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“Pescara dimentica tutto, spero non il Flaiano”

Edoardo Tiboni, grande esponente della cultura abruzzese e primo direttore della sede Rai regionale, parla a 360 gradi raccontando l’Ennio Flaiano “privato”, riflettendo su cultura e televisione

In attesa della serata finale, domenica 10 Luglio, che incoronerà gli artisti vincitori delle categorie cinematografia, televisione e teatro, il Premio internazionale “Ennio Flaiano”, giunto alla sua trentottesima edizione, ha già emesso il suo primo verdetto. Infatti, sono stati gli scrittori Margaret Mazzantini, con “Nessuno si salva da solo” edito da Mondadori, Aurelio Picca, con “Se la fortuna è nostra” edito da Rizzoli, e Sandro Veronesi, con “XY” edito da Fandango, a vincere il premio per la narrativa, grazie alle valutazioni della giuria presieduta da Jacqueline Risset.

Nel frattempo, in questi giorni, si susseguono le proiezioni dei tanti film in concorso, per un’edizione del premio che, anche quest’anno, promette di segnare la vita culturale di Pescara e dei pescaresi. E tutto questo, nonostante i tagli che, ormai da anni, affliggono a vario titolo il settore della cultura. Abbiamo parlato di questo e di molto altro con Edoardo Tiboni, storico patron della kermesse che ideò all’indomani della morte dell’amico Flaiano, giornalista e sceneggiatore che collaborò con registi del calibro di Monicelli e Fellini ispirando celebri pellicole come “I vitelloni” o scrivendo romanzi di grande successo come “Tempo di uccidere”, avvenuta nel 1972 a Roma.

Ennio Flaiano

Edoardo Tiboni, oggi, rappresenta uno dei massimi esponenti della cultura abruzzese. Laureatosi a Roma, Tiboni ha diretto importanti periodici e quotidiani locali e nazionali, prima di divenire il primo direttore della sede Rai per l’Abruzzo ed il Molise. A Pescara, il giornalista, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di D’Annunzio, fu il promotore della realizzazione del teatro-monumento dedicato al Vate. Inoltre, dopo aver fondato con lo stesso Flaiano la “Società del Teatro e della Musica”, ha dato vita alla rivista “Oggi e domani” che tutt’ora dirige avvalendosi delle collaborazioni delle più autorevoli firme del giornalismo e della cultura italiana e straniera. Nel 1973, ha quindi promosso il Premio Internazionale di letteratura, teatro, cinema e televisione “Ennio Flaiano”, tra le più prestigiose manifestazioni culturali italiane. Nel 1982, per meriti acquisiti, Edoardo Tiboni è stato insignito dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, dell’onoreficenza di Grand’Ufficiale al Merito della Repubblica.

 

Professor Tiboni, siamo giunti alla trentottesima edizione del Premio “Flaiano”, di cui lei è il fondatore storico. Quali sono i suoi auspici?

«Che confermi il livello delle precedenti edizioni, nonostante questi tagli dissennati fatti alla cultura negli ultimi 3 anni. Quella cultura attraverso la quale “qualcuno” ha detto che non si mangia, però si vive. Vorremmo tranquillizzare il nostro pubblico, i pescaresi, gli abruzzesi, gli italiani, che anche quest’anno ci sarà un’edizione sfolgorante, piena di proposte, iniziative e novità. Del resto, bisogna sempre rinnovarsi: rinnovarsi o perire!»

Quali saranno queste novità?

«Faremo un convegno sulla cultura italiana nel mondo, affrontando il tema della difficoltà della lingua italiana nel mondo. Ci saranno novità anche sull’ampliamento dell’attenzione al mondo della produzione televisiva, perché è diventata la prima ragione dello spettacolo, dell’intrattenimento, del coinvolgimento culturale italiano. Per cui, gli va data sempre più attenzione. E poi ricordiamoci che trent’anni fa, solo al “Flaiano” fu tenuto un convegno internazionale su Marshall McLuhan, colui che nel 1968 ideò il concetto di “villaggio globale”. Così, vogliamo continuare nel solco di questa grande tradizione, realizzando un festival non tanto per inserire qualcosa nel calendario cittadino, ma per avanzare delle proposte che siano innovative nel mondo culturale».

Anche quest’anno, come detto, ci sarà grande attenzione nei riguardi del cinema e della televisione. Verso  cosa si punta?

«Innanzi tutto ci sarà un concorso, quello dei “mai visti”, ovvero dei film importanti, girati e finanziati e mai arrivati nelle sale. Verrà dedicata loro una rassegna, venendo quindi giudicati dal pubblico. Poi ci saranno delle retrospettive (come quella sul regista Monicelli, recentemente scomparso, ndr)».

Tiboni, quali sono i volti e le emozioni che ha impresso in questi 38 anni di festival e che porterà per sempre con sé? Quali gli amici con cui ha coltivato un rapporto più intenso?

