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La morte del cardinal Martini fa già discutere e riflettere. Alle parole inopportune seguono, sottovoce, quelle dei ricordi

È già dibattito sulla morte di cardinal Martini. Il vescovo emerito di Milano, morto ieri a Gallarate, fa discutere sulla rete e sui media di ogni genere e tipo anche a poche ore dalla sua dipartita. Dopo i “misteri” del conclave e i rapporti con i Papi, oggi spunta il caso sulla sua morte e sulla volontà di non “subire” accanimento terapeutico. Eppure il gesuita, il biblista, ma soprattutto l’uomo capace di usare penna, parola ed immagini aveva supplicato, nel suo colloquio immaginario con televisione e mezzi di comunicazioni, che «non è vero che tutto va detto, urlato, mostrato – scriveva Martini nel “Lembo del mantello” –  Deve pure esistere la capacità di alludere, di far intendere, di adombrare». Nonostante le tanto condivise, dolci e decise, monizioni del vescovo torinese, classe ’27, i «paradossi e gli stridenti contrasti» di un notiziario sembrano avere ancora il sopravvento sul silenzio che l’elaborazione di un lutto e di una perdita richiedono. In qualche modo «capita a un telegiornale – continuava il cardinale – che dopo la voce spezzata della madre cui è morto un figlio, mi proponi il linguaggio ufficiale e stereotipo dei politici».

Ricordare e provare a notare i fiori prodotti dal seme che muore e marcisce nella terra è probabilmente l’unico modo per dar veramente notizia del “passaggio” in cielo di un defunto e in questo caso del pastore di Milano, di colui che tanto puntò nel tentativo di accostare i laici alla Sacra Scrittura con la lectio divina e gli incontri sulle domande della fede e di quello stesso presule che non ebbe mai paura di uscire, sempre con correttezza e determinazione, dal coro delle opinioni episcopali, di dire la sua!

Ed è proprio per questo che accanto agli stridenti dibattiti politici e opportunistici sulla pesante eredità culturale e sociale del cardinale passano, sottovoce, i saluti di coloro che in qualche modo lo hanno incontrato nel cammino della storia. «Ricordo con gratitudine – le parole che Benedetto XVI affida al telegramma inviato ieri al Card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano – la sua intensa opera apostolica profusa quale zelante religioso figlio spirituale di sant’Ignazio, esperto docente, autorevole biblista e apprezzato rettore della Pontificia Università Gregoriana e del Pontificio Istituto Biblico, E quindi come solerte e saggio arcivescovo di codesta Arcidiocesi Ambrosiana. Penso altresì al competente e fervido servizio da lui reso alla parola di Dio, aprendo sempre più alla comunità ecclesiale i tesori della Sacra scrittura, specialmente attraverso la promozione della Lectio divina». E alle parole del Papa seguono quelle di chi ne ha saputo apprezzare la volontà di confronto con le altre religioni, tanto da riconoscerlo come «amico e uomo di dialogo», afferma il presidente delle comunità ebraiche italiane. «Il cardinal Martini – continua Enzo Gattegna – ha scritto alcune pagine memorabili di incontro tra i popoli prodigandosi in particolare per avvicinare nel solco dei molti valori comuni ebrei e cristiani. Un impegno straordinario per intensità ed efficacia, di cui troviamo traccia in numerosi suoi studi e significativamente ribadito con la decisione di trasferirsi a Gerusalemme una volta concluso il lungo mandato milanese, che ha portato indiscutibili benefici a tutta la società italiana contribuendo ad aprire una nuova era di pace e di fratellanza di cui tutti oggi possono godere. Il cardinal Martini è stato un amico, una guida, un punto di riferimento. Che il suo ricordo sia di benedizione». E ancora: «L’abbiamo sempre apprezzato – dichiara il portavoce dell’Unione delle comunità islamiche in Italia, sir Hamza Piccardo – e stimato per le sue posizioni lucide e coraggiose che allo stesso tempo non hanno mai causato contrasti. Un esempio straordinario la sua vita ma anche la sua morte. Colpiscono il suo amore per Gerusalemme e la sua volontà di testimoniare vicinanza a quei luoghi spirituali. E anche la sua morte, con il rifiuto dell’accanimento terapeutico, è in perfetta linea con la sua umanità. Lascia – conclude Piccardo – un grande vuoto che difficilmente potrà essere colmato».

Insomma, il cardinal Martini «ha testimoniato la capacità – sono le parole di sintesi e chiusura “rubate” a don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del gruppo Abele – di usare la cultura come strumento per avvicinare sempre meglio tutti, soprattutto i poveri e gli ultimi. Ha creduto in una Chiesa più povera, quindi più forte, invitandoci a essere una Chiesa capace d’interferire e risvegliare le coscienze, di denunciare non solo gli affari criminali e le ingiustizie sociali ma anche le illegalità diffuse e le morali di convenienza».

 

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Direttore responsabile del notiziario online "Laporzione.it" e responsabile dell'Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne. Laureato in Scienze della Comunicazione sociale e specializzato in Giornalismo ed Editoria continua la ricerca nell'ambito delle comunicazioni sociali. E' Regista e autore di
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