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Io sono più cattolico di te

Cattolici divisi tra “tifoserie” e “parrocchiette”.

Prendo coraggio e faccio outing: ho un’identità cattolica sospetta.

Periodicamente si verificano degli episodi, riguardo ai quali molti cattolici si schierano in maniera categorica, sempre “pro” o “contro”. Sicuramente è un bene difendere le proprie idee con forza, ad extra, quando è una necessità – ad esempio – saper fronteggiare gli attacchi della “casta laicista e anticlericale” che non dà tregua; tuttavia, in questo modo polarizzato di schierarsi, ravviso dei pericoli, ad intra, per i cattolici stessi: una propensione alla polemica infinita, all’aggressione e alla svalutazione dell’interlocutore cattolico che ha ragioni diverse, e – cosa peggiore – l’impedimento alla formazione di una opinione pubblica cattolica laica che, dal basso, collabori in modo critico con la gerarchia ecclesiastica per riprendere a percorrere i sentieri interrotti, e non sto parlando di dialogo interreligioso ma del dialogo Chiesa gerarchia-Chiesa popolo di Dio. Le parole che ricorrono maggiormente nei discorsi di questi cattolici “pro” o “contro” sono: “verità”, “relativismo”, “valori non negoziabili”, e “Magistero della Chiesa”. Spesso diventano veri e propri slogan dai quali lanciare frecce per porre fine ad un controversia con un altro cattolico, per delegittimarne le ragioni, in nome della “verità” e del “relativismo”, dei “valori non negoziabili” o della citazione di qualche documento ufficiale, naturalmente.

Porto un esempio. Poco tempo fa, il vaticanista Aldo Maria Valli aveva espresso le sue perplessità circa l’uso della pedana mobile del Papa e sulle spiegazioni portate dalla Santa Sede per giustificarlo. Senza entrare nel merito della questione, l’elemento degno di nota è, a mio avviso, il fatto che il vaticanista – nello spazio dei commenti, ­in cui chiedeva ai lettori di esporre la propria opinione – sia stato sommerso dalle reazioni violente di cattolici che non hanno disdegnato di arrivare all’insulto e, in qualche caso, alla minaccia. Personalmente, non ritenevo particolarmente importante la questione in sé e non condividevo parte dell’articolo, ma pensavo che Aldo Maria Valli potesse esprimere quello che diceva, e che non fosse per nulla sconveniente. I cattolici “contro” dissentivano da me, e ho percepito che, per loro, avessi un’identità cattolica “sospetta”: volevo difendere il vaticanista, e mi sono trovata a dover dimostrare la mia “ortodossia” cattolica. Il punto da chiarire, tuttavia, non è se Aldo Maria Valli avesse ragione, tantomeno se l’avessi io, il punto è un altro: il giornalista poteva esprimere legittimamente la sua opinione? E i cattolici “contro” avevano le ragioni e l’investitura per muovere un’invettiva, ai limiti della “scomunica”, contro di lui?

Come risposta basterebbe dire che, pochi giorni dopo le sue dichiarazioni, Aldo Maria Valli ha condotto la diretta del viaggio del Papa ad Assisi. Non so quanti capi di Stato o dirigenti di azienda avrebbero permesso la stessa cosa, e questo mi rende orgogliosa della Chiesa. Le questioni poste da Aldo Maria Valli esprimevano una sua convinzione personale – non condivisibile in parte o totalmente – alla quale si accompagnava il tentativo provocatorio di sondare quanto i cattolici sapessero confrontarsi tra di loro, prima che con gli altri. È forse sbagliato per un cattolico porsi delle domande o porle agli altri cattolici in pubblico? Dal di dentro della Chiesa è errato, a priori, discutere o addirittura dissentire? Il fatto inquietante, infatti, è che altri cattolici abbiano ritenuto offensivo, e neanche provocatorio quanto bastasse per rispondere serenamente, il solo fatto che una persona della Chiesa e nella Chiesa ponesse delle domande. E la cosa fondamentale, da sottolineare, è che il giornalista non si esprimeva sulla dogmatica o su verità di fede ma su questioni del tutto opinabili, come l’uso o meno della pedana mobile. Certo che era lecito rispondere e dissentire, ma non era lecito che i cattolici “contro” si ergessero a portavoci della “purezza cattolica” e lo facessero con toni violenti e minacciosi. La difesa di Dio e della Chiesa, all’insegna del conflitto e della condanna, sembrano – piuttosto – un modo per difendere la propria idea di Dio, la propria parte di Chiesa, per imporre se stessi e il proprio gruppo, in questa Italia che, anche nella religione, sembra sempre spaccata intorno a diverse “tifoserie”, gruppi e “parrocchiette”. Non si è crociati della Verità quando si è contro qualcuno. È vero che esiste la Verità – ma la verità è Dio; è vero che bisogna combattere il relativismo -ma ribadendo che l’unico assoluto è: «Non avrai altro Dio fuori di me»; non bisogna diventare idolatri delle proprie “crociate di certezze”, pronunciando invano il nome di Dio. “Verità”, “relativismo”, “principi non negoziabili” non sono slogan, e non lo devono diventare per demolire le ragioni dell’avversario su questioni opinabili o quando ci si confronta su alcuni temi che costituiscono “zone grigie” della fede, anche se qualcuno vuole far finta che non sia così, e che la sua fede sia solo uno scudo di certezze o, peggio, che le sue certezze siano il solo scudo della fede.

