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Il re che ha vinto la morte

Dall’Aurora lucis rutilat immagini e suggestioni da salvare

Nei primi quaranta giorni del tempo pasquale la liturgia delle ore è stata scandita dall’inno Sfolgora il sole di Pasqua, una versione italiana riadattata dall’antico testo pseudo-ambrosiano Aurora lucis rutilat. Prima di lasciarci alle spalle questo bell’inno (che ritroveremo nelle lodi di qui a un anno), desideriamo soffermarci un’ultima volta su di esso, cercando di comprenderlo un po’ meglio e soprattutto di apprezzare le differenze tra le due versioni, quella originale latina (IV-V secolo) e quella più recente italiana. A tale scopo consigliamo di tenere sempre sotto gli occhi l’allegato, che riporta su tre colonne parallele il testo latino dell’Aurora lucis rutilat, una sua traduzione italiana il più possibile letterale e la versione metrica approntata per il Breviario Romano.

Come primo passo, limitiamoci ad osservare la pagina. Noteremo immediatamente uno squilibrio nell’ampiezza dei testi: mentre l’originale latino si compone di quattro strofe di quattro versi, la versione italiana presenta sei strofe di tre versi. Poco male! Chiunque abbia tentato di tradurre un testo da una lingua all’altra (antica o moderna che sia), sa bene che è impossibile rendere parola per parola, creando una perfetta corrispondenza lessicale tra codici linguistici diversi. Sarebbe impossibile dunque conservare nella versione italiana lo stesso numero di parole usate dall’autore latino (nella maggior parte dei casi tre per ogni verso: aurora lucis rutilat / caelum laudibus intonat etc.) o addirittura lo stesso numero di sillabe (otto per ogni verso: au-ro-ra-lu-cis-ru-ti-lat etc.), o riprodurre le raffinatezze stilistiche da lui adoperate: per es. l’inserimento in fine di verso di parole trisillabiche (in tredici casi su sedici: ru-ti-lat / in-to-nat / iu-bi-lat / u-lu-lat etc.) o la presenza della rima o dell’assonanza tra le ultime parole di ogni strofa (rutilat – intonat – iubilat – ululat / fortissimus – viribus – miseros / lapide – milite – nobile – funere / gemitibus – doloribus – Dominus – angelus). Né il traduttore riuscirebbe ad applicare alla lingua italiana la metrica quantitativa latina e a riprodurre la struttura del dimetro giambico acatalettico. Chi volesse farsene un’idea (seppure inevitabilmente imperfetta), potrebbe provare a leggere il testo latino ponendo l’accento solo sulle sillabe pari (au-rò-ra – lú-cis – rú-ti-làt / cae-lúm – lau-dí-bus – ín-to-nàt etc.): scoprirebbe come il ritmo si ripete perfettamente uguale in ogni strofa, dal primo all’ultimo verso, ed apprezzerebbe la straordinaria musicalità delle rime e delle assonanze (ce ne sono molte anche all’interno del verso) che accarezzano dolcemente l’orecchio, evocando sensazioni ora più gioiose ora più cupe (infernus ululat).

Ma qualcuno potrebbe obiettare che in fondo forma, ritmo, musicalità, parallelismi, sono poco importanti: ciò che conta è il contenuto. Ebbene, proviamo a leggere in parallelo il testo latino (o la sua traduzione letterale) e quello italiano del Breviario: ne verranno fuori delle sorprese!

Nella prima strofa sembra che i due testi coincidano: la luce del sole, i canti nel cielo, l’esultanza del mondo… Ma non è proprio così. Innanzitutto il verbo latino rutilare non significa precisamente «risplendere», ma piuttosto «tingersi di rosso». Il poeta sta quindi descrivendo l’aurora, il momento in cui i raggi del sole cominciano a tingere di rosso il cielo, il momento che separa la notte dal giorno: il verso rievoca esattamente le circostanze in cui le pie donne, secondo il racconto del Vangelo, si recarono al sepolcro («passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana», Mt 28,1). Nella versione italiana invece siamo come investiti dalla luce del sole, una luce potente, sfolgorante, da pieno giorno: è il «sole di Pasqua». Pertanto non siamo più portati a rivivere la sorpresa mattutina dei primi testimoni della risurrezione, ma il giubilo festoso della Chiesa che celebra la Pasqua del Signore.

Nella prima strofa latina, l’occhio del poeta parte dall’alto e, come con uno zoom cinematografico, attraversa il cielo e la terra e scende fin negli inferi, descrivendo i diversi comportamenti (gioia, giubilo, gemiti) con cui i tre mondi reagiscono alla risurrezione di Cristo. Attenzione però, perché, mentre nell’italiano l’attenzione si concentra immediatamente sulla Pasqua (nominata fin dall’esordio: «sfolgora il sole di Pasqua»), nel latino viene creata un’attesa, quasi una curiosità, che verrà soddisfatta solo a partire dalla seconda strofa: è solo allora che compare il rex fortissimus, vincitore della morte e salvatore dei miseri, Colui che con la sua risurrezione determina i diversi comportamenti prima descritti.

