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Tre volte bellissima

A cavallo tra Ottocento e Novecento, i testi fondamentali per rintracciare la versione originale del Tota pulchra

Il Tota pulchra è uno degli inni mariani più belli e più noti, almeno nell’Occidente di antica tradizione cristiana. Ciononostante, a causa dell’essere perlopiù assegnato alla solennità dell’Immacolata Concezione, esso è sovente confinato, nell’uso, ai giorni (nove, di solito) che precedono detta solennità. Basta avere una pratica anche minima degli eventi fondamentali dell’anno liturgico per ritrovare come familiare la melodia gregoriana dell’inno, con la quale esso viene di solito divulgata tra il popolo di Dio. Proprio perché si tratta di un testo usato in uno spicchio relativamente angusto del tempo liturgico, è quantomeno difficile che tra i fedeli possano prendere piede forme diverse, nella musica o nel testo, da quella sancita dall’abitudine, e che si cristallizza ipso facto in una certa qual “tradizione” – eppure Perosi musicò intensamente l’inno, come già avevano fatto, tra gli altri, Schumann (Robert) e Bruckner.

Come è noto (e avevamo accennato alla cosa un paio d’anni fa), quello dell’Immacolata Concezione di Maria è uno dei dogmi mariologici di più recente definizione (Pio IX, Ineffabilis Deus, 1854), benché il contenuto del dogma fosse più o meno chiaramente e concordemente acquisito già a partire dal II secolo dell’era cristiana. È ben immaginabile, quindi, che a partire dal 1854 la produzione poetica e musicale dei cristiani abbia conosciuto un vero “effetto collo-di-bottiglia”… Ma perché ci dilunghiamo su queste cose? Perché si resta sbalorditi a constatare come nel Liber usualis (il testo più autorevole in materia di innologia latina) il Tota pulchra assegnato ai Secondi Vespri della Solennità non sia affatto conforme a quello che si canta comunemente, e che i musicisti hanno più e più volte musicato.

Ecco, entrando in una chiesa qualunque si ascolterà probabilmente questo canto:

 

Tota pulchra es, Maria, [x 2]

et macula originalis non est in te. [x 2]

Tu, gloria Ierusalem, tu lætitia Israel,

tu, honorificentia populi nostri;

tu, advocata peccatorum…

o Maria… [x 2]

Virgo prudentissima, Mater clementissima,

ora pro nobis: intercede pro nobis

ad Dominum Iesum Christum.

Sei tutta bella, Maria, [x 2]

e la macchia originale non è in te. [x 2]

Tu, gloria di Gerusalemme, tu gioia di Israele,

tu, onore del nostro popolo;

tu, avvocata dei peccatori…

o Maria… [x 2]

Vergine prudentissima, Madre clementissima,

prega per noi: intercedi per noi

presso il Signore Gesù Cristo.

Alle pagine 1320-1321 del Liber usualis, invece (ci riferiamo all’edizione del 1961), si trova un testo risultante dalla giustapposizione di cinque distinte antifone, ciascuna delle quali seguita dal modulo di un proprio salmo. Leggendo (o cantando) di seguito queste antifone si ottiene il seguente testo:

 

 

 

I) Tota pulchra es Maria,

et macula originalis non est in te.

II) Vestimentum tuum candidum quasi nix,

et facies tua sicut sol.

III) Tu gloria Jerusalem, tu laetitia Israel,

tu honorificentia populi nostri.

IV) Benedicta es tu, Virgo Maria, a Domino Deo excelso, prae omnibus mulieribus super terram.

V) Trahe nos, Virgo immaculata,

post te curremus in odorem unguentorum tuorum.

I) Sei tutta bella, Maria,

e la macchia originale non è in te.

II) Il tuo vestito è bianco come la neve,

e il tuo volto come il sole.

III) Tu <sei> la gloria di Gerusalemme, la gioia d’Israele, tu <sei> l’onore del nostro popolo.

IV) Benedetta sei tu, Vergine Maria, dal Signore Dio altissimo, al di sopra di tutte le donne della terra.

V) Trascinaci, Vergine Immacolata; correremo dietro di te nella scia dei tuoi profumi.

 

Che testo è, questo del Liber usualis? Difficilmente riusciremo a dare una risposta quest’oggi, ma proprio perciò ci piace complicare il problema: il Liber usualis infatti è un’edizione dell’abbazia benedettina di Solesmes, che tanto s’è prodigata per il recupero e la promozione della tradizione gregoriana, a partire dal grande abate Prosper Guéranger. Ecco, uno dei più stretti e validi discepoli del Guéranger si chiamava Joseph Pothier: dopo essere stato sottopriore e priore a Solesmes, questi si recò a rilevare la decaduta abbazia di Saint-Wandrille de Fontenelle, e nel 1898 ne divenne abate. Di lì a pochi anni, però, il primo ministro francese René Waldek-Rousseau avrebbe promosso un’abolizione di ogni restrizione in materia di diritto associativo (1901), salvo ritirarsi per malattia l’anno dopo (sarebbe morto nel 1904) e lasciare quel provvedimento in mano al feroce anticlericale Émile Combes, suo successore (che ne avrebbe approfittato per far chiudere centinaia di scuole e conventi cattolici). Risultato: dom Pothier dovette emigrare dalla Normandia al Belgio con tutta la comunità. Una sua opera, però, ottenne nel frattempo l’imprimatur a Parigi, nel 1903: Cantus Mariales è una raccolta di «egregî monumenti della pietà dei nostri avi», i quali «giacciono ormai quasi tutti nella polvere dell’oblio, sepolti in antichi codici». I testi recuperati, c’informa dom Joseph, sono «in parte dissotterrati dai monumenti [ma “monumenta” significa anche “tombe”] del medioevo, in parte racconciati oggidì secondo la norma di questa antica età» (Cantus Mariales, V).

