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Una perla nel deserto

Santa Syncletica: una Madre della Chiesa ci spiega cos’è il male e come si combatte.

Intorno ai secoli III e IV il monachesimo rappresenta uno dei fenomeni più originali del cristianesimo, con una particolare concentrazione nel deserto egiziano. Sembra che i monasteri femminili siano più antichi di quelli maschili, e si riferisce che in Egitto se ne incontrino già a partire dalla metà del II secolo.  Lo stile monastico che prevalentemente scelgono le donne è quello cenobitico (da koinòs bìos, che alla lettera sta per “vita in comune”); tuttavia, non mancano esempi di donne che scelsero l’estrema esperienza spirituale dello stile anacoretico (da anachoréin che significa “ritirarsi”), e lo fecero negli stessi modi che sono consueti ai monaci. Così, tra i Padri del deserto, vissero anche Madri. Sarra, che abita in una celletta presso il Nilo, per sessant’anni è tormentata dal demone della lussuria, infine non solo lo vince, ma lo costringe a dichiararsi vinto. Teodora, che per abbracciare la vita monastica aveva lasciato il marito, per non essere seguita da lui si vestì da uomo, tanto che solo dopo la sua morte nel monastero si scoprì che si trattava di una donna. La più celebre è santa Syncletica: «perla ignorata da molti» secondo gli Acta Sanctorum, celebrata il 5 gennaio secondo il Martilogio Romano. Le citate Madri del deserto sono comprese negli Apophthegmata Patrum (I detti dei Padri del deserto), e questo è abbastanza eloquente dell’autorevolezza e dello specifico carisma delle tre solitarie, se alcuni loro pensieri sono confluiti in una raccolta prevalentemente maschile. Come scrive Giovanni Crisostomo nelle Omelie, parlando delle «vaste assemblee di vergini» che s’incontrano nei deserti egizi, il segno distintivo di queste monache è la forza nell’affrontare le «avversità», una dote considerata anticamente «virile»: «Le donne qui non hanno minore filosofia e vigore degli uomini: vigore non per maneggiare lo scudo né per cavalcare, come vorrebbero i più severi legislatori e filosofi greci, ma per partecipare ad una battaglia ben più aspra e dura. Esse combattono con gli uomini una comune guerra contro il demonio e le potenze delle tenebre. La fragilità del loro sesso non è affatto d’impedimento in questi combattimenti. Queste lotte non richiedono la forza del corpo, ma la buona volontà dell’anima. Perciò, molto sovente, in tal genere di guerra, si sono viste donne combattere con maggiore coraggio e generosità degli uomini e riportare, quindi, le più gloriose vittorie». Nel solco del Cristianesimo nasce un rapporto nuovo tra i sessi: il confronto fra uomo e donna si sposta sul piano spirituale e diventa confronto di anime.

La storia di Magistra Syncletica spicca nell’affascinante ed edificante tradizione spirituale delle Madri del deserto. Il titolo originale della Vita Syncleticæ, tradotto dal greco, è «La vita e i modi della beata madre Syncletica». Gli antichi storici della Chiesa hanno voluto attribuire la paternità dell’opera ad Atanasio (295-373), mentre la tradizione manoscritta l’attribuisce ad altri più o meno sconosciuti scrittori. Si ipotizza che la data di composizione risalga alla metà del V sec., all’incirca tra il 430 e il 450. Nativa di Alessandria, nobile, bellissima e ricca, Syncletica iniziò la sequela di Cristo consacrandosi alla verginità; dopo la morte dei genitori, la giovane si ritirò con la sorella cieca presso un sepolcro lontano dalla città e infine si trasferì nel deserto. Rifiutò assolutamente gli incontri con uomini, ma si vide costretta ad accogliere discepole desiderose di essere iniziate all’ascesi monastica, dando vita assieme a loro ad una forma di vita quasi cenobitica. Sono proprio gli insegnamenti spirituali (didágmata), offerti da Syncletica alle discepole che la interrogano, a costituire il cuore della sua biografia. Per quanto espressa in modo non sistematico, la dottrina di Syncletica ci sembra costituire un’articolata e originale riflessione filosofico-religiosa sul demoniaco, precisamente sui «pensieri malvagi» (logismói) che l’uomo sperimenta in sé. Secondo la psicologia patristica un «pensiero» (logismós) è «lo strumento di cui si servono i demoni per la tentazione, il modo in cui agiscono i demoni sull’uomo e l’estensione dei loro poteri». [*]

Esiste il demonio? Come si manifesta? Se c’è, l’uomo può combatterlo?

Fine della vita dell’uomo – Rivolgendosi alle sue discepole, Syncletica spiega il fine della vita dicendo che «Su questa terra siamo come in un secondo utero». Nel seno materno godevamo di alcuni beni, ma non potevano immaginare quanto maggiori sarebbero stati quelli su questa terra; così, su questa terra, possiamo solo presagire quanto grandi saranno i beni del regno dei cieli. Il fine della vita umana è aspirare alla vita eterna, attraverso la conversione e le opere buone. Ma cos’è un’opera buona? Syncletica è lapidaria: «Ogni opera buona si configura come fuga dal male». Il bene in sé non è difficile da perseguire, perchè «il bene non ha bisogno di arte né di una caccia affannosa, esso attrae a sé gli amanti»; il male, invece, «necessita della divina dottrina per essere eliminato e di molto sforzo». Insomma, solo uno è l’ostacolo che può dividerci dal regno dei cieli: non saper riconoscere, e combattere, il male.

