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«Lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni»

Contro le povertà. Possibili applicazioni di un “modello non profit” alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

Dal computer al comodino, dalla bicicletta alla maglietta, dal tostapane alla macchina del caffè, tutto può essere riutilizzato, riparato, riciclato, usando le proprie mani e condividendo le proprie conoscenze. Mai come in questi tempi, può essere una risorsa riuscire a recuperare e riparare tutto quello che, per troppo tempo, ci hanno insegnato “si può anche buttare”.

Imparare l’arte del recupero, e insegnarla agli altri, è possibile; anzi, può diventare una festa. Il 24 marzo si è tenuto il primo Restart Party italiano, a Milano, nella nuova Stecca degli Artigiani: all’aperto, da mattina fino a sera, una grande esposizione di oggetti “riparati-riutilizzati-riciclati” con relativa messa all’asta. La vera novità del Restart Party è consistita, tutta, nella presenza di laboratori, gestiti da persone esperte, che condividevano le proprie competenze sul modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni». C’erano, tra i tanti, i laboratori di ciclomeccanica gestiti dall’associazione +bc, che da un decennio si adopera per salvare le vecchie biciclette e reinventarle in vari modi; c’era la legnofficina del laboratorio Bricheco, con mobili e oggetti in legno da insegnare-imparare a recuperare e restaurare; molto apprezzata la PCofficina, che riesce a ridare nuova vita a computer considerati a torto obsoleti, magari semplicemente installando sistemi operativi che li rendono più efficienti; ad attrarre i più giovani, il laboratorio di serigrafia e fumetti “Unza!”, che sa decorare una maglietta nuova o anche impreziosire quella usata, oltre ovviamente insegnare come farlo. I Restart parties sono stati ideati, nel Regno Unito, dal Charitable Incorporated Organisation un Ente giuridico, non governativo, istituito per coordinare e supervisionare gli enti che si occupano di beneficenza, precisiamo, non di carità.

Se questo è un Restart Party, potrebbe essere interessante “riciclare-recuperare” il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni». Un modello, sembrerebbe, vincente per il nostro tempo, perché flessibile e pluri-funzionale: potrebbe diventare un modello pedagogico per le scuole; un modello di tirocinio per le organizzazioni e gli enti di formazione socio-professionale; un modello educativo per il nostro tempo, se la parola “crisi” fa paura nella misura in cui impedisce quel consumo indisciplinato al quale guardiamo con malsana nostalgia. Condivisibile, del Restart Party, anche l’idea virtuosa della condivisione delle competenze, perché riconosce che l’uomo in sé è la prima risorsa da capitalizzare. Apprezzabile, infine, il pensare non si viva di sola “università”: molto gioverebbe all’intelletto, in competenze e creatività, tornare ad utilizzare le mani; unitamente, ne gioverebbe anche la cultura e l’economia.

Il Presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, il 21 marzo, nel suo intervento al Forum annuale dell’associazione ha annunciato: «La crisi economica si sta trasformando in crisi sociale, l’area della povertà assoluta potrebbe estendersi a oltre quattro milioni di persone nell’anno in corso». Tuttavia, dall’altra parte, la Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese) allarma sulla scomparsa dell’artigianato e sui 500mila posti vacanti entro il 2020. Allora – si prevede – mancheranno pellettieri, borsettieri, falegnami, muratori, carpentieri, carrozzieri, saldatori, riparatori di orologi, elettricisti, parchettisti. Ruoli che i giovani potrebbero coprire in brevissimo tempo e invece non lo fanno. E se alcuni bisogni vengono mitigati dall’“effetto sostituzione” degli immigrati, altri rischiano proprio di sparire. A questi dati vanno aggiunti quelli riguardanti lavori nobilissimi, tipici della migliore tradizione italiana – riparatori di manoscritti, restauratori, ebanisti, orafi, ricamatrici, sarti, vetrai, liutai, rilegatori –, destinati a scomparire per la rilevata e rilevante mancanza di apprendisti. Più orientamento nelle scuole, più in-formazione, meno pregiudizi nel decretare cosa sia “cultura”, concorrerebbero a far conoscere a molti ragazzi professioni che ignorano e, invece, sono vitali per la nostra economia. Certamente, tutto questo richiederebbe un cambiamento della mentalità imperante, e, ancor più, politiche capaci di sostenere il mondo dell’artigianato e della piccola imprenditoria; quest’ultimo, il settore più promettente e fertile per la nostra economia, è, per una ingiustificabile contraddizione, anche il più vessato dalle tasse e il più colpito dalla attuale crisi – su cui grava, non dimentichiamo, l’ignominia dei tanti piccoli imprenditori morti suicidi.

