues.

La cosa che mi ha stupito è che trovavo in massima parte condivisibile anche il contenuto del testo, per cui mi si faceva sempre meno comprensibile la posizione dell’amico che mi presentava la canzone come rappresentativa della sua “visione della fede” – la quale “doveva” chiaramente essere distante dalla mia.

Il mistero ha preso a schiarirsi quando ho scoperto che, già un anno dopo l’uscita della hit che consegnava la Osborne e il suo album Relish alle luci della ribalta internazionale, mentre Prince le conferiva i toni di una ruvida ballata rock (clicca link), il nostro Eugenio Finardi realizzava e interpretava una cover: E se Dio fosse uno di noi? (clicca link). A ben vedere, il successo di questo pezzo è davvero insolito, considerando che si tratta dell’unica vera canzone di Joan Osborne internazionalmente conosciuta: dopo le cover, dal 2003 al 2005 negli USA (e dal 2006 al 2010 in Italia) è stata la sigla di Joan of Arcadia, fortunatissima serie televisiva, e nel 2010 è stata rilanciata di nuovo nella gustosa esecuzione corale dei ragazzi del Glee Club (clicca link) dell’omonima serie televisiva (GLEE). Insomma, a conti fatti sono sedici anni che questo ammaliante Ohrwurm non accenna a voler abbandonare – in una versione o nell’altra – gli altoparlanti dei nostri apparecchî stereofonici. Come mai?

Osservando le vicende della fortuna del brano ho capito meglio cosa l’amico che ha causato tutto voleva dirmi: il testo non era più quello che mi appariva all’ingenua lettura delle mie lenti naturali. Soprattutto chi conosce la mens della serie Joan of Arcadia può capire: le vicende sono tutte imperniate attorno alla figura di una giovane adolescente contemporanea che richiama vagamente alla mente Giovanna d’Arco. Niente processi, però, niente roghi: Joan richiama la grande Jeanne d’Orléans non solo per il nome, ma per il fatto che vede Dio. Sì, Dio le si manifesta, di volta in volta, di episodio in episodio, sotto le forme più disparate: una vecchia, un bambino, un uomo… In nulla la maestà divina le si mostra in modo epifanico (ma sempre e solo in una tenue diafania), e questo dà luogo a spassosi quiproquo simili a quelli (ben meno divertenti) in cui lo spettatore di A beautiful Mind ha visto brancolare il matematico John Nash (interpretato da un magnifico Russel Crowe). Tornando però a Joan, si fa più chiaro il fatto che il testo della Osborne può essere diventato un manifesto programmatico per un certo tipo di teologia (ossia di “idea di Dio”).

Fotogramma del video di "One of us": uno dei moltissimi che si lasciano scattare una foto dietro la sagoma del Dio creatore della Sistina di Michelangelo

 

Dovendo realizzare una serie destinata a un pubblico vasto almeno quanto gli Stati Uniti d’America – pubblico interculturale, multietnico e multireligioso per principio costituzionale! – gli sceneggiatori si sono dovuti attenere a un (discutibilissimo) criterio di composizione di una componente religiosa che potesse essere quanto più possibile inoffensiva per tutti. Intendiamoci, non è che il criterio di valutazione della bontà di una religione debba essere – al contrario – la sua capacità di irritare e offendere gli uomini (non sia mai!), ma ciò che risulta dall’assioma della produttrice esecutiva Barbara Hall è un bozzetto in cui i tratti più tipici del volto del Dio che si è rivelato sono limati, attenuati, quasi cancellati: 1) Dio non può intervenire in prima persona. 2) Il Bene e il Male esistono. 3) Dio non può identificare una religione come giusta o sbagliata. 4) Il compito di ogni persona è quello di seguire la propria natura. 5) Ogni persona può dire «no» a Dio, anche Joan… free will 6) Dio non è legato alla concezione umana di tempo. 7) Dio non è una persona e non possiede oggetti. 8 ) Dio parla con tutti in modi diversi. 9) Il piano che Dio ha in mente, è qualcosa che porta del bene a noi e non a lui. 10) Dio parla con Joan e con tutti gli altri perché vuole che tutti riconosciamo il legame che esiste tra tutte le cose. Ogni azione ha delle conseguenze. Fare del male a qualcuno, farà del male anche a me stesso. Bisogna imparare dai proprî errori e maturare. Dio si può ritrovare in tutte le cose. La vera natura di Dio rimane comunque sempre un mistero per tutti.

