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La vecchiaia dal punto di vista della Bibbia

Alla ricerca del senso perduto della vecchiaia

Malattia, vecchiaia, morte, sono parte naturale della vita, orizzonte della vita di ogni uomo. Nell’epoca contemporanea, però, questi fenomeni hanno cessato di essere significativi ed evidenti, per diventare schegge impazzite di un male radicale che rivendica prepotente una giustificazione. Svincolate dal corso naturale della vita – malattia, vecchiaia, morte – non sono più percepiti come realtà che hanno un senso, ma come problemi che vanno giustificati. La differenza rilevante, ci sembra, è che il senso affonda le radici, e al contempo fiorisce, nella verità e nell’amore, la giustificazione affonda e sfiorisce nella rabbia e nel risentimento verso la vita.

Anche il pensiero moderno, del resto, dopo essersi tanto affannato per darci una teodicea, con relativa antropodicea, oggi sembra più incline a percorrere la via della gerontodicea, per giustificare la sofferenza e la morte. Riguardo la vecchiaia, infatti, alla domanda –“Che senso e valore ha?” – si va sostituendo, in quasi tutti gli ambiti disciplinari, –“A che serve la vecchiaia?”– e, ancor più, ­–“Cosa giustifica la vecchiaia in via di principio?”–.

Dittatura della giovinezza ­– Certo, non è un dato da sottovalutare quello confermato dai dati statistici: nella nostra civiltà aumenta quantitativamente la popolazione di età più anziana e, proporzionalmente e costantemente, diminuisce il numero dei giovani. In occasione della seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, organizzata dall’ONU nel 2002 a Madrid, si è stimato che, se nel 1950 la percentuale di anziani nel mondo era dell’8%, nel 2000 sarà del 10%, e nel 2050 si raggiungerà la quota del 21%. La ragione di ciò, oltre al progresso delle tecniche mediche e l’innalzamento del livello di vita, va rintracciata anche nella profonda crisi demografica. Tuttavia, nonostante il mondo contemporaneo sia una società di vecchi, la nostra civiltà si pensa, ed è pensata, come società dei giovani e per i giovani. La struttura della vita della società, della cultura, i mass media, la logica dei processi produttivi ed informativi, lo sviluppo della tecnologia, ci dicono che il presente è completamente sottomesso alla «dittatura della giovinezza»: siamo una società di vecchi che esiste, crea, e vive, nel culto della giovinezza. La condizione anziana nella società contemporanea, a ben vedere, è legata ad un paradosso: abbiamo tutti la fondata speranza di diventare vecchi e di morire in età avanzata, abbiamo ricevuto in dono molti più anni da vivere rispetto alle precedenti generazioni, eppure ci manca una cultura della vecchiaia. Anzi, la mentalità corrente, basata sulla ricerca dell’autosufficienza e del benessere, si sente disturbata dalla vecchiaia, perché manifesta i segni della debolezza umana, e quest’ultima non è più percepita come vita: gli anziani sono un peso sociale, un peso economico, un peso per la famiglia, un peso per se stessi. La longevità è stata una conquista, ma il messaggio che gli anziani ricevono, ancora di più se malati, soli, e poveri, è che è meglio farsi da parte; l’età contemporanea regala agli anziani tanti anni in più da vivere, ma non sa cosa farsene, soprattutto se non invecchiano bene, come giovani immortali.

Giustificazione o senso? – Si può, e si deve, ridurre la vecchiaia ad un problema economico e sociale da giustificare? È possibile, oggi, uscire dalla logica della giustificazione di un problema, per rientrare in quella di un orizzonte di senso che restituisca la vecchiaia, e indirettamente anche la malattia e la morte, al corso naturale della vita?

A queste domande cerca di rispondere un libro appena pubblicato: «Vecchiaia. La benedizione nascosta» (AA.VV., a cura di Marco Gnavi, I libri di Sant’Egidio-Francesco Mondadori, Milano 2012, pp. 253). Grazie al contributo di studiosi qualificati e autorevoli personalità, tra le quali il metropolita ortodosso russo Filaret, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, si è voluto interpretare la vecchiaia alla luce della sapienza spirituale maturata nella tradizione cristiana. Ortodossi e cattolici, insieme, ci aiutano a leggere la vecchiaia con sguardo cristiano, per coglierne il senso – non per giustificarla – nella verità e nell’amore.

