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Quando cade la Pasqua?

Storie di calendari, dispute e fede

Eventi degni di memoria trovano facilmente posto nel calendario: è sufficiente prender nota della data in cui essi sono avvenuti, e quel giorno sarà ricordato perché ha visto la nascita o la morte di un personaggio illustre, ha conosciuto un’importante vittoria bellica o un rivolgimento politico, ha registrato un accadimento felice o tragico da cui dipende la successiva evoluzione della storia. Annualmente quel giorno diventa occasione di ricordo personale o collettivo, momento di riflessione e crescita, motivo di festa o di lutto a ragione dell’evento che lo ha reso speciale.

Quale giorno merita di essere ricordato e celebrato più della Pasqua? Quale evento ha rivoluzionato la vita dell’uomo più della Risurrezione di Gesù Cristo? Quale annuncio ha sconvolto gli animi più dell’esperienza della vita che vince la morte? Gli autori dei Vangeli canonici sono vaghi e al tempo stesso precisi nel segnalare il giorno in cui i discepoli trovarono il sepolcro vuoto: «passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana» (Mt 28,1), a tre giorni dalla morte del Maestro, che avvenne in concomitanza con la Pasqua ebraica, cioè durante il plenilunio del primo mese primaverile. Basandosi su questi dati, il popolo cristiano ha stabilito di festeggiare la Pasqua nella prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Ma ciò avvenne solo alla fine del IV secolo: prima di allora i cristiani furono divisi in due partiti, che festeggiavano la Pasqua in date diverse e le attribuivano valori per certi versi contrastanti.

Il problema centrale, che determinò la frattura, riguardava proprio l’interpretazione della Pasqua: bisognava continuare a rispettare le prescrizioni mosaiche (cf. Es 12) o era opportuno conferire alla festa un volto nuovo, più incentrato su Cristo e sulla novità del suo annuncio? V’erano in Asia alcune comunità, legate alle figure degli apostoli Giovanni e Filippo, che conservarono l’uso ebraico di festeggiare la Pasqua nel 14° giorno del mese di Nisan (da ciò presero il nome di «quartodecimani»). Secondo la versione giovannea, infatti, Gesù morì sulla croce proprio mentre nel tempio erano sacrificati gli agnelli per la Pasqua (la sera del 14 Nisan), a dimostrare che Egli era il vero Agnello immolato per la salvezza degli uomini. Questa soluzione poneva due problemi: da una parte faceva coincidere la festa dei cristiani con quella degli ebrei, che il Messia l’avevano respinto e crocifisso; dall’altra incentrava la Pasqua sulla Passione di Cristo piuttosto che sulla Sua Risurrezione. Non è un caso che in quella stessa area geografica cominciò a diffondersi un’etimologia errata del termine Pascha, quasi derivasse dal greco paschein (= soffrire) piuttosto che dall’ebraico Pesach (= passaggio). Fu merito della scuola alessandrina (prima con Clemente, poi con Origene) il ripristino del significato originario del termine, inteso però non più con riferimento al passaggio dell’Angelo della morte in terra d’Egitto, ma in senso simbolico con riferimento al passaggio di Cristo dalla morte alla vita.

Ripristinato il valore originario del termine e riletta la festa nella nuova chiave che Gesù stesso aveva rivelato, apparve più opportuno ricollegare la Pasqua alla Risurrezione di Cristo e festeggiarla nella domenica successiva al 14 Nisan, secondo l’uso già affermato presso le comunità cristiane facenti capo alle sedi di Roma e Alessandria. Questa soluzione aveva anche il vantaggio di svincolare la festa cristiana da quella ebraica, riconoscendole caratteri propri e nuovi (ancora oggi, qualora la prima domenica dopo il plenilunio di primavera coincidesse con il 14 Nisan, la Pasqua cristiana sarebbe rimandata alla settimana successiva), e al tempo stesso permetteva di salvaguardare la memoria storica relativa alla morte e risurrezione di Cristo, così come sono riportate nei Vangeli.

Ma non illudiamoci: non fu semplice né indolore accordarsi sulla data in cui festeggiare la Pasqua cristiana. Vi furono calcoli e confronti, si riunirono sinodi e concili, ci si espose a critiche e derisioni (come poteva risultare credibile agli occhi dei pagani un popolo diviso proprio in merito alla sua festa principale?). Infine i quartodecimani, ritenuti giudaizzanti e scorretti perché non aderivano al senso nuovo e originale della festa, furono sconfitti a suon di minacce e scomuniche, a seguito del Concilio di Nicea (325) e del Concilio di Antiochia (341) che imposero definitivamente l’uso romano.

Questo fu il prezzo da pagare perché tutto il popolo cristiano fosse unito nel celebrare la sua festa più importante. Ancora oggi le prescrizioni nicene sulla Pasqua sono rispettate non solo dai cattolici, ma anche dalla maggior parte dei protestanti e delle chiese ortodosse e orientali (sebbene i giorni di festa non coincidano a causa della mancata adesione di questi alla riforma gregoriana del calendario e del metodo di calcolo dell’epatta elaborato da Dionigi il Piccolo). Resta tuttavia traccia dell’antica disputa nella struttura del Triduo Pasquale. I tre giorni compresi tra la sera del giovedì e la sera della domenica (che sono considerati fuori tanto dal tempo quaresimale quanto da quello pasquale) ci consentono rivivere la Pasqua nella sua interezza, dall’Ultima Cena (giovedì), attraverso la Passione e Morte (venerdì) e una silenziosa e trepida attesa (sabato), fino alla vittoria della luce e della vita, quando con fermezza e gioia grande anche noi proclamiamo: «Sì, ne siamo certi: Cristo è risorto!». I due antichi partiti trovano in questo modo un compromesso. D’altra parte cos’è la Pasqua se non la festa della vera e totale riconciliazione?

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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2 Comments on Quando cade la Pasqua?

  1. mauro valente // 10 Aprile 2012 a 07:27 //

    Brava Sabrina, il tuo articolo eliminerà, a chi lo avrà letto, numerosi dubbi sui motivi di oscillazione della data della Pasqua. Quanto alle polemiche protocristiane per la determinazione della medesima, esse ci confermano ancora una volta come le dispute umane fanno risaltare l’orgoglio delle creature, preoccupate di imporre il loro punto di vista e dimentiche di un’autentica e disinteressata ricerca del Creatore.

    • purtroppo quelle polemiche non solo solo “protocristiane”, giacché i cristiani sono tuttora lontani dal celebrare la Pasqua in un’unica e medesima data, e vi sono pure (ahinoi) dei cristiani che fanno del non celebrare la Pasqua un distintivo d’autenticità e di purezza evangelica… Tuttavia, personalmente non sono così sicuro che a tutte le polemiche sia sotteso un orgoglio creaturale intrinsecamente pernicioso: gli uomini possono benissimo entrare in polemica per lo zelo della verità, ed è l’idea di verità, allora, che può essere perniciosa e/o fallace…

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