Chi è causa del male? – Si legge nella Vita di Syncletica: «Una delle fiere che distruggono l’animo è il lasciarsi ingannare da quelli che dicono che ci sia un destino, che chiamiamo anche nascita. Questa è la più terribile puntura del diavolo». La sintesi di tutte le tentazioni del diavolo, «scaltro nei mali», consiste nell’offrire il pretesto per tutti i nostri peccati: “Dio è causa del male”; oppure, “siamo soli in balìa di un cieco destino”. Coloro che pensano così – sostiene Syncletica – sono innanzitutto degli «infelici», perché preferiscono barattare il proprio libero arbitrio con la schiavitù di un presunto Dio tiranno o di un determinismo cieco; in più, sono anche infantili e prepotenti: «sono come dei ragazzi che vanno via di casa perché non sopportano l’ammaestramento dei genitori per il loro bene, e, fuggendo, finiscono in luoghi deserti dove entrano in contatto con demoni selvaggi e strani. Essi si vergognano di addebitare alla propria volontà le loro malefatte e mettono sotto accusa quello che non esiste». Infatti, è scritto: «Lo stolto pensa: “Dio non c’è” e: “Parlano dall’alto con prepotenza”» (Sal 13,1; 72,8). In questa teodicea in miniatura, non manca la riflessione di Syncletica sul “male radicale”, sul “male innocente” che pensiamo non provenga direttamente dalla nostra volontà viziata: «I mali che provengono a noi da Dio sono utilissimi. Infatti, per la salvezza dell’anima e il castigo del corpo, ci sono pesti, siccità, malattie, miseria e altre calamità. Ma quelli per cattiveria d’animo considerano realmente come mali i rimedi salutari che ci vengono offerti da Dio per la nostra conversione». Il male c’è, e abita tra di noi, perché è il male della nostra anima. È male tutto ciò che la nostra volontà non sa vincere con il bene, o non sa trasformare in occasione per operare un bene maggiore. Ma la nostra volontà, realmente, può sempre vincere il male con il bene? Per rispondere, continuiamo a ragionare con Syncletica.

Come agisce il diavolo?  – Poiché non possiamo fuggire ciò che non conosciamo, per prima cosa dobbiamo imparare a riconoscere, con la mente, le macchinazioni del diavolo. Syncletica è chiara: «Bisogna sempre vigilare perché fa guerra [il diavolo] con le cose esteriori e sottomette con i pensieri interiori». Come una nave è affondata dalle ondate di fuori e sommersa dall’acqua di dentro, così andiamo in rovina per i peccati esteriori che commettiamo e ci distruggiamo attraverso i pensieri interiori. Il nemico, «astuto nei mali», nell’intenzione di «prendersi l’anima come una casa, o la fa cadere a partire dalle fondamenta, o l’abbatte tutta a cominciare dal tetto, oppure passando per le finestre, prima lega il padrone poi si prende tutto. Le fondamenta sono le buone azioni, il tetto la fede, le finestre i sensi». Il diavolo conosce le prede, e sa ben calibrare i suoi attacchi: «Egli infatti tende molti lacci ed è un cacciatore eccezionale: per gli uccelletti più minuti prepara piccole trappole, per quelli più grandi appronta legacci più forti. I suoi primi lacci sono la gola, la voluttà e la lussuria; ma, come i guerrieri più capaci dopo aver utilizzato le armi più leggere facendosi più pressanti i combattimenti brandiscono l’arma più forte di tutte, la spada, così anche il diavolo dopo aver speso inutilmente le prime esche, fa ricorso alla sua ultima lama, la superbia». A causa della superbia il diavolo fu precipitato e per suo tramite egli prova a prendere gli uomini suoi più forti.