Non sarebbe tempo perso, scrivere un trattatelo su questo “decalogo teologico”: in esso si raccolgono le più comuni distorsioni introdotte nell’idea di Dio dall’assalto dei tanti vitelli d’oro della nostra epoca. Non sarebbe tempo perso, ma qui abbiamo spazio solo per una brevissima indicazione degli errori: 1) Dio è sempre liberissimo d’intervenire personalmente. 2) Il “Bene” e il “Male” (usando le maiuscole) esistono ma non sono affatto da mettere sullo stesso piano – già ci pensò una vecchia eresia a farlo. 3) Dio è uno solo, e si è rivelato nei cuori di tutti gli uomini che lo cercano, ma solo in una tradizione (quella che ha la fonte e il culmine in Gesù Cristo) ha manifestato in pienezza la propria identità. 4) Verissimo, ma “la propria natura” non va poi interpretato come “il proprio arbitrio”. 5) Nulla da dire: è vero. 6) Questo è a un tempo particolarmente vero e particolarmente falso, perché ogni rivelazione “coinvolge”, in un certo modo, la libertà di Dio – che sceglie da sempre e per sempre di comunicarsi. 7) Che non “possieda oggetti” è facile capirlo, ma se “Dio non è una persona” tutto quello che s’è detto prima e che si va a dire dopo non sta in piedi. Se, invece, “persona” sta per “persona umana” è chiaro che qui gli sceneggiatori si sono persi un pezzo. 8 ) Verissimo. Da aggiungere solo che se Dio c’è veramente, e se veramente è uno solo e non è bugiardo, non si comunica a due persone in modo contraddittorio. 9) Vero e falso: «La gloria di Dio è l’uomo vivente; la vita dell’uomo, però, è vedere Dio». 10) Il cuore di Dio resta per sempre un mistero inestinguibile, ma la ragione per cui si comunica agli uomini è più semplice e più profonda – vuole che gli uomini vivano della sua vita.

Le eresie sono una cosa quotidiana e comune come mangiare un piatto di “paglia e fieno”: le strisce di pasta sono intrecciate insieme, il colore e il sapore sono tendenzialmente amalgamati dalla salsa, alcuni però sono gialli e di pura pasta, altri sono verdi e di pasta in cui è stato aggiunto qualcosa di estraneo ai soli ingredienti della pasta.

Ora possiamo capire, leggendo finalmente il testo* (clicca link), come e perché quel mio amico ritrovasse in una composizione a me tanto gradevole cose che un minimo di senso dell’armonia dogmatica respinge con moto allergico! Le prime tre domande della Osborne sono quelle di chi sta cercando Dio e intravede con un guizzo d’intuito teologico che la presenza del Responsabile di ogni perfezione deve essere insostenibile: che cosa si potrebbe mai chiedere a Dio senza sciupare l’occasione di avere una risposta? È ben più che esprimere un banale desiderio a un qualunque genio della lampada: tutti gli uomini che dichiarano di conoscere Dio attestano concordemente che egli risponde anche quando non pare farlo – di qui il rischio di non sentire, di non capire, di non voler sentire o capire. Ed ecco l’intuizione più bella della canzone (che non a caso è nel ritornello): e se non ce ne accorgessimo proprio perché passa tra noi senza farsi notare?

Troppo facile, qui, accartocciare il testo in una lettura “orizzontale”, tutta sociale: no, la Osborne non vuole semplicemente dire che nei barboni c’è Dio (frase che spesso s’intende più in senso elementarmente morale che lasciandola aprirsi al Mistero), ma che Dio stesso patisce da parte sua l’incomunicabilità con quelli tra cui passa. Così, come un poveraccio qualunque, forestiero lontano dai suoi, cerca solo di tornarsene a casa sua – in un paradiso tutto sommato per niente appetibile, il cui intollerabile romitaggio è mitigato solo dall’eterna consuetudine di questa holy rolling stone con il proprio disabitato appartamento siderale.

