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Da tutto il mondo per la Chiesa di Pescara: domenica due nuovi sacerdoti

Alla vigilia e nella sera di questa domenica, la nostra Chiesa diocesana sarà arricchita dal dono di don Michele e di don Edward

La Chiesa di Pescara-Penne si arricchisce, questa domenica (in senso liturgico), di due nuovi sacerdoti: don Michele Cocomazzi e don Edward Arulrai Pushparaj; ciascuno di essi porta “in dote” alla comunità diocesana la ricchezza di un viaggio e di una storia tutt’altro che ordinaria. Nessuno dei due, infatti, è pescarese né abruzzese, ed entrambi sono giunti al giorno dell’ordinazione presbiterale tramite un percorso che è passato per le maglie della vita consacrata. Don Edward è indiano, di Maduraj, nello Stato federato del Tamil Nadu. Sempre in India, ha studiato teologia in un seminario pontificio, poi è diventato monaco olivetano, quindi tramite il compianto mons. Comerlati – che dal Cielo si unirà certamente alla gioia della Chiesa diocesana – è arrivato a Pescara. Affidato alla comunità di S. Antonio (a Passo Cordone), ha frequentato per un anno il Seminario Pontificio S. Pio X di Chieti; quindi è stato incardinato alla nostra diocesi di Pescara-Penne con l’ordinazione diaconale, avvenuta a Loreto. Domenica sera, il 29 settembre, verrà ordinato nella Cattedrale di S. Maria a Maduraj dal Vescovo locale, per poi tornare a Pescara: con questo accordo i due vescovi vogliono significare la sorellanza di tutte le Chiese, nonché la gratitudine congiunta che sgorga dalla condivisione dei differenti doni dello Spirito agli uomini.

Alla vigilia della medesima domenica, invece, ossia nel tardo pomeriggio di sabato 28, mons. Valentinetti ordinerà presbitero don Michele, nella nostra cattedrale diocesana. Abbiamo incontrato per voi don Michele, e nell’attesa di proporvi il racconto di don Edward vi riportiamo intanto le sue parole alla vigilia dell’ordinazione.

 

Allora, don Michele, come ci si sente a un giorno dal grande giorno?

«Ancora non realizzo, un po’ come se la cosa non mi riguardasse: non so proprio cosa stia accadendo. Speriamo sempre in bene e nella grazia del Signore».

Non vorrai farci credere di essere arrivato a questo giorno per sbaglio, vero? Come può una cosa del genere non riguardarti?

«Mi riguarda tremendamente, invece, ma ho detto “un po’ come se…” perché sto sperimentando la grazia di una profonda tranquillità, e confido che sia quella che contraddistingue l’adempimento della volontà di Dio».

La pace del traguardo dopo un percorso travagliato?

«Non lo definirei “travagliato”, il mio percorso; non più di quanto sia ogni storia vera vista dall’interno».

Quando è cominciato il tuo percorso? E come?

«A dire il vero, non ricordo un momento in cui ho “deciso” di diventare prete: è piuttosto vero che da quando ho memoria ho desiderio di diventare sacerdote. I miei genitori mi hanno ostacolato per qualche anno, come capita a tanti, ma durante il liceo l’ho spuntata, e sono entrato nel postulantato dei religiosi Amigoniani, la cui casa religiosa, a due passi da casa mia, supporta una rettoria a S. Giovanni Rotondo».

E come è successo allora che domani tu venga ordinato prete diocesano a Pescara?

«Semplicemente, gli Amigoniani mi hanno mandato al santuario di Santa Irene, a Catignano, per il noviziato, e nel contempo ho intrapreso gli studî filosofici e teologici presso l’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano. Mano a mano che mi ambientavo mi rendevo conto che l’attività pastorale diocesana m’interpellava più profondamente della vita religiosa in sé. Così, visto che Catignano è nella Diocesi di Pescara, ho deciso di chiedere all’Arcivescovo di accogliermi nel clero pescarese».

Che ricordo hai di quegli anni, e di tutta la tua formazione?

«Alla mia storia sono completamente grato, perché è in essa che tante e tante volte ho sperimentato la misericordia di Dio, ben al di là dei miei pochissimi meriti e delle mie tante mancanze: così alla vita religiosa devo riconoscenza perché mi ha aiutato a custodire il mio naturale desiderio di semplicità. Il mio ricordo, poi, va a tutte le persone buone che ho incontrato attorno al santuario di S. Irene, nonché a quelle che – sempre in quegli anni – ho conosciuto a Carpineto della Nora, dove andavo a dare una mano nel fine settimana. Come dimenticare poi i tre anni pescaresi trascorsi a S. Luigi? Lì sono stato colpito dalla realtà di una comunità particolarmente viva e attiva. A S. Domenico, infine, sto gustando e pregustando da un anno i frutti del ministero pastorale vero e proprio, e di questo sono molto grato a don Giorgio e a tutta la comunità. A proposito di comunità, come non rivolgere uno sguardo affettuoso e grato alla grande comunità del Seminario e ai suoi formatori? Oltre all’indiscutibile merito di avermi sopportato, ad essi devo delle importanti lezioni di vita comune e di collaborazione; ad essi devo l’esempio di una vita ecclesiastica divisa tra azione e contemplazione, nonché la stima per lo studio della dottrina cattolica».

Sacerdote a 26 anni, appena uno più del minimo ammesso dal diritto canonico. Come ti senti ad essere un prete così giovane?

«Ecco [ridendo, n.d.r.], alcuni amici obietterebbero che non sono mai stato giovane, e in fin dei conti c’è del vero in questo: molti preti sono stati e sono più giovani di me, in tutti i sensi. D’altro canto, questa storia del guardare all’età rischia di diventare un’ossessione: un prete non è più o meno bravo e valido a seconda della sua età, e quello che conta è protendersi alla saggezza dell’anziano senza perdere la spontaneità del bambino. Per il resto, sono semplicemente felice di poter dare al buon Dio e alla sua Chiesa le mie forze fresche, cercando di ricordare che non sono le forze dell’uomo a compiere l’opera di Dio, ma che Dio compie la sua opera servendosi anche delle forze del più debole degli uomini».

E per gli uomini, dice la Lettera agli Ebrei, ogni sacerdote viene costituito: qual è il tuo pensiero di oggi per gli uomini? C’è qualcosa che vorresti dire loro?

«Così, di primo acchito, vorrei rivolgermi ai giovani che magari escludono a priori la possibilità di consacrare a Dio la vita nell’ordine sacro, ma il Signore merita qualcosa in più di uno spot pubblicitario [ridendo, n.d.r.]. Scherzi a parte, a quanto pare per quest’anno non entrerà in seminario nessuno, per la nostra Chiesa pescarese, e questa è certamente una cosa triste. D’altro canto, visto che la Chiesa è del Signore, e che il Signore ci ha raccomandato di avere a cuore la sorte delle sue cose, quello che oggi possiamo fare è vivere il dono delle nostre due ordinazioni con quella “gioia sobria” che il caro Benedetto XVI ci ricordava all’inizio dell’anno della fede: se il Signore ci parla, con la carenza dei sacerdoti, è senz’altro per chiamare i nostri cuori a conversione. I sacerdoti sono pochi, oggi, ma non mancheranno mai del tutto, Dio non lo permetterà. La domanda che la nostra gioia oggi dovrebbe portarci, però, è: «Ci basta così? Ci basta davvero?».

 

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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