Vecchiaia e sapienza cristiana – Il tema della vecchiaia rappresenta un filo conduttore di riflessione antropologica e spirituale risalente ai Padri della Chiesa, al monachesimo dei primi secoli, per arrivare al Magistero della Chiesa dei nostri giorni. Vi sono forti, e soprattutto chiari, richiami nella Bibbia. Per un’ermeneutica della vecchiaia, centrale è il richiamo attraverso il quale Isaia mostra l’ideale escatologico della salvezza: «Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cento anni» (65, 20). La Bibbia sottolinea con forza che la vecchiaia è una benedizione, perché è il tempo in cui l’uomo raggiunge la pienezza, meglio la sazietà – come quando si dice di Davide: «Morì in vecchiaia sazio di anni, di ricchezza e di gloria» (1Cr 29, 28). Ma cosa significa questa sazietà di vita che fa della vecchiaia una benedizione?

La sazietà, nella Bibbia, è più della maturità, più della saggezza, più dell’onore e del rispetto, che fanno, di una vita vissuta, una vita vissuta qualitativamente bene. La sazietà di vita della vecchiaia si definisce valutando, e si valuta definendo, la relazione personale che un uomo ha con Dio, il suo Creatore. Nella Scrittura, infatti, l’anziano è un bene per i membri della famiglia, della stirpe, per tutti i membri della comunità, non tanto perché è genericamente simbolo della saggezza della vita, quanto perché è specificatamente espressione della pienezza della relazione con Dio, il segno della fedeltà di Dio, e del compimento dei comandi del Signore: «Fino alla vostra vecchiaia io sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie. Come ho già fatto, io vi porterò e vi salverò» (Is 46,4).

Il Dio della Bibbia non solo crede nella vita dell’anziano, ma vuole portarlo fino alla vecchiaia, perché pensa di affidargli un compito specifico, che possiamo ritrovare nelle parole del profeta Gioele: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (Gl 3,1). La Parola di Dio ci dice che esiste un compito, anzi un sogno, anche per l’anziano: si compirà un futuro di pienezza perchè Dio ha effuso il Suo Spirito su tutti, anche sugli anziani. Nella Bibbia, il sogno – pensiamo a Giuseppe in Egitto o alla profezia di Daniele –, è speranza e responsabilità: il Dio della Bibbia crede nel futuro dell’anziano, e lo fa sperando che, al pari di ogni credente, continui ad essere un discepolo – con un itinerario di fede ancora da compiere, e un testimone – per l’itinerario di fede compiuto. L’anziano ha una vocazione, come un discepolo qualsiasi, e, in virtù della sua età, più di un discepolo qualsiasi: la vocazione della testimonianza, la bellezza della testimonianza. Nel salmo 92 si legge: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore mia roccia: in lui non c’è malvagità» (15-16).

Per la sapienza cristiana, l’orizzonte di senso entro il quale la vecchiaia va interpretata, dicevamo, è la relazione personale dell’uomo con Dio, con il suo Creatore. Questa relazione definisce il senso della vecchiaia, e il ruolo dell’anziano nella comunità. Di più, questa relazione definisce anche quali rapporti debbano intercorrere tra giovani ed anziani, come espresso nel quinto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore tuo Dio ti dà» (Es 20,12). È un comandamento con una promessa: la venerazione resa al passato nella persona dei genitori rivela all’uomo Dio stesso, che ha conservato la vita dei predecessori, e si impegna a realizzare quello della generazione attuale. Nel quinto comandamento, Dio pone le basi della relazione tra figli e genitori, tra i giovani e i vecchi, tra una generazione e l’altra. San Benedetto, nella sua Regola, esprime la dinamica che deve intercorrere tra giovani ed anziani in una comunità con due verbi: «venerare gli anziani; amare i giovani». Venerare non è solo rispettare; è una delle espressioni mature dell’amore, perché percepisce, e non oltrepassa, quello spazio sacro – di mistero e rispetto – per cui un fratello è altro da me, in quanto immagine di Dio, come me. Amare, nel senso di diligere, è carità, insieme a tenerezza, discrezione, discernimento, consolazione, e tutto ciò che è necessario per far crescere e maturare una persona.

