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Un filo d’oro tra due pezze viola

«Pura come una colomba, scaltra come una serpe»: il programma, il modello e la promessa della Chiesa

Oggi poesia, oggi dolcezza. Sì, perché le tecniche (e aride) informazioni della settimana scorsa (tra orologî e poppate) non dovevano servire che a ricordare a cosa serve un calendario che pretende di portare la novità in ogni anno girando sempre (quasi) allo stesso modo: in realtà nessun tempo è uguale all’altro, e calendarî e orologî – che sono pratici strumenti di pianificazione – non devono illuderci che davvero i giorni si susseguano tutti uguali. Quando il Quarto Evangelista annota, a proposito del giorno in cui incontrò Gesù, che «erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39), non intende con ciò affermare che ogni pomeriggio alle quattro capita qualcosa di altrettanto memorabile, ma precisamente il contrario, e che le cose memorabili non sono quelle che vengono a inserirsi nella nostra preconfezionata “tabella temporale neutra”, bensì sono le estremità per le quali il tempo si distende e prende la forma della vita.

In realtà, il calendario liturgico gira sempre e solo quasi allo stesso modo, perché allo schema fondamentale della suddivisione in sette giorni (mica si era obbligati ad avere le settimane?) si aggiungono le feste fisse (come appunto il Natale e l’Annunciazione), le feste mobili (come la Pasqua e le Ceneri) e i tempi liturgici: l’interazione tra questi elementi presenta delle soprese molto interessanti. Per esempio, facendo un po’ di calcoli ho notato che la solennità dell’Immacolata oscilla sempre tra la prima e la seconda settimana di Avvento, e che per poco meno della metà degli anni liturgici (diciamo circa un quarantacinque per cento) arriva a salire fino alla prima settimana, e una volta ogni sette-otto anni cade precisamente nella seconda domenica d’Avvento. Oscillando costantemente tra la prima e la seconda settimana, la solennità dell’Immacolata sembra comportarsi un po’ come una specie di filo d’oro che cuce due pezze viola, e che quindi mentre può trovare sostegno nei temi della prima e della seconda settimana, è capace di dare luce e splendore a quegli stessi temi.

Ma quali sono questi temi? I bravi predicatori non avranno nominato il Natale se non di striscio, durante l’omelia della prima domenica d’Avvento: in effetti quella domenica porta ancora il sapore della solennità di Cristo Re dell’universo, e il tema dominante è piuttosto quello della venuta del Signore alla fine dei tempi (quindi la venuta nella gloria, non quella nella povertà). Se però la parola-chiave della Liturgia della Parola della prima domenica è “vigilate!”, questo non significa: «State attenti ai malintenzionati, non lasciatevi ingannare». Certo, esiste un posto per questo precetto, ma non è quello che c’interessa ora: la prima domenica d’Avvento dice che non è l’uomo cattivo che si comporta come un ladro, e neanche il diavolo stesso, ma Dio. È Cristo che dice di sé che «verrà come un ladro», e questo non allude semplicemente alla modalità repentina e imprevedibile dell’ultima venuta (quella che assomiglierà a un lampo che squarcia il cielo da un lato all’altro), bensì al concretissimo e quotidiano rischio di non accorgerci della venuta del Signore.

Per questo motivo le prime parole della Chiesa all’inizio dell’anno liturgico (ossia dell’Avvento) sono queste: «A te ho innalzato la mia anima: / Dio mio, confido in te, / che io non debba arrossire». Prima di ogni proclamazione, prima di ogni gesto (perfino prima del segno della croce), la Chiesa confessa insieme la lode e la supplica. La bellissima antifona d’introito (la cui partitura è qui e il cui canto si può ascoltare fra l’altro anche qui) continua, poi, ricordando con grande sobrietà i suoi nemici: la Chiesa sa di avere dei nemici, dal diavolo in giù. Lo sa perché Cristo ha assicurato ai suoi discepoli che le stesse forze che hanno odiato lui odieranno anche loro, fino all’ultimo giorno. I nemici fanno quindi parte del “bagaglio collaterale” del cristiano (ma s’intendono qui i nemici che ci odiano per la fede, non di quelli che a ragione imprecano contro di noi se attraversiamo col rosso o se non paghiamo le tasse), ed è veramente difficile lamentarsi davanti a Dio del dolore inflittoci dai nostri nemici senza perdere l’equilibrio della fede. La Chiesa ci mostra come: «E non ridano di me i miei nemici, / perché in fondo tutti quelli che ti attendono / non saranno confusi».