«Questo festival raccoglie nomi di prima grandezza dello scenario mondiale. Ricordo soprattutto gli amici che hanno lavorato con me dall’inizio, Carlo Bo, Leone Piccioni, Tonino Guerra, che abbiamo premiato l’anno scorso, e poi Fernando Di Giammatteo. Personalità di grande spessore come anche Giorgio Albertazzi, Alain Delon e Alberto Sordi, che ha partecipato spesso e a cui abbiamo dedicato un convegno: era un amico del Premio “Flaiano”».

Insomma, in questi 38 anni, il Premio “Flaiano” è divenuto un’istituzione?

«Mi auguro di sì perchè questa città, Pescara, è strana. È la città delle dimenticanze, qui si dimentica tutto, com’è avvenuto per la Coppa Acerbo oppure per il teatro Pomponi, buttato giù dopo  40 anni di vita quand’era ancora un “giovanotto” e, ad oggi, stiamo ancora parlando di come ricostruirlo. Non vorrei che buttassero giù anche il Premio “Flaiano”, così tanto per cambiare, anche se come non lo sappiamo».

Questo premio nacque dalla sua lungimiranza, dalla sua cultura, ma con quale intento?

«Nacque da un momento di commozione. Era morto il mio amico Flaiano con il quale, negli ultimi dieci anni, avevo vissuto un intenso sodalizio potendone apprezzare la grandezza, la qualità della sua arte, della sua intelligenza e poi lui collaborò con noi alle nostre iniziative che non erano ancora il Premio “Flaiano”. Poi, quando morì, pensai che il modo per farlo ricordare ai pescaresi, un po’ distratti anche in questo, fosse quello di mantenere alta l’attenzione istituendo un premio a lui intitolato. E così è andata avanti».

Qual è il ricordo, l’episodio più bello che ha vissuto con Ennio Flaiano?

«Con Flaiano la cosa più curiosa, ma anche triste perché Flaiano era una persona triste anche se faceva le battute, avvenne nel 1960 dopo che ebbe avuto un primo infarto. Andai a trovarlo all’albergo “Leonardo Da Vinci” di Roma dove aveva una cameretta, cercando di stare tranquillo, di recuperare. Lo trovai carponi, in un atteggiamento curioso, così gli chiesi “Cosa stai facendo?”. E lui: “Vieni ad aiutarmi, qui è un disastro: ho perso il talismano di Silvana Mangano, non lo trovo!”. Insomma, Flaiano era sotto il letto. Siamo stati lì non so quanto tempo, ma questo talismano era sparito. Alla fine lo salutai e lo vidi: era disperato. Penso ci fosse una punta di superstizione in tutto questo, visto che stava male. E poi, credo che Silvana Mangano fosse la sua donna ideale. Ricordo tutto questo con molta intensità».

Non crede che Flaiano sia stato molto sfortunato: il mondo della cultura, dell’arte l’ha ricordato troppo tardi e troppo poco per quanto, in realtà, non meriti visto il suo grande genio che l’ha portato a sceneggiare dei film capolavoro, poi fatti da altri (vedi “I vitelloni” di Fellini, ndr)?

«Vede, Flaiano viene fuori alla distanza. Oggi sono passati 40 anni dalla sua morte, eppure quest’anno, o l’anno scorso, si è parlato molto di lui. C’è sempre la citazione, come diceva Flaiano. Un conto è ricordarlo l’anno dopo la scomparsa, ma quando lo si cita alla distanza, allora vuol dire che lui è un moralista che ha lasciato il segno. E allora cominciamo a ricordare anche i classici del moralismo e questo è importante».

L’insegnamento di Flaiano potrà essere colto in futuro? Il suo stile resta una fonte d’ispirazione per è arrivato e arriverà dopo?

«Nei giorni scorsi mi è arrivata una tesi da Milano, di uno studente di lettere che ha dedicato la tesi a Flaiano. Questo è significativo, vuol dire che c’è interesse. Del resto, Flaiano ha quelle sue poche opere che hanno lasciato il segno, come “Tempo di uccidere” che più il tempo passa e più emerge come uno dei capolavori del novecento».

Abbiamo parlato della cultura che sta male. Lei è stato il primo direttore della sede Rai abruzzese: come sta la televisione?

«Sta tutta male, ultimamente abbiamo assistito tutti al flop televisivo di Sgarbi, intellettuale per antonomasia. Ha fatto un flop terribile, per dire che non ci siamo. È tutto superficiale, tutto tenuto sul niente, sul falso. Non c’è nessun approfondimento e questo è preoccupante perché oggi, al posto di affrontare i temi, cambiamo discorso».

Se oggi la richiamassero in Rai, quale sarebbe la prima cosa che farebbe?

«Non ho l’età, ma le idee non mi mancano, purtroppo o per fortuna: comunque largo ai giovani! Probabilmente recupererei certi generi abbandonati, come quello delle inchieste, e poi valorizzerei quello che si riesce ancora ad estrarre dal tessuto culturale, in questa slabbratura generale. È questo un momento di perplessità».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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