La vecchiaia è una benedizione, perché è pensata da Dio come tempo della sazietà: età veneranda per la comunità, luogo antropologico di testimonianza, e di amore per Dio e per i fratelli, per l’anziano. Ma non è sempre così. La Bibbia non nasconde i problemi, le difficoltà e le paure della vecchiaia, anche della vita del credente. Il Qoelet esprime molto bene questa situazione: «Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni in cui dovrai dire: “Non ci provo alcun gusto”» (Qo 12,1).

Solitudine, malattia, prove della vita, stigmatizzazione della società, fanno spesso della vecchiaia una vita senza gusto, senza futuro, senza impegni. Forse molti anziani si ritrovano in quanto diceva Qoelet: «Non ci provo più gusto». Gli anziani stessi, spesso, sono i primi a perdere il significato della vecchiaia: non più autonomi, incerti sul futuro, chiusi nella solitudine, alla fine vivono tristi per quello che si è perduto, e ripiegati su un presente in cui non si trova più senso. In qualche modo, la vicenda che più di tutte descrive la problematicità della vecchiaia è quella di Giobbe, l’uomo benedetto da Dio, ma poi all’improvviso privato di tutto: figli, beni, salute, amicizia. Giobbe è un problema per la Bibbia stessa, perché contraddice in sè – come l’esperienza di molti conferma – la vecchiaia come benedizione di Dio, come età veneranda.

Il messaggio della Bibbia ­– Ci chiediamo allora: che senso può avere il messaggio della Bibbia per gli anziani, e la società tutta, di oggi? Il messaggio si comprende, ci sentiamo di esemplificare, se si innesta la verità della vecchiaia come benedizione su un’etica della responsabilità e della carità, dell’anziano verso la società, e della società verso l’anziano.

Una società sostanzialmente vecchia, che si costruisce su una dittatura – culturale e immorale – della giovinezza, è destinata ad implodere. Urge l’elaborazione di una cultura della vecchiaia che ne riscopra e valorizzi i carismi, quei doni dello Spirito che si effondono anche sugli anziani e che la fede ci aiuta a capire ed amare. La società deve riscoprire quei carismi che rendono la vecchiaia veneranda, e gli anziani devono tornare a farsene testimoni, come discepoli della Fede. Diceva suor Emmanuelle Cinquin:« Non ho mai sentito la vita vuota e sono persuasa che ovunque ci si trovi, anche soli, ammalati, in un letto d’ospedale, ci si può sempre interessare agli altri, alle persone che ci circondano, e si può pregare» (Suor Emmanuelle, Sono una delle donne più felici della terra, Cinisello Balsamo 2011, p. 47).

Il beato Giovanni Paolo II è tra le figure spirituali che meglio hanno saputo esprimere la vecchiaia come pienezza e sazietà di vita, mostrando all’umanità tutta come anche la sofferenza estrema, e la debolezza di un corpo fragile, possono diventare la più alta testimonianza di fede; la debolezza dell’anziano non è limite, ma grazia, in quanto immagine della sofferenza di Cristo sulla croce: «La forza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9).

Nel beato Giovanni Paolo II troviamo ricomposti, sublimemente, tutti quei carismi dell’anzianità, che la società deve imparare a venerare, e gli anziani a testimoniare. Nella Christifideles laici [48] del 1988, scriveva:«Alle persone anziane, spesso ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d’insopportabile peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende esse abbiano a continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo possibile e doverosa a questa età, ma da questa età resa in qualche modo specifica e originale. La Bibbia ama presentare l’anziano come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio (cfr. Sir 25, 4-6). In questo senso il dono dell’anziano potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella società, il testimone della tradizione della fede (cfr. Sal 44,2; Es 12,26-27), il maestro di vita (crf. Sir 6,34: 8,11-12), l’operatore di carità».

La società e la Chiesa hanno bisogno dei carismi della vecchiaia, gli anziani hanno bisogno della Chiesa e della società. Questa è la beatitudine, spesso nascosta, della vecchiaia.