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Tutti pazzi per Demetriade

Dall’Italia alla Palestina, passando per l’Algeria: quando papi, vescovi e monaci si sfidarono per una ragazza

«Forse fu per bisogno / o – peggio – per buon esempio: / presero i tuoi tre anni / e li portarono al Tempio». Così Fabrizio De Andre’ cantava della consacrazione coatta della piccola Maria come ci è narrata dal Vangelo apocrifo di Giacomo (e da diversi altri testi): una volta di più, il grande cantautore genovese ha dimostrato come avvicinandosi a testimonianze di fede imbevuti di pregiudizî materialistici (o anche solo scettici) se ne distorce irrimediabilmente il senso. Il “bisogno” e il “buon esempio” evocano infatti un capo d’accusa per i genitori di Maria, preceduto da una possibile attenuante: una consacrazione può avvenire esclusivamente per conformismo e perbenismo, e da questi si può ottenere una qualche discolpa solo pensando a condizioni economiche disagiate.

S’è perso il meglio, l’ottimo Faber (e con lui tanti), ostinandosi a ricondurre a fattori sociali ed economici ciò che – pur andando di fatto a costituire forze sociali ed economiche – veniva invece da altrove. Così facendo ha trascurato pure che la consacrazione non è un fenomeno esclusivamente cristiano, né esclusivamente occidentale, né lo si può relegare in una qualche epoca a scapito di altre: ovunque siano e siano stati degli uomini s’è data e si dà vita consacrata. Questa, poi, ha quasi sempre avuto forme espressive legate alla verginità, anche se non sono infrequenti, nel mondo antico, culture in cui i consacrati praticano prostituzione sacra. È difficile capire nel XXI secolo perché la vita consacrata abbia quasi sempre avuto una relazione particolare col sesso, e ciò in ragione del fatto che la mercificazione massiva di questo ha portato a una spaventosa evacuazione del portato misterioso della sfera sessuale.

Ci si potrebbe dilungare molto su questa degenerazione e sui suoi effetti nefasti, ma per ora limitiamoci a considerare che gli uomini non sono solo gli unici mammiferi che per natura vivono la dimensione sessuale dell’esistenza “con timore e tremore” («la paura e la voglia / di essere soli» sono parole di Baglioni); essi sono pure gli unici che non la vivono secondo un mero determinismo ormonale, dato che il loro periodo di accoppiamento non si confina in una “stagione dell’estro”. Che vuol dire, questo? Semplicemente che l’evacuazione del tremendum dalla sfera sessuale (operata principalmente mediante la contraccezione) comporta una grave “crisi del desiderio”, e che non avevamo mai avuto bisogno di un’espressione simile prima degli ultimi trent’anni.

Sul “telaio esistenziale” appena abbozzato qui sopra si è sempre costruito, in tutte le culture umane, l’ascendente di forme di vita in cui l’attività sessuale è sublimata o praticata in forme totalmente anomale. Come è per tutte le idee veramente rivoluzionarie, anche il cuore di questa resta invariabilmente rovente, nonostante i secoli e anche sotto una spessa coltre di cenere convenzionale, e perciò fu la madre di Tecla a chiedere il rogo di sua figlia: la consacrazione andava precisamente contro il bisogno e contro il buon esempio.

Non fu sempre così: talvolta le famiglie hanno la grazia di comprendere e accogliere una tale rivoluzione che si fa presente nelle loro case – questo è stato il caso di Demetriade, una giovane patrizia romana (della nobile famiglia degli Anicii). Una famiglia di grandi consoli romani e di donne di straordinario talento (a metà del IV secolo, una trisavola di Demetriade scrisse un epos storico sulla lotta tra Magnenzio e Costanzo II!), in fuga da Roma dopo il devastante sacco di Alarico (410): la famiglia fece forse sosta in Sicilia, ma sbarcò infine a Cartagine. Lì Demetriade scelse e chiese di ricevere dalle mani di Aurelio, Vescovo di Cartagine e Primate di Numidia, il velo delle vergini.

Una rivoluzione è sempre una rivoluzione, e anche se avviene senza spargimento di sangue i suoi effetti si fanno sentire a grande distanza: così Girolamo, che dal suo eremo a Betlemme aveva saputo tutto, saltò in piedi dalla gioia, e disse (Lettera 130,6) che questa notizia bastava a dare a tutta Italia un motivo per dismettere il lutto seguito al sacco di Roma (e Girolamo ci aveva pianto sopra mica poco, sul sacco di Roma!). Giuliana era la mamma di Demetriade, e non quella di Tecla: di conseguenza non chiese il rogo per la figlia, ma il fuoco che Demetriade aveva chiamato doveva pur attecchire da qualche parte, così s’incendiò l’intero Mediterraneo. Giuliana aveva infatti scritto a un paio dei più raffinati intellettuali cristiani di sua conoscenza (e ne erano stati ospitati parecchî, a casa Anicia), chiedendo la cortesia di voler indirizzare alla sua ragazza qualche buon consiglio per la vita spirituale: i due destinatarî delle lettere di Giuliana erano Pelagio e Girolamo.

