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L’Avvento in vista del Regno

In questi giorni di Avvento e Natale, attendiamo un Dio del "passato" o del "futuro"?

L’Avvento è un tempo liturgico tutto cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima lo condividiamo con l’islam, il tempo della Pasqua con l’ebraismo, ma l’attesa della venuta del Signore è solamente del cristiano. I testi liturgici dell’Avvento esprimono non l’attesa di una nascita già avvenuta una volta per sempre nella storia, quanto l’attesa della definitiva venuta del Figlio dell’uomo nella gloria. La nascita di Cristo non si attende ma si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è la parusia che è il ritorno di Cristo da Lui stesso promesso. I cristiani sono uomini e donne dell’Avvento perché attendono il Signore che torna; perché sperano con fortezza di spirito nella vita eterna: crediamo che un giorno usciremo dalla nostra condizione umana instabile e precaria, per entrare nella condizione di beatitudine di Dio. Domandiamoci in questi giorni di Avvento e di Natale: attendo un Dio del “passato” o un Dio del “futuro”? Sono in attesa, fiducioso, di Dio che viene nel mio futuro? [1]

Il Dio che è nato, che si è incarnato chiedendo ospitalità nel corpo di una donna per essere nostro ospite nel mondo che abbiamo usurpato con il peccato, è lo stesso Figlio dell’uomo che verrà nella gloria del suo Regno, nella casa del Padre, per accoglierci al suo banchetto nuziale, in un nuovo cielo e in una terra nuova. Siamo ospiti del Dio incarnato e, allo stesso tempo, saremo invitati da Dio a partecipare alla sua gloria: imparare il primo ruolo può allenarci a meritare il secondo. Nel tempo liturgico dell’Avvento e del Natale, allora, accogliamo Dio che si offre di nuovo come nostro ospite, per imparare a essere un giorno suoi ospiti. Imparare a ospitare Dio, in fondo, è la vocazione propria del cristiano: è condizione e preparazione al viaggio finale in cui accetteremo di essere accolti da Dio nella gloria.

Che significa per noi, oggi, ospitare Dio? La storia di Abramo a Mamre (Gn 18, 1-10) [nota 2], esplicitata nella parabola delle pecore e dei capri (Mt, 25, 31-46) [nota 3], ci spiega che ogni volta che accogliamo uno “straniero” stiamo accogliendo Dio. I trattati cristiani sull’ospitalità, partono quasi sempre dalla storia di Abramo a Mamre: accogliendo i tre sconosciuti apparsi all’ingresso della sua tenda nell’«ora più calda del giorno», Abramo accolse Dio e l’alleanza con Lui. Tutta la storia della salvezza fiorisce dal momento di quel benvenuto. Ugualmente, nella parabola dei capri e delle pecore, Gesù descrive il Figlio dell’uomo che accoglie nel Regno coloro i quali, dice, gli hanno dato da mangiare quando aveva fame, lo hanno visitato quando era infermo, o lo hanno accolto quando era straniero, e scaccia quelli che lo hanno respinto. Gli uni e gli altri, i capri come le pecore, restano perplessi. «Quando ti abbiamo visto affamato? Quando ti abbiamo incontrato come straniero?» domandano, ed Egli spiega come in ogni bisognoso che incontriamo ci sia Dio, perché coloro che vengono a noi chiedendo ospitalità alla fine si riveleranno come il Figlio dell’uomo: «In verità vi dico, quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me». Ancora, nel Vangelo di Luca (14,12-14), Gesù spiega, al capo dei farisei che l’aveva invitato, una nuova concezione d’ospitalità – rivoluzionaria per l’abitudine e la cultura allora imperante – : «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai, infatti, la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Per il cristiano l’ospitalità è un dovere sacro, un atto di obbedienza alla parola del Signore: riconoscere Cristo nello straniero bisognoso, disprezzare le distinzioni di censo e di ceto, costruire le relazioni sociali non con i “vicini” ma con gli “stranieri”, significa imparare a ospitare non più per piacere o utilità ma in vista del Regno. Infatti, coloro che non ospitano lo straniero, ossia non riconoscono nello straniero il Figlio dell’uomo, saranno cacciati dal Regno. Il nostro rapporto con Dio, prosegue il Vangelo di Luca (14,15-24), non dipende solo dall’imparare a praticare l’ospitalità; dipende anche dall’accettare di essere ospitati da Dio, perché resteranno fuori dal Regno anche quelli che respingeranno l’invito ad essere beati: «Uno dei commensali, udite queste parole, esclamò: “Beato chi mangerà il pane del regno di Dio!” Gesù gli rispose: “Un uomo fece una gran cena e invitò molti. Allora della cena mandò il suo schiavo a dire ai convitati “Venite perché già tutto è pronto”. Ma tutti quanti cominciarono a trovar delle scuse. Il primo disse: “Ho comprato un podere e bisogna che vada a vederlo: ti prego, fagli le mie scuse”. Un altro disse: “Ho comperato cinque paia di buoi e devo andare a provarli; ti prego, fagli le mie scuse”. E un altro disse: “Ho preso moglie, quindi non posso venire”. Lo schiavo tornò a riferire queste cose al padrone. Allora il padrone di casa, sdegnato, disse al suo schiavo: “Presto va’ per le piazze e per le vie della città e conduci qua poveri storpi ciechi e zoppi”. Poi lo schiavo disse: “Signore, si è fatto come hai comandato e ancora c’è posto”. Il padrone disse allo schiavo: “Va’ per le strade e lungo le siepi e forzali a venire, affinché la mia casa sia piena. Perché vi assicuro che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, gusterà la mia cena”». Per gli invitati della parabola di Gesù, i loro affari privati vengono prima di ogni cosa; le loro scuse significano che non intendono uscire, neanche per una sera, dal ruolo di protagonisti della loro vita per essere ospiti nella festa di qualcun altro. Gli invitati non disponibili sono come i cattivi ospiti già visti; gli uni non sanno accettare l’ospitalità, gli altri non sanno ospitare: tutti non sanno uscire dalla propria egoistica centralità. Non possono venire – non “possono” anziché non “vogliono “, a sentire loro – perché hanno da fare. Imparare a praticare l’ospitalità dello “straniero”, l’invitato preferito da Dio, – ossia imparare a decentrarsi attraverso l’amore gratuito – non solo fa meritare il «pane nel regno di Dio», ma insegna anche a non sprecare l’ospitalità che ci viene offerta da Dio: l’invito ad essere beati.

L’Avvento, e la commemorazione della Natività di Cristo, possono diventare un tempo privilegiato per tornare ad imparare, concretamente, nel nostro oggi, come ospitare Dio. L’Avvento è riscoprire la vocazione autentica dell’essere cristiano, come “colui che attende il Signore”. Impariamo ad attendere Dio, che oggi si offre di nuovo come nostro ospite, per prepararci ad essere in quel giorno degni invitati del Figlio dell’uomo al suo banchetto nuziale.

«Egli ritornerà», per questo noi attendiamo.

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[1] Cfr. J. B. Metz, Avvento di Dio, Queriniana, Brescia 1966, p. 22.

[2] 1Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». 6Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. 9Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

[3] 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».