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L’Italia e le basi di una nazione

Alla base dell’esistenza di uno stato ci sono difesa dall’esterno, ordine pubblico, garanzia dei diritti. Oggi, lo Stato Italiano, può dirsi certo di garantire il rispetto di queste tre prerogative fondanti di una Nazione?

Il ruolo dello stato nell’economia e nella vita dei cittadini è uno degli argomenti più discussi nell’ambito della storia, della politica e del pensiero filosofico. Sono note a tutti, infatti, le principali differenze che contraddistinguono gli stati liberali da quelli socialisti e comunisti a impronta prettamente dirigista.

Qui non vogliamo parlare di aspetti prettamente istituzionali (forme di stato e di governo) nonché economici, ma di questioni ancor più importanti e “di base”. Ogni stato sovrano, infatti, ha tre compiti imprescindibili: difesa dall’esterno, ordine pubblico, garanzia dei diritti.

Queste sono attività talmente basiche che ogni stato, qualsiasi sia l’impronta che vuole dare al suo intervento nella vita collettiva, deve attuare. Potremmo quasi dire che non esiste sovranità, quindi uno stato di diritto legittimamente riconosciuto, se non vengono poste in essere tutte le azioni volte a garantire questo livello minimo di garanzie ai cittadini.

Analizzando cosa accade in Italia da troppo tempo pare evidente che le nostre istituzioni pubbliche stiano abdicando dall’espletamento di queste funzioni, allontanandosi sempre più da quello che è il loro ruolo basico, che ne legittima l’esistenza.

Nell’ambito della difesa da attacchi esterni bisogna sicuramente riconoscere che il secondo dopoguerra è stato il periodo di pace e prosperità migliore degli ultimi secoli. La diffusione della ricchezza, la pace che si protrae da oltre 60 anni, la crescita economica condivisa a livello europeo e anche mondiale sono sicuramente aspetti rilevanti. L’Italia, come previsto anche dalla nostra Costituzione, ha raggiunto questi obiettivi anche devolvendo parte della sua sovranità ad enti internazionali, come l’Unione Europea.

È però vero, anche, che il nostro Paese non è dotato di servizi di sicurezza e militari all’altezza dei principali Stati europei (per non parlare degli USA) e che il ruolo che ricopre a livello internazionale è ancora limitato a quello di Paese sconfitto dopo la Seconda Guerra Mondiale. La nostra instabilità politica e personaggi di dubbia autorevolezza che si sono via via alternati alla guida del Paese non hanno migliorato la nostra immagine ed influenza internazionale.

D’altro canto, tra i Paesi industrializzati non si combattono più guerre ma ci si suddivide il mondo in aree di influenza e l’Italia, avendo rinunciato apertamente alla propria autonomia militare, non si è fatta promotrice di una forte azione comunitaria a livello UE per creare esercito europeo. Inoltre, le guerre sono sempre più finanziarie e tecnologiche. L’Italia, con il suo debito pubblico e il “nanismo” delle proprie imprese non è mai stata (se non nel Medioevo!) una “piazza finanziaria” importante. L’innovazione tecnologica e le guerre digitali, inoltre, sono fatte altrove da imprese straniere e da nazioni che vedono nel nostro Paese solo un mercato di sbocco o un territorio da presidiare.

Ben più preoccupante, però, è la situazione relativa agli altri due aspetti citati. In Italia l’ordine pubblico, inteso come rispetto delle regole, sicurezza collettiva ed individuale sono aspetti critici. La criminalità organizzata è presente in tutto il Paese, a sud come a nord, con sfaccettature e realtà differenti ma comunque rilevanti. Le cronache di questi ultimi periodi hanno fatto cadere anche le ultime illusioni che le mafie in senso stretto fossero presenti solo nelle regioni del sud, atavicamente afflitte da questa piaga. Anzi, abbiamo scoperto che anche le ricche realtà del nord sono permeate, fin dentro le più alte istituzioni, di presenze malavitose e da malaffare diffuso.

Nel nostro Paese non c’è la certezza che chi delinque, a qualsiasi titolo, sconti la propria pena e possa seguire un reale processo di rieducazione; non abbiamo la certezza di sapere chi è colpevole e chi non lo è; non abbiamo la certezza di avere una forza di pubblica sicurezza capace di garantire il rispetto delle regole in pochi minuti in qualsiasi luogo geografico, con la tipica capacità dissuasiva al crimine che si pensa che essa debba avere.