Veramente un tale Dio è – come diceva Feuerbach – “immagine e somiglianza dell’uomo”, ma se questo asserto è falso (mentre è vero il contrario) nulla vieta che sia rimasto, in questo gioco di cattive riflessioni, qualcosa della verità divina. Cos’è che la vela? La paura di saperla, che traspare nella seconda strofa: «Vorresti vederlo, se vederlo significasse che devi credere in cose come il paradiso, Gesù e i santi e tutti i profeti?». Qui la struggente nostalgia che traspira nella prima parte della canzone svanisce, schiacciata dalla paurosa sfiducia di poter trovare qualcosa di vero dietro a ciò che Dio ha scelto di comunicare agli uomini (mediante gli uomini prima e infine mediante il Figlio fatto uomo). Così Dio se ne va, timoroso anche lui, desideroso solo di rintanarsi nel suo sicuro orticello: ma questo Dio, che ci muove a tanta comprensibile compassione, assomiglia troppo al versante più meschino e rattrappito di noi perché non ci venga un sospetto in merito. Chi è che farà una telefonata a questo Dio incompreso e disadattato? Chi sarà abbastanza vicino alla sua situazione da poterlo capire? «Nessuno […] tranne il Papa, forse, da Roma»: un verso misterioso – perché tirare in ballo il presunto vicario di Cristo quando finora s’è fatto di tutto per spogliare una struttura teologica di riferimento, chiaramente cristiana nell’essenza, da tutti i (compromettenti, è vero) riferimenti a Gesù Cristo? Altrimenti non si sarebbe rimasti senza una risposta alla domanda: «Se Dio avesse un volto, a che cosa assomiglierebbe?». Ah, già, ma i sacri canoni di Barbara Hall insegnano che «Dio non è una persona», e questo esclude senza possibilità d’appello non solo la Trinità (che evidentemente, anche se fosse “sola”, non sarebbe mai “su in paradiso tutta sola”) ma a maggior ragione Gesù di Nazaret!

Gesù sì che saprebbe calzare la descrizione di Dio come «uno di noi, / un poveraccio qualunque, come uno di noi; un forestiero qualunque sull’autobus, che cerca la via di casa». Di lui il Magistero conciliare ha testimoniato: «Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo» (Gaudium et spes 22). E invece – proprio per la segreta paura d’incontrarlo e di dover non “credere” ma “prendere posizione” davanti a lui e al suo “divino vagabondaggio” – Gesù rischia di passare forzosamente inosservato, come un qualunque forestiero sull’autobus, malgrado cercasse (e cerchi sempre) proprio di rendersi comprensibile, prossimo, contemporaneo.

Cosa resta? Resta la nénia malinconica della breve scala con cui si apre il ritornello: «What-if–God—was–one-of-us?». Non perde mai mordente. In nessuna versione.

 

 

 

 

* PS: Speravo di avere spazio anche per notare qualche dettaglio della versione italiana di Finardi (non una mera traduzione: evidenzia un sentire religioso sensibilmente differente). Spazio, però, non ce n’è più; scelgo comunque di lasciare il testo finardiano nella terza colonna della scheda allegata. Ciascuno potrà fare le proprie riflessioni (e scriverle, se vuole condividerle).

 

Foto: fotogrammi del video originale di One of us.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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7 Comments on Come un poveraccio qualunque

  1. Anselmo d’Aosta nel “Perchè un Dio Uomo?”, scrive così: “Non capisci che, quando sopportava con benevola pazienza, tra i ladroni, gli insulti, gli oltraggi e la morte sopravvenuti, a motivo della giustizia custodita per obbedienza, ha dato agli uomini un esempio, perchè non si allontanino dalla giustizia dovuta a Dio nonostante tuttii disagi che possono sentire? E questo esempio non l’avrebbe dato, se avesse rifiutato la morte inflitta per tale motivo, servendosi della propria potenza.[ …] Come poi sarebbe stato d’esempio a uomini deboli e mortali, insegnando a non allontanarsi dalla giustizia a motivo delle ingiurie, degli oltraggi, dei dolori e della morte, se non avessero riconosciuto che lui stesso aveva esperienza di tutte queste prove?”

    Cristo si è fatto uno di noi e noi l’abbiamo ucciso. “Se Dio fosse (è) uno di noi, un poveraccio come noi e uno solo come noi”, non gli daremmo da mangiare e bere, non gli dedicheremmo il nostro tempo e le nostre cure. E lui, a differenza di noi, non ci incolperebbe del dolore che gli procuriamo ma si preoccuperebbe degli altri poveracci come noi. E’, facendo così, che un uomo diventa Dio.

  2. Stefano Scogna // 17 Maggio 2011 a 15:48 //

    Il mio ultimo commento è stato posizionato dopo il tuo articolo. Gli ultimi saranno i primi?…

    • Questo senz’altro, ma la ragione è – temo – molto più prosaica: quando si replica a un post l’ordine generale viene sospeso e la replica “sotto-posta” al post cui ci si riferisce.