E’ necessario mantenere aperto tra i laici cattolici il confronto e la riflessione critica, nella consapevolezza che non siamo noi a dover difendere Dio e neanche la Chiesa; noi siamo chiamati ad annunciare che solo Dio è la Salvezza e a testimoniare la Chiesa nella Chiesa e fuori dalla Chiesa. La Chiesa stessa non ci chiede di montare la “caccia alle streghe” o di credere in Essa contro qualcun altro, ma dice di credere nella forza dell’opinione pubblica dei laici, e a noi sta rendere questa opinione pubblica feconda e degna di potersi far sempre di più ascoltare dalla Chiesa stessa: «Nella Chiesa ci deve essere un’opinione pubblica e il Magistero si deve sviluppare anche in dialogo con questa opinione pubblica dei fedeli nella Chiesa. Non vuol dire che il Magistero perda la sua funzione di guida, ma che c’è anche un formarsi di un’opinione tra i fedeli che aiuta il formarsi del pensiero della Chiesa, in particolare nel dialogo con il mondo di oggi». (Communio et progressio, nn.117-127: «La pubblica opinione e la mutua comunicazione nella vita della Chiesa»).

Sull’ultimo L’Espresso, in un ampio servizio dal titolo «Benedetto l’otto per mille», sono stati pubblicati – come anticipazioni – alcuni capitoli del libro di Stefano Liviadotti “I senza Dio”: un volume inchiesta – come se ne mancassero – in cui si dice di voler far luce sui costi della Chiesa, sull’otto per mille, sulla destinazione dei fondi. All’interno del servizio, L’Espresso ha dedicato un box – dal titolo «Cosi paghiamo le Sante gazzette» – ai contributi all’Editoria destinati ad Avvenire, a Famiglia Cristiana e ai settimanali diocesani, mettendoli tutti insieme nella lista delle «gazzette religiose», dai «nomi improponibili», che «sarebbero generosamente sovvenzionate dallo Stato». Tempestiva è stata la risposta di Francesco Zanotti, presidente della Fisc, la Federazione italiana dei settimanali cattolici (189 testate, un milione di copie, quattro milioni di lettori): «È professionalmente sconcertante leggere toni così offensivi e basati su pregiudizi duri a morire». Quella dei settimanali cattolici locali è una grande esperienza storica che ha avuto il merito di dare voce ai senza voce. Queste testate non sono, quindi, “Gazzette di ispirazione religiosa”, ma veri e propri giornali locali (per diffusione) d’informazione generale. […] In quanto ai contributi si può aggiungere che i periodici diocesani, ma non solo loro, fino all’anno di competenza 2009, hanno percepito 20 centesimi a copia stampata, in forza del comma 3 dell’articolo 3 della legge 250 del 1990. In base ad una legge, quindi, e non come regalia per favori non ben identificati, come vuol far credere il box de L’Espresso».

E secondo voi? Quello de L’Espresso è – come dichiarato dal Presidente della Fisc – il solito complotto che strumentalizza e distorce l’argomento dell’ “otto per mille” per muovere, a priori, un’invettiva contro la Chiesa? Oppure credete che, alla luce dei generalizzati tagli all’editoria previsti dalla Legge di stabilità del Governo, sarebbe giusto rivedere e ridistribuire anche i contributi previsti ai giornali diocesani cattolici? E, soprattutto, come ha detto Benedetto XVI ­– ricevendo in udienza i rappresentanti delle testate aderenti alla Fisc – giornali come Avvenire, Famiglia Cristiana o altri di ispirazione cattolica vi sembrano, veramente, incarnare la loro “funzione peculiare?:

«Continuate ad essere giornali della gente, che cercano di favorire un dialogo autentico tra le varie componenti sociali, palestre di confronto e di dibattito leale fra opinioni diverse. Così facendo, i giornali cattolici, mentre adempiono l’importante compito di informare, svolgono, al tempo stesso, una insostituibile funzione formativa, promuovendo un’intelligenza evangelica della realtà complessa, come pure l’educazione di coscienze critiche e cristiane».

 

1 Comment on Io sono più cattolico di te

  1. “Tot Homines Quot Sententiae”, altro che “Sentire cum ecclesiae”…

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