È una delicatissima capacità di equilibrio, quella che la fede del tempo di Avvento insegna ai cristiani: visto che abbiamo dei nemici, ma che è il Figlio di Dio che viene nella nostra vita come un ladro, mentre noi siamo colposamente distratti, la Chiesa si eccita alla veglia scuotendo tutte le sue membra. Ecco perché le veglie: perché quello che si attende pur non essendo dovuto non può, mentre arriva, non turbare il ritmo fondamentale sonno-veglia. Ecco perché la lode: perché il silenzio è simbolo di Dio, e abituarsi al silenzio come se niente fosse significa dimenticarsi della salute mentre essa è là, solo perché non c’è in giro il rumore del dolore, che indica la malattia. Ecco perché, infine, vegliare deve significare anche diffidare: perché non si può abbassare la guardia davanti a quelli che vorrebbero farci addormentare tranquilli (per prendere così il posto del ladro divino, ma con effetti chiaramente meno benefici), e perché non si può abbassare la guardia davanti a quelli che non sanno stupirsi della bellezza del mondo, della gioia (anche tragica) della vita e della sovrabbondante Grazia di Dio in Cristo. «Mostrami, Signore, le tue vie – così la Chiesa chiudeva il suo primo canto d’ingresso dell’anno – e insegnami i tuoi sentieri»: perché la via di Dio è una sola, ed è Cristo, ma le vie che egli percorre nella storia non sono mai uguali le une alle altre, e nessuno che conosca Dio può illudersi di prevedere davvero le sue mosse.

Nella seconda domenica d’Avvento, invece (il testo è sempre qui, e la musica può ascoltarsi fra l’altro anche qui), la Chiesa non parla più a Dio, ma si rivolge a se stessa, rinfrancando i suoi membri con quello che già ha ricevuto in risposta alla precedente supplica: «Popolo di Sion, ecco, il Signore verrà / per salvare le genti». Ben prima della missione degli apostoli «in tutto il mondo», ancora prima del mistero di Pasqua e della deposizione del Re nella mangiatoia, la Chiesa ricorda solennemente a se stessa che l’obiettivo dell’elezione divina (per cui si dice “Popolo di Sion”, e non un altro) è ultimamente quello di fare del suo popolo il corpo stesso del Redentore, e di renderlo così compartecipe della missione di “salvare le genti”. Come ad aggiungere, subito dopo, come farà il popolo a essere all’altezza di una simile missione, il canto della Chiesa prosegue, sempre rivolto ai figlî di Cristo: «E il Signore farà sentire la gloria della sua voce / nella gioia del vostro cuore».

Ed ecco perché la solennità dell’Immacolata oscilla tra queste due domeniche: in Maria, infatti, abbiamo già il pegno della vittoria finale, la caparra della gloria riservata agli amici di Cristo. Per questo la Chiesa la celebra, ammirando in lei compiuta l’opera che tanto più fermamente crede di vedere compiuta in se stessa: «Sei tutta bella, Maria; sei tutta bella, Maria, / e la macchia originale non c’è, in te» (il testo è qui, e la musica può ascoltarsi tra l’altro anche qui). Maria è «la gloria d’Israele, la gioia di Gerusalemme, l’onore del nostro popolo», e tuttavia non le fa onore chi crede di celebrarla senza ricordare che la Chiesa, pur non essendo ancora “tutta bella” come lei, è già più grande di lei: «Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che la vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo, senza dubbio più importante d’un membro è il corpo» (Sant’Agostino, Sermone 72,A/7).

Poiché la Chiesa è destinata a risplendere in Cristo, alla fine dei tempi, «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,26-27), l’Immacolata è per lei la scintilla che balena nelle ombre dell’attesa, e che tra il primo e il secondo avvento di Cristo le è modello di veglia, di lode e di santa scaltrezza.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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  1. Godete sempre!

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