  3. Stefano Scogna // 17 Maggio 2011 a 15:01 //

    Giovanni (a.k.a. Mani di Forbice sui miei post scripta…),
    il mio “problema” è che forse ritengo Gesù essere stato proprio uno di noi (beh, uno di noi si fa per dire, con tutta la grandezza che contraddistingue i più grandi in assoluto) e non una Persona della stessa sostanza del Padre. Se scrivi: “Non si tratta di pure congetture, di pura fenomenologia della nostalgia umana del Totalmente Altro. Si tratta della concretissima possibilità che il Totalmente Altro sia stato (e sia) “one of us”” rimandi il tutto alla possibilità (seppur concretissima, cosa però non ben definibile visto che siamo nel campo delle possibilità), non alla deflagrante ed inequivocabile certezza… La tua fede è poetica sia nella comune accezione del termine (perché è un amore vissuto con tutto te stesso) sia nell’accezione etimologica perché ti porta a produrre scritti di valore (non tagliarmi) sui quali mi arrovellerò nel tempo libero. La mia fede è un movimento per così dire vano (vogliamo di “sisifo-so”?), che individua sì l’Ente, ma che lo scopre, malgrado tutti gli sforzi per coglierne l’amore e la poesia oltre la meraviglia dell’onnipotenza, silente ed “impassibile”. Converrai che, non fosse altro che per gentilezza, uno di noi, che si trovasse nella condizione di Ente, si farebbe sentire di tanto in tanto in maniera chiara, cristallina, poetica e chi più ne più ne metta. La mia fede è una grande speranza in attesa senza congetture (per me vuote) sulla presunta volontà divina o sul “razionale” sotteso al creato.
    Un abbraccio e torna presto.

    • Convengo.
      Ho scritto di “possibilità” perché l’evidenza dell’identità divina di Gesù si disvela solo in quell’atto – ecclesiale e individuale – che lo riconosce per ciò che lui pretende di essere. Una modalità “soffice”, ma non inconsistente, che chiede il supporto dell’assenso di intelletto e volontà senza schiacciarli.
      Lungi da me il sindacare sulla fede di chiccessia, quindi anche sulla tua (tantomeno in questa sede), ma vorrei sottolineare che il tuo post pullula letteralmente di congetture e di categorie speculative (lo sai che non mi dispiacciono), fino a quando affermi di trovarle vuote. Ecco perché Gesù non si propone anzitutto come il “consubstantialis Patri”, ma come il medico di te, che sei malato, la luce di te, che sei cieco, la libertà di te, che sei prigioniero.

  4. Stefano Scogna // 16 Maggio 2011 a 23:53 //

    Giovanni,
    quando ti ho citato la canzone One of us per cercare di esplicitare la mia “visione” della “fede” non rammentavo affatto tutto il testo, piuttosto mi sembrava centrata sulla nostalgia di un amore di là da venire forse il più grande che si possa vivere da mortali (visto che per quel che mi riguarda deve rivaleggiare con Isotta…), qualora Dio/Dea avesse compiuto uno “sforzo comunicativo” più consistente, così tanto per facilitare il compito a coloro che come me nel loro piccolo e con tutta la lunga serie di limiti personali di ogni natura lo/la cercano nelle sfere più alte (tutto è relativo) della propria “anima”. Io mi limito a credere nell’esistenza di un/una Dio/Dea, causa sui, eterno/a, incomprensibile, oltremodo timido/a e taciturno/a, il Totalmente Altro che tanta nostalgia causò a Horkheimer (anch’io, sempre nel mio piccolo, ho versato qualche lacrima). In questo delirio ti copio ed incollo un breve stralcio ed aggiungo un modesto rigo: “Teologia significa qui la coscienza che il mondo è fenomeno, che non è la verità assoluta, la quale solo è la realtà ultima. La teologia è – devo esprimermi con molta cautela – la speranza che, nonostante questa ingiustizia, che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola.”. Aggiungici poi che l’essere coscienti della nostra finitudine non prova l’esistenza di Dio/Dea né che ciò che è necessario nella mente sia anche necessario nella realtà… Io credo che malgrado l’assurdo esistenziale un giorno ci sarà data l’occasione di confonderci con la sostanza dell’Uno/a. Non so quando, non so se da vivi, da morti o da altro, forse da Totalmente Altro…

    Con affetto e sterminata stima
    Stefano

    • E io che avevo provato a proteggere il tuo anonimato… 🙂
      Grazie del tuo delirio: le citazioni sono estremamente interessanti, ma ti faccio presente che manca proprio la considerazione di Gesù – quello che, riteniamo noi, è il nodo che viene sempre, prima o poi, ai pettini della teodicea. Non si tratta di pure congetture, di pura fenomenologia della nostalgia umana del Totalmente Altro. Si tratta della concretissima possibilità che il Totalmente Altro sia stato (e sia) “one of us”.

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  1. Che storia: vacanza da Dio!

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