Abbiamo nelle nostre città interi quartieri che spesso sono come il far west, dove polizia e carabinieri fanno retate, come se fossero rastrellamenti dei periodi di guerra, per poi abbandonare il territorio.

Viviamo, inoltre, in un Paese in cui la decadenza è sempre più morale, cioè in cui il rispetto delle regole non è più il valore condiviso e fondante dello Stato, che genera quindi il diritto stesso dell’Ente sovrano di pretendere l’attuazione ed il rispetto della legge stessa. La delinquenza non è più che violenza, ma in senso più ampio è prevaricazione dell’altro, con organizzazioni criminali che sempre più coinvolgono persone all’apparenza rispettabili e insospettabili.

Infine, ma non ultimo, rilevantissimo è il problema della garanzia dei diritti. Uno dei compiti più importanti, connesso ma anche slegato all’ordine pubblico inteso in senso ampio, è il garantire a tutti i cittadini non solo il rispetto delle regole comuni di convivenza, ma anche l’esistenza di un ente imparziale superiore che, amministrando la giustizia, garantisca il derimersi delle controversie tra i privati.

Allo stato è deputato il compito di garantire il rispetto della legge, la sua applicazione, la certezza di vedersi garantiti un diritto assoluto (cioè valevole verso tutti) o relativo (cioè verso specifici soggetti), in un tempo certo e rapido al fine di non perdere l’utilità stessa dell’accertamento del diritto. La realtà giuridica, invece, vede la prescrizione come una delle fattispecie più invocate quale soluzione delle problematiche con la legge, soprattutto penale.

In un paese moderno la garanzia dell’effettività del diritto è alla base della crescita economica. Se non è possibile avere la certezza in tempi brevi del proprio credito, della sua esistenza in termini giuridici, della possibilità di riscuoterlo o di esperire tutte le pratiche necessarie per azioni esecutive sulla parte inadempiente, il diritto diventa non più certo e ogni azione, investimento o rischio da sostenere diventa più difficile da accettare e da intraprendere.

Se il costo della giustizia, non solo in termini di tempo ma anche in termini economici, diventa esorbitante, si verifica il paradosso per cui tutti i diritti di valore minore, di fatto, possono essere disattesi dalla parte debitrice. Inoltre, l’esercizio del diritto diventa prerogativa dei ricchi, cioè solo di coloro che possono permettersi il lusso di un giudizio. Nel frattempo, gli interessi del singolo adempiente non sono tutelati ma, anzi, aggravati dagli oneri di un’azione giudiziaria i cui esiti e tempi non sono noti a priori.

Tutto questo si inserisce in un ordinamento giuridico di stile bizantino, con procedure anacronistiche che danno sempre più prevalenza a questioni formali piuttosto che a questioni di sostanza, tutelando spesso e purtroppo la mala fede rispetto all’effettività del diritto stesso.

In un qualsiasi sistema economico, qualsiasi sia il modello prescelto, l’effettività della presenza dello Stato è dato dalla garanzia della tutela del cittadino da quanto sopra riportato. Solo con queste condizioni minime il povero così come il ricco dispiegano tutte le proprie energie, risorse e capacità al fine di produrre un risultato migliore rispetto agli input utilizzati. Laddove lo Stato non garantisce questo livello minimo di tutele, invece, ci si avvia inesorabilmente in decadenza.

Sotto questo punto di vista la storia insegna: quando il Senato romano non fu più in grado di elevarsi a ente superiore volto alla tutela suprema dello Stato, esso perse di rilevanza. Gli imperatori divennero sempre più dittatori, lo esautorarono di tutti i propri poteri fino a spostare altrove la capitale. Non tornò più l’ordine, i valori fondanti la nazione vennero meno e forze esterne (barbaro voleva dire straniero!) spazzarono via le conquiste della civiltà. Si entrò così in oltre mille anni di medioevo. Forse questa è una visione banale della storia, ma semplificare aiuta sempre ad interpretare i fatti e a fare memoria del passato per non commettere lo stesso tipo di errori nel presente, nel tentativo di avere un futuro meno incerto.

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Davide Di Fulvio, laureato con lode in Economia Aziendale e specializzato con stessa valutazione in Amministrazione di impresa, ha operato e tuttora collabora con importanti realtà nazionali e multinazionali nell'ambito consulenziale, dell'industria, dei servizi e del mass market.
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