Ma prima di soffermarci su questo maestoso personaggio, vi sarete accorti di un’anomalia importante: nella versione italiana è stato totalmente omesso il quarto verso (gemens infernus ululat). Per curiosità, proviamo a cercare più oltre se per caso esso non sia stato spostato in altro luogo … Ci accorgiamo che non solo quel riferimento è saltato nella versione italiana, ma sono scomparsi pure tutti gli accenni alla morte (mortis confractis viribus), al tartaro (pede conculcans tartara), alle catene (solvit catena miseros), ai gemiti e alle sofferenze infernali (solutis iam gemitibus et inferni doloribus). Perché nel Breviario Romano si è optato per questa sorta di censura? Le immagini legate agli inferi e alla morte rischiavano forse di rovinare la bellezza splendente e idillica della risurrezione?

La risposta è abbastanza semplice: l’inno Sfolgora il sole di Pasqua non è ciò che tecnicamente possiamo definire in termini moderni una traduzione, ma piuttosto un riadattamento. I due testi presentano due impostazioni diverse e sviluppano due immagini differenti, anche se egualmente valide, della risurrezione. Nell’Aurora lucis rutilat Cristo assume i tratti di un rex fortissimus, sovrano e condottiero valoroso e potente, che spezza le catene della morte, schiaccia sotto il suo piede il regno degli inferi e rende la libertà alle anime prigioniere. Tutta la seconda strofa è infatti una rappresentazione vivida e visibile della discesa di Cristo agli inferi. Secondo la Scrittura, dopo la morte Cristo discese agli inferi, portò la lieta novella alle anime prigioniere (cf. 1Pt 3,19; 4,6), liberò i giusti che lo avevano preceduto e risalì risorgendo dai morti (cf. 1Cor 15,20; Ef 4,10). Questo articolo di fede è stato tradotto in arte figurativa da molti artisti, che hanno rappresentato proprio la scena in cui Cristo abbatte le porte degli inferi, strappa con forza le anime dei giusti dalla loro prigionia e schiaccia il demonio sotto i suoi piedi (vd. per es. l’icona del Duomo di Monreale o il dipinto di Duccio di Buoninsegna). Questa immagine (che ha la sua matrice in Gn 3,15: «essa ti schiaccerà il capo») è stata applicata a santi e martiri che con la propria testimonianza hanno vinto il demonio (ricordiamo solo il più noto, san Michele). Di tutta la riflessione circa la discesa di Cristo agli inferi nella versione italiana resta solo una debole traccia («Dagli abissi della morte / Cristo ascende vittorioso / insieme agli antichi padri»).

Ma adesso vedremo le innovazioni più significative! Nella terza e quarta strofa, l’autore dell’Aurora lucis rutilat, dopo averci fatto vedere cosa avvenne negli inferi, ci riporta in superficie e ci mostra finalmente la tomba vuota, il vano affannarsi della sentinella, e l’annuncio dell’angelo (descritto con termini simili a Mt 27,5). Nella versione italiana queste informazioni sono sintetizzate in un unico periodo («Accanto al sepolcro vuoto / invano veglia il custode: / il Signore è risorto»). Vengono invece aggiunte ben due strofe (più una contenente la dossologia finale). Nella prima («o Gesù, re immortale etc.») il traduttore (o sarà più appropriato a questo punto chiamarlo adattatore) formula una preghiera affinché il Signore risorto unisca tutti i battezzati alla sua vittoria: la richiesta scaturisce evidentemente dalla veglia pasquale, durante la quale i catecumeni ricevono il battesimo e vivono in se stessi l’esperienza della morte al peccato e della rinascita a vita nuova. Nella seconda («Irradia sulla tua Chiesa etc.») v’è la richiesta di irradiare sulla Chiesa i frutti d’amore e di pace che nascono dalla Pasqua: torna così nel finale l’immagine della «luce di Pasqua», con cui si era aperto l’inno, che ora viene effusa su tutta la comunità dei credenti. Nella versione italiana, dunque, l’attenzione è incentrata non più e non soltanto sul Cristo risorto che ha vinto la morte, ma sulla Chiesa e sugli effetti che la straordinaria esperienza della risurrezione determina ancora oggi nella vita della comunità cristiana.

Ci troviamo dunque di fronte a due testi per propria natura autonomi, dei quali l’uno si ispira all’altro ma non ne è una perfetta traduzione, e che sviluppano riflessioni diverse ma parimenti suggestive e interessanti. Speriamo con questo modesto esame di aver consentito anche ai non latinisti l’accesso a un inno come l’Aurora lucis rutilat che altrimenti rischierebbe di cadere nell’oblio, sostituito da una versione italiana che, inevitabilmente, per le necessità della lingua e per le scelte più o meno intenzionali di chi l’ha approntata, ha perso (o sotto altri aspetti ha guadagnato) qualcosa rispetto al testo di partenza, in termini sia di forma sia di contenuto. È bello recuperare anche in questo modo ciò che eravamo un tempo, mettendo a confronto la nostra cultura con quella di chi ci ha preceduto, e riscoprendo immagini e suggestioni che altrimenti rischierebbero di andare perdute.

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
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1 Comment on Il re che ha vinto la morte

  1. Le trasformazioni che avvengono nelle trasmissioni testuali sono davvero affascinanti, perché raccontano la storia di chi progressivamente ne accoglie le parole. Il significato è davvero intensificato nella versione italiana. Grazie per aver proposto la riflessione su qeusto inno.

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