Nell’intuizione originaria del Restart Party, e nelle possibili applicazioni da noi considerate, il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni» si fonda su alcuni presupposti: esiste una precisa responsabilità sociale del consumatore, unitamente a quella dell’impresa; la maggiore risorsa da valorizzare e capitalizzare, nella civiltà tecnologica globalizzata, è la “risorsa umana”; si rende necessario educare alla condivisione nella reciprocità. Nel rimettere l’“uomo” al centro dell’ordine economico, questo modello ci sembra convergere con quanto indicato da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: «Desidero ricordare a tutti, soprattutto a governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” [n.d.A. Gaudium et spes, n. 63]» (n.25). Per prudenza, tuttavia, ricordiamo che il modello proviene pur sempre da quella realtà composita, genericamente individuata come non profit, sulla cui trasparenza la stessa Caritas in Veritate invita a vigilare.

In senso economico, il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni», è apprezzabile perché considera l’uomo come centro e vertice del ciclo della produzione e del consumo: da una parte, educa i consumatori all’acquisto responsabile, evitando inutili sprechi e non producendo ulteriori rifiuti da smaltire; dall’altra parte, il modello non mortifica l’economia perché il consumatore “crea impresa”, ancor più ri-genera “potere d’acquisto”. In questo, il modello ci sembra convergere con la Caritas in Veritate, là dove l’Enciclica sottolinea che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. […] I consumatori vanno continuamente educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalità economica intrinseca all’atto d’acquisto» (n.66). In senso antropologico, il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni» considera l’uomo come centro e vertice della natura. L’uomo, valorizzando le proprie competenze e imparando a condividerle, interviene sulla natura per custodirla e per metterla a profitto. Si legge nella Caritas in Veritate: «L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n.48). L’uomo è «custode del creato», della natura, ma ne è soprattutto centro e vertice; la natura è per l’uomo, e non viceversa: «l’uomo deve esercitare un governo responsabile della natura per custodirla, metterla a profitto, e coltivarla anche in forme nuove e con tecnologie avanzate…» (n.50). L’imprenditorialità, prima di avere un significato professionale, ne ha uno umano: «Essa è inscritta in ogni lavoro, visto come “actus personae” […]. Non a caso, Paolo VI insegnava che “ogni lavoratore è un creatore [n.d.A. Populorum progressio, 27]» (n.41). Infine, il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni» è pensato per valorizzare le competenze dell’uomo e per condividerle nella reciprocità. A riguardo, si legge nella Caritas in Veritate: «il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario», perché «la sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri […], riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano […]» (n.57).

La dottrina sociale della Chiesa sostiene «possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, anche all’interno della vita economica e non soltanto fuori di essa o “dopo” di essa» (n.36). Inoltre, «occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico» (n.37). Con questo modo di intendere il senso dell’economia e dei suoi fini, il modello «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni» sembrerebbe convenire.

Nel cuore e nella mente di credenti e non credenti, tanta risonanza hanno avuto le parole di Papa Francesco«Vorrei una chiesa povera e per i poveri» – , alle quali è seguito l’invito, a tutti gli uomini di buona volontà, di riscoprirsi «custodi del creato». Le prime parole non erano un “J’accuse”, le seconde non erano uno slogan ambientalista; tutte, invece, erano un invito agli uomini di buona volontà a mutare mentalità e stili di vita, tornando a pensare “tutti gli uomini e tutto l’uomo” come centro e vertice della terra.

A questo fine, potrebbe essere un’idea “riciclare-recuperare” il modello non profit «lo vedi, lo fai, lo impari, lo insegni», e “ripararlo” – nel senso di estenderlo e potenziarlo – alla luce della carità e della dottrina sociale della Chiesa: «il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza l’amore». Infatti, “colui che è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente” [n.d.A. Populorum Progressio n.75]» (n.30).