L’anno dopo Papa Pio X nominava Pothier presidente della Pontificia commissione per l’edizione vaticana dei libri liturgici gregoriani, e così il nostro soggiornò a Roma fino al 1913. Dico tutto questo da un lato per esemplificare una volta di più come i progressi delle scienze umane si mescolino sempre a vicende tutt’altro che “pantofolaie”, dall’altro per premettere che certamente Pothier non era l’ultimo arrivato in materia di gregoriano: uscendo praticamente a ridosso dei Cantus Mariales di Pothier, il quarto volume della maestosa indicizzazione innologica di Ulysse Chevalier (ce ne siamo già valsi a proposito dell’Ad cenam Agni providi) indica come riferimento esclusivamente i lavori del benedettino esule.

 

1.) Tota pulchra es, o Maria, tota pulchra es, et macula non est in te.

Quam speciosa, quam suavis in deliciis Conceptio illibata!

Veni, veni de Libano, [x 2]

veni, veni, coronaberis.

2.) Tu progrederis ut aurora valde rutilans, Affers gaudia salutis.

Per te ortus est Christus Deus, sol iustitiæ, o fulgida porta lucis. R.

3.) Sicut lilium inter spinas : inter filias sic tu Virgo benedicta.

Tuum refulget vestimentum ut nix candidum ; sicut sol facies tua. R.

4.) In te spes vitæ et virtutis, omnis gratia et viæ et veritatis.

Post te curremus in odorem suavissimum trahentium unguentorum. R.

5.) Hortus conclusus, fons signatus, Dei Genitrix, et gratiæ paradisus.

Imber abiit et recessit, hiems transiit, jam flores apparuerunt. R.

6.) In terra nostra vox audita, vox dulcissima: vox torturi, vox columbæ.

Assume pennas, o columba formosissima! Surge, propera et veni. R.

Sei tutta bella, o Maria, sei tutta bella e non c’è macchia in te.

Quanto sei bella, quanto soave con le tue delizie, Concezione illibata!

Vieni, vieni dal Libano, [x 2]

vieni, vieni, sarai coronata.

2.) Avanzi gagliarda come un’aurora fiammeggiante, porti con te le gioie della salvezza.

Per mezzo di te è sorto Cristo Dio, sole di giustizia, o fulgida porta della luce.

3.) Come un giglio tra le spine: così tu tra le ragazze, Vergine benedetta.

Il tuo vestito rifulge candido come la neve; come il sole il tuo volto.

4.) In te sono la speranza di vita e virtù, ogni grazia della via e della verità.

Correremo dietro di te nella soavissima scia di trascinanti profumi.

5.) Giardino chiuso, sorgente sigillata, Madre di Dio e paradiso di grazia.

La rugiada è scomparsa e s’è dissolta, l’inverno è trascorso, sono già comparsi i fiori.

6.) Nella nostra terra s’è sentita una voce, una voce dolcissima: voce di tortora, voce di colomba.

Dispiega le penne, o bellissima colomba! Innalzati, avvicinati e vieni.

 

 

Così dunque, per farla breve (quanto possibile), questo è il testo che dom Pothier riportava nei suoi Cantus Mariales: non si tratta di una vera e propria opera filologica, ma più di “un sussidio pastorale erudito”, in cui i testi venivano sì salvati, ma qualche volta anche ritoccati in ordine alla cantabilità o all’ortodossia; per di più, anche le fonti non sono sempre molto ben indicate, «specie nel caso – avvisa il Redattore della raccolta – di testi relativamente moderni». Il testo del Tota pulchra dom Joseph lo ha tratto «da varî centoni [raccolte di testi divise normalmente in cento capitoli, n.d.r.] trattanti testi liturgici» (7). Insomma, il testo riportato nei Cantus Mariales è senz’altro relativamente antico (beato chi, come Wikipedia, riesce ad affibbiarlo con sicurezza al IV secolo!), ma nulla di eventuali e praticamente certe discordanze tra i varî codici di riferimento ci è stato riportato: lo Chevalier, del resto, non indica alcun altro riferimento all’infuori di Pothier. Il fatto che il Liber usualis venga dal medesimo ambiente di Solesmes, poi, (unitamente alla differenza del genere dell’inno da quello delle antifone) incoraggia a non crucciarsi troppo per le divergenze tra questo e il testo dei Cantus Mariales.

Restano però delle non trascurabili differenze, tra il Tota pulchra che si tramanda di generazione in generazione e quello che dom Joseph disseppellì «dalla polvere dell’oblio». Torneremo a parlarne.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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