Ultime notizie

Santissima Trinità

Quando la matematica è un’opinione

Delle tre religioni monoteistiche solo il cristianesimo è arrivato a concepire un dogma tanto complesso e inconsueto da unire concetti apparentemente inconciliabili tra loro come l’unicità, la pluralità e l’unità di Dio.

La fede in un solo Dio è il caposaldo della nostra religione: «credo in un solo Dio» recita il primo articolo del simbolo che ogni domenica ci rammenta i fondamenti della nostra fede. Su questo punto nodale hanno marcato l’accento patriarchi e profeti dell’Antico Testamento, messi continuamente di fronte ai rischi dell’esistenza e della resistenza del politeismo presso il popolo di Israele: il loro insegnamento era incentrato sulla grandezza e superiorità di JHWH rispetto agli altri dèi (cf. Ps 96: «Grande è il Signore e degno di ogni lode, terribile sopra tutti gli dei. Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla, il Signore invece ha fatto i cieli») e sulla sua unicità, concetto così fondante da costituire il primo dei comandamenti («Io sono il Signore Dio tuo … non avrai altro dio all’infuori di me», Es 20,2-3) e da dover essere ripetuto due volte al giorno nella preghiera dello shemà, affinché rimanesse scolpito nel cuore, nella mente e nell’anima («Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo», Dt 6,4).

Tuttavia, fin dai primi tempi, i cristiani, costretti a fare i conti con le straordinarie pretese di Gesù e con l’esperienza dello Spirito nella Chiesa, cominciarono ad elaborare una concezione trinitaria della divinità, che si esprime embrionalmente in certe formule di saluto e di benedizione, come quella lasciata dal Cristo risorto per il battesimo («Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», Mt 28,19) o quella con cui Paolo saluta la comunità di Corinto («La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi», 2Cor 13,14). Eppure non sembra che esista in alcun punto dell’Antico né del Nuovo Testamento una precisa ed esplicita dottrina trinitaria. È come se i fedeli delle prime comunità possedessero un’intuizione segreta, un insegnamento interiore, una conoscenza di divina provenienza, ancora non esplicitata ma latente, che abbisognò di secoli di riflessioni e dispute per poter essere compresa, definita e fissata come ricorrenza nel calendario liturgico.

La festa della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, fu istituita solo alla metà del Trecento, quando papa Giovanni XXII accettò nella Chiesa Cattolica la festività introdotta già dall’VIII-IX secolo in area anglosassone e diffusa in gran parte dell’Europa, soprattutto grazie all’appoggio dell’ordine monastico. La sua collocazione nella prima domenica dopo la Pentecoste ci ricorda il suo stretto legame con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, nel giorno in cui, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, la Santa Trinità fu «pienamente rivelata» (CCC 732).

Se però la Pentecose rivelò agli Apostoli la divinità e la potenza dello Spirito, trasmettendo loro l’intuizione della Sua natura divina e vivificante, il dogma trinitario fu definito per la prima volta (e in modo alquanto vago, con un sintetico cenno: «E [crediamo] nello Spirito Santo») solo al I Concilio di Nicea (325) e sviluppato nei secoli successivi non senza difficoltà.

Appare evidente che la definizione del dogma trinitario non poteva prescindere dalla precisa definizione della natura del Figlio e dello Spirito Santo. Quanto al Primo, nei primi tre-quattro secoli dell’era cristiana furono formulate teorie (riconosciute poi come eretiche) che mettevano in dubbio la natura divina del Figlio (cf. l’adozionismo) o che lo ponevano su un livello subordinato rispetto al Padre (cf. l’arianesimo e più in generale il subordinazionismo), quasi fosse un uomo elevato al rango di Dio, allo stesso livello delle creature e non di natura divina, subordinato al Padre ma a sua volta superiore allo Spirito. I Padri conciliari riuniti a Nicea nel 325 sancirono finalmente, in opposizione ad Ario, che il Figlio è «Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre». In altre parole, Dio proveniente da Dio, generato dal seno del Padre e non creato come gli esseri inferiori (alla creazione dei quali anzi egli stesso ha partecipato: «per mezzo di lui tutte le cose sono state create») e soprattutto in nulla differente dal Padre, della Sua stessa sostanza («consustanziale»). Superato questo primo ostacolo, fu necessario definire dogmaticamente la natura dello Spirito e in che relazione Esso si ponesse rispetto al Padre e al Figlio. Il simbolo niceno-costantinopolitano (381) aggiunse, rispetto a quello niceno, un intero paragrafo dedicato allo Spirito Santo, nel quale Esso è riconosciuto come «il Vivificatore» («credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita»), Colui che merita di essere «adorato e glorificato con il Padre», e che ha ispirato i profeti; più tardi (III Concilio di Toledo, 589) fu elaborato il principio della processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio (anche se in fondo la cosiddetta «questione del Filioque» non fu mai del tutto risolta).

La festa odierna offre l’occasione per riflettere anche su quanto sia stata ardua e impegnativa la definizione del dogma trinitario, che tenta di rendere accessibile ilmistero indecifrabile ed esclusivamente cristiano di un Dio unico in tre persone uguali e distinte. In termini matematici, questo dogma si potrebbe esprimere in questa curiosa operazione: 1+1+1 uguale 1. In verità, riprendendo una felice osservazione di don Tonino Bello, la Trinità non esprime tanto un’addizione, ma piuttosto una moltiplicazione: 1x1x1 uguale 1. Perché «questa è l’Unità: vivere l’uno per l’altro». Questo è  l’insegnamento, questa l’Unità a cui siamo chiamati a omologare le nostre vite: perché, attraverso lo Spirito Santo, effuso dal Padre e dal Figlio su tutti i credenti, anche noi entriamo in questa profonda comunione, in questa inconsueta matematica dell’amore, in cui tutto è uno.

 

About Sabrina Antonella Robbe (68 Articles)
Laureata in Filologia e Letterature del Mondo Antico, è Dottore di Ricerca in Studi Filologico-Letterari Classici (Università di Chieti). I suoi interessi spaziano dal mondo classico a quello cristiano medievale, con particolare attenzione alla storia e letteratura del cristianesimo tardo-antico e all’agiografia.
Contact: Website