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Il gioco d’azzardo: la terza impresa italiana

Sono 800mila gli italiani dipendenti dal gioco d’azzardo, quasi 2 milioni i giocatori a rischio. Lo rivela un dossier presentato da “Libera”

Sono sempre di più gli italiani che tentano la fortuna. Lo dimostrano i 1.260 euro pro-capite, spesi per cercare di cambiare il corso della propria vita giocando con videopoker, slot-machine, gratta e vinci e sale bingo. Un Paese, l’Italia, dove si stimano 800mila persone dipendenti dal gioco d’azzardo e quasi altri due milioni di giocatori a rischio per un fatturato legale corrispondente a 76,1 miliardi di euro a cui vanno aggiunti i 10 miliardi di euro di fatturato illegale.

don Luigi Ciotti, presidente di "Libera"

Dati, questi ultimi, che fanno del gioco d’azzardo la “terza impresa” italiana, l’unica con il bilancio sempre in attivo, che non ha risentito della crisi che colpisce il nostro Paese. Si tratta, dunque, di un fenomeno rilevante, approfondito su “Azzardopoli, il paese del gioco d’azzardo, dove quando il gioco si fa duro, le mafie iniziano a giocare”: il dossier, curato da Daniele Poto, presentato ieri a Roma da “Libera”, l’associazione che combatte contro tutte le mafie presieduta da don Luigi Ciotti.

Secondo lo studio, sono 41 i clan che gestiscono il “i giochi delle mafie” da Chivasso a Caltanissetta, passando per la via Emilia e la Capitale. Le mafie, sono sempre attive sul fronte del “gioco” essendo ormai divenute l’undicesimo concessionario “occulto” del Monopolio. E da questo punto di vista, lo Stato vuol vederci più chiaro con dieci Procure della Repubblica direzioni distrettuali antimafia, Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria e Roma, che nell’ultimo anno hanno condotto delle indagini specifiche.

Sono invece 22 le città dove, nel 2010, sono state effettuate indagini e operazioni delle forze di Polizia in materia di gioco d’azzardo, con arresti e sequestri riferibili alla criminalità organizzata. Le tecniche organizzate dai clan per “fare il loro gioco”, sono svariate e vanno dalle infiltrazioni delle società di gestione di punti scommesse o di sale bingo che, in modo “legale”, si apprestano ad essere le “lavanderie” per il riciclaggio di denaro sporco. Altre tecniche, inoltre, prevedono l’imposizione del noleggio di apparecchi di videogiochi, gestione di bische clandestine, toto nero e clandestino.

Le forze dell'ordine in azione

Per non parlare del mondo del calcio scommesse, un mercato che da solo vale oltre 2,5 miliardi di euro. E ancora, ci sono le scommesse sulle corse clandestine dei cavalli e del mondo dell’ippica. Così le sale giochi, diventano strumenti per adescare persone in difficoltà, bisognose di soldi, le quali diventano vittime dell’usura. C’è il racket delle slot-machine e non ultimo l’acquisto, da parte dei clan, di biglietti vincenti di Lotto, Superenalotto e Gratta e vinci.

I clan, infatti, si muovono comprando i biglietti vincenti da normali giocatori, pagando un sovrapprezzo che va dal 5 al 10%: ancora un modo “pulito” per riciclare denaro sporco. Con questo stratagemma, i malviventi sono in grado di esibire alle forze di Polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie, che possono quindi giustificare l’acquisto di beni e attività commerciali, eludendo i sequestri. E come se non bastasse, il sistema del gioco d’azzardo, in un Paese in crisi come l’Italia, tira e funziona, offrendo lavoro a 120mila addetti e muovendo gli affari di 5mila aziende, grandi e piccole. Un mercato che mobilita il 4% del Prodotto interno lordo nazionale.

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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