Il diavolo si può vincere? – Molti occhi deve avere chi vuole salvarsi: il demonio – «astuto nei mali» – fa guerra a tutti, con una «fantasia pestifera» e «pensieri falsi e letali». Che cosa ci serve per la guerra? Senza dubbio, raccomanda Syncletica alle discepole, bisogna armarsi di digiuno e preghiera; «tuttavia, questi sono un rimedio in generale, quindi è necessario far ricorso a specifiche intenzioni». Contro il nemico bisogna essere, come sta scritto, «prudenti come serpenti e semplici come colombe». Come il diavolo è astuto nel male, così noi dobbiamo essere astuti nel bene: «ad ogni suo turpissimo pensiero dobbiamo saper opporre il suo contrario». Abbiamo gli strumenti reali per riuscire a far questo? Gli strumenti ci sono e vengono da Dio, perchè «volendosi prendere cura della nostra salvezza sotto ogni riguardo, in nessun modo ha voluto che rimanesse senza presidio alcunché dell’anima. Il nemico muove la libidine? Il Signore ci arma della temperanza. Fa nascere la superbia? Ma l’umiltà non è lontana. Ispira l’odio? La carità si mette in mezzo. Quanti dardi il nemico vibra contro di noi, tante più sono le armi con cui il Signore ci munisce sia per la nostra salvezza sia per il suo abbattimento». Tanto più progrediamo nelle virtù e diventiamo forti, tanto più il diavolo ci tenta con pensieri pungenti: «non potendo nulla contro la nostra virtù, non può che tentarci con la superbia». Se l’arma più potente del diavolo è la superbia, il Signore ci ha armati di umiltà, «una virtù così grande che il diavolo riesce ad imitarle tutte, ma questa non sa cosa sia». Se pure diventassi un perfetto asceta, non inorgoglire perché «i demoni hanno fatto e fanno più cose di te: essi non mangiano, non bevono, non si sposano, non dormono, anzi trascorrono la vita nel deserto per far sembrare a te, che abiti in una grotta, che hai fatto qualcosa di grande». Se è necessario vigilare sulla superbia, bisogna prestare attenzione anche alla tristezza e alla mortificazione: «C’è una tristezza utile che viene da Dio e consiste nel piangere per i propri peccati; ma c’è anche una tristezza perniciosa, suggerita dal nemico, che insinua una tristezza colma di irragionevolezza, che alcuni chiamano accidia». Le anime così agitate devono essere consolate, perché la debolezza non si trasformi in disperazione.

La testimonianza – Tutti gli insegnamenti di Syncletica non sono legati tanto alla parola quanto all’esempio: «Le azioni sono più delle parole», è detto in un passaggio della sua biografia. Gli insegnamenti sui “logismói” (“pensieri malvagi”) non sono atti verbali, perché passarono attraverso la prova e la coerenza di vita: «Nel caso di Syncletica egli [il diavolo] fece mostra di una malvagità più violenta, provocandola dell’interno mediante i suoi pensieri contrari e distruttivi». Ma il diavolo fece molto di più: «Il nemico del bene, vedendo che quella tornava a opporglisi vivamente, cominciò ad odiarla. E notando che la tirannia veniva distrutta, immaginò un’altra forma di malvagità: colpire gli organi della voce per impedirle di pronunciare un discorso». Già colpita da una malattia al polmone, Syncletica fu consumata da una cancro alla mandibola, trascorrendo gli ultimi tre anni della vita tra dolori e sofferenze atroci. Ella, in coerenza con i suoi insegnamenti, trasformò questa sofferenza nella migliore occasione per mostrare alle discepole, con i fatti, che si può combattere sempre il nemico e sconfiggerlo con il bene: «Non fermarti, se il nemico te lo impedisce, perché la tua pazienza rende inutili i suoi sforzi. Infatti coloro che intraprendono una navigazione, inizialmente sfruttano il vento  a favore e spiegano le vele. Se poi capita un vento contrario, non per questo i marinai abbandonano la nave, piuttosto si fermano oppure lottano contro la tempesta e quindi riprendono la navigazione. Allo stesso modo pure noi, se ispira un vento contrario, issiamo la croce come se fosse una vela e portiamo a termine il viaggio per mare senza timore».

Syncletica fu asceta, monaca, santa; ma, come scriveva Giovanni Crisostomo per le «vaste assemblee di vergini» del deserto, fu anche donna capace di elaborare una propria “filosofia”, una vera dottrina sul demoniaco. Affascinate dottrina, sì, soprattutto di grande attualità. La lettura della sua biografia, infatti, ci fa azzardare un paradosso: il vivere “come se Dio non ci fosse” (sicut Deus non daretur), cifra della cultura secolarizzata, sembra coincidere sempre più col “vivere come se il diavolo non ci fosse”. La differenza c’è: l’uomo contemporaneo non si sottrae tanto dal “fare il bene”, piuttosto non sa, o non vuole, “fuggire dal male”. Così, trova un pretesto per ogni peccato, un correttivo per ogni pensiero malvagio, un edulcorante per ogni azione pestifera. Come quando va dicendo: “È giusto abortire, perché qualcuno può essere violentato”; “è giusta l’eutanasia, perché qualcuno non vuole soffrire”; “è giusto tutto, se qualcuno ha una giustificazione per tutto”. Offrire pretesti per i peccati – insegna Syncletica – è la macchinazione diabolica per eccellenza, che porta fino alla superbia di sentirsi deresponsabilizzato davanti al male di ognuno e di tutti.

L’insegnamento «Ogni opera buona si configura nella fuga dal male» è come Syncletica: una «perla ignorata da molti», nel deserto.

 

[*] Il testo di riferimento da cui sono tratte le citazioni: Pseudo-Atanasio, Gli insegnamenti di una madre del deserto.Vita di Sincletica, a cura di Lucio Coco, Edizioni San Paolo, Milano, 2013.

 

 

 

 

 

 

 

 

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