Con ogni probabilità Giuliana non si rendeva conto dell’eresia di Pelagio, che pure aveva cominciato a essere vibratamente segnalata già da un paio d’anni, ma è possibile che non si rendesse conto della distanza che c’era tra i due intellettuali prescelti? Voleva metterli entrambi alla prova? Voleva che sua figlia potesse comunque scegliere tra i parti delle menti più brillanti della cristianità, per quanto spregiudicate? Questo non lo sapremo mai, ma in fondo Giuliana si basava sul dato più evidente che li accomunava: erano (ciascuno a modo proprio) due sant’uomini, ed erano due cervelloni.

Pelagio fu il primo a rispondere, e lo fece col suo tratto caratteristico: incoraggiò Demetriade nel suo proposito ricordandole che «la prima pietra dell’edificio spirituale è la consapevolezza delle proprie forze» (A Demetriade, 2). E di qui tutta una serie di raccomandazioni volte a responsabilizzare la ragazza col ricordo di quante ricchezze e di quanta bontà Dio le aveva concesso creandola così com’era: «La santità è una faccenda – scrisse Pelagio – in certo modo naturale», e di conseguenza se uno ci si mette d’impegno può benissimo astenersi da ogni peccato.

Questo era troppo per Girolamo, che sapeva bene per esperienza diretta come non fosse così semplice vivere senza peccare: e quella povera ragazza si sarebbe dovuta caricare il peso di tutta quella responsabilità senza neanche un riferimento al Dio che perdona, che aiuta a ricominciare, che rialza chi cade e gli dona la forza di crescere nella santità? Doveva vivere la sua consacrazione senza la Grazia, Demetriade? «Chi dice “grazia” – spiega allora Girolamo (che comunque da Betlemme veniva a sapere sempre tutto) nella sua lettera – non dice “ricompensa delle opere”, ma “pura generosità di Dio” […]. È vero, la nostra volontà ci appartiene e ne siamo responsabili, ma anche tutto ciò che è nostro non è veramente nostro senza la misericordia di Dio» (Lettera 130,12).

Nel frattempo gli uomini della famiglia di Demetriade, a Roma, avevano ristabilito le condizioni perché anche le donne potessero tornare da Cartagine alla loro bella casa sul Pincio: lì ricevettero le lettere di Pelagio e di Girolamo. Siccome però, a quanto pare, nell’antichità le poste funzionavano fin troppo bene, anche Agostino (a Ippona!) si trovò tra le mani la lettera di Pelagio: per quello che sarà chiamato “Dottore della Graziaquelle raccomandazioni erano un attentato, praticamente un manifesto d’ateismo! Visto che da Gerusalemme Melania (detta “la giovane” perché nipote di un’altra Melania, consacrata anche lei) era rimasta turbata dalle idee di Pelagio, Agostino si fece dovere d’intervenire personalmente, perché «la casa di Demetriade è una non piccola chiesa» (Lettera 188,3).

La lettera di Agostino richiamò l’attenzione di Papa Innocenzo, che si precipitò pure lui a confermare le posizioni del Vescovo di Ippona, il quale aveva rapidamente riassunto gli errori di Pelagio: «Le virtù discendono dalla nostra natura, è Dio che ci ha creati così. Il soccorso divino si limita a rischiarare la nostra intelligenza, non consiste nel farci amare quello che abbiamo riconosciuto di dover fare. È da noi stessi che possiamo ottenere una volontà ben disposta».

Ma insomma, in che consiste la malvagità dei consiglî di Pelagio? Non aveva raccomandato mille buone attenzioni, che ogni consacrato dovrebbe osservare? Sì, ma «se la ragazza accetta questa impostazione – osserva Agostino – crederà che la santità venga da lei stessa, e non da Dio» (Lettera 188,4). È la distruzione della vera virtù cristiana, quando questa viene riassorbita nella superbia: Agostino sapeva bene che la presunzione di “farsi santi senza Dio” è l’unica cosa in grado di estinguere il fuoco che Demetriade aveva desiderato e scelto, e difatti continuerà a scrivere alla famiglia di lei per sapere come abbia preso le lettere e… di quale direttore spirituale abbia scelto il consiglio.

Non sappiamo altro, di questa singolare versione (rovesciata per più aspetti) del motivo del “giudizio di Paride”: non abbiamo altre lettere. Sappiamo solo che Pelagio venne seccamente condannato dopo pochi anni (e che Agostino ebbe grande peso in questa vicenda), che Girolamo continuò a brontolare un po’ su tutto, da Betlemme, mentre stendeva i suoi magnifici commentarî scritturistici, e che Demetriade proseguì silenziosa per la sua strada. Il Liber Pontificalis racconta che, in punto di morte, la giovane Anicia chiese a Papa Leone Magno di voler edificare sul suo terreno, in Via Latina, una basilica dedicata a santo Stefano. Questo è il sigillo che la storia ci lascia sopra il misterioso fuoco che per Demetriade divampò in lungo e in largo per il mondo: il gemellaggio mistico di lei col primo testimone di Gesù.

 

 

 

Immagine: F. Andreotti, Serenata.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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