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«…e dite loro che è del Papa»

Suggestiva rievocazione della celeberrima fiaccolata di cinquant’anni fa

È terminata poco fa, tra Castel Sant’Angelo e Piazza San Pietro, la fiaccolata organizzata dall’Azione Cattolica Italiana e dalla Diocesi di Roma, con la quale s’è voluta commemorare quella, indimenticabile anche per chi non l’ha vissuta che guardandone i filmati storici, chiamata “del discorso alla luna” o “della carezza ai bambini”.

Fin da ieri pomeriggio frotte di autobus intasavano Via della Conciliazione e dintorni, congestionando a tratti le code sui lungotevere: stupisce, ma neanche troppo, che la massima parte del concorso di popolo si sia concentrata nell’evento di questa sera, trascurando invece la splendida celebrazione di stamane, con la quale è stato aperto l’Anno della Fede.

C’è da sperare che la futura memoria di questa serata voglia dimenticare certi aspetti della cornice, quali l’alternanza di riff dei Dire Straits e di canoni di Taizé sul palco a Castel Sant’Angelo; le “testimonianze” del barista del Concilio (sic! Quello che ha “preparato tanti caffè per i Padri”) e di una bambina di tredici anni che spiega cos’è il Vaticano II per lei; il solito orgoglio associazionistico che si gonfia nel ripetere il numero crescente dei convenuti e canti scritti in un latino dalle desinenze sbagliate…

C’era però una dimensione di autenticità che neanche la televisione, con tutte le sue paillettes, è riuscita a occultare: nell’unico serpentone della fiaccolata erano riuniti giovani papaboys cresciuti a pane e GMG e testimoni della prima fiaccolata, quella del ’62. Anche Benedetto XVI, parlando a braccio (qui il video, qui il testo), ha prima di tutto rievocato quella sera in cui anche lui era in piazza, «sotto questa finestra, dalla quale si affacciò il buon Papa, il Beato Papa Giovanni e ha parlato a noi con parole indimenticabili, parole piene di poesia, di bontà, parole del cuore».

«La mia persona conta niente, in tutto questo»: Monsignor Capovilla, guidato in collegamento video da Fabio Zavattaro, ha individuato in queste parole del discorso di Giovanni XXIII come la cifra della sua spiritualità e della sua cura pastorale, scrupolosa di non trovarsi al centro di un’attenzione che doveva essere rivolta ad altro.

Allo stesso modo, Benedetto XVI ha delicatamente carezzato il filo dei ricordi – tessendo i pensieri e le emozioni di tanti che, come lui, erano stati già in quella piazza sotto il balcone del suo predecessore – e ne ha poi stornato le trame dalla sua persona, riconducendo invece l’attenzione alle analogie e alle differenze intercorse tra le due serate e le relative atmosfere. All’euforia della prima si sostituisce «una gioia più sobria»: «In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato».

Non c’è solo l’agostinismo di Benedetto XVI, malinconico benché fiducioso, in queste affermazioni: c’è il dolore di un uomo che ha dovuto assistere all’implosione dei vagheggiamenti “progressisti” (nel senso di un indefinito e ingenuo ottimismo nei confronti del futuro) nella realtà più profonda dell’uomo, tanto bisognoso di redenzione perché radicalmente compromessa dal peccato. Nella voce del Papa tremava il ricordo dei sempre troppo recenti scandali per pedofilia, delle inadeguatezze del governo centrale della Chiesa, dei tradimenti ultimamente perpetrati a suo danno personale da «quelli di casa sua»: «Anche nella rete di Pietro ci sono dei pesci cattivi».

E tuttavia l’ultima parola della serata è stata parola di speranza e di fiducia: «Anche oggi, a suo modo, umile, il Signore è presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio». Una parola di delicatezza e d’amore, che “osava citare” quelle del predecessore: «Andate a casa, date un bacio ai bambini, e dite che è del Papa».

Come uno struggente abbraccio, in cui la piazza urlava il suo “ti vogliamo bene”, e il Papa convertiva misteriosamente la sua solitudine dorata in una prossimità ineffabile.

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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