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Raid egiziano per i cristiani copti uccisi, l’Isis rilancia: «Oggi siamo a sud di Roma».

Le bandiere nere del Califfato islamico sventolano in Libia, a trecento chilometri dalle coste italiane di Lampedusa.

Per ricordarci come va il mondo, e non uscire dalla storia, è bene sapere che L’Egitto ha bombardato «obiettivi dello Stato islamico» in Libia, a trecento chilometri dalle coste italiane di Lampedusa, in reazione alla decapitazione di 21 cristiani – copti egiziani – rapiti tra dicembre e gennaio da gruppi di combattenti islamici attivi nella città costiera di Sirte. I bombardamenti, avvenuti all’alba, hanno preso di mira, secondo la tv di stato egiziana, accampamenti, siti d’addestramento e depositi di armi. I raid sono stati otto e hanno causato cinque morti a Derna, la città dell’est della Libia dove l’Isis ha creato un «Califfato».

I bombardamenti, afferma il comunicato delle forze armate egiziane, sono stati portati in base «al diritto dell’Egitto di difendere la propria sicurezza e stabilità e per vendetta e risposta agli atti criminali di elementi e formazioni terroriste all’interno e all’esterno del paese». Il raid egiziano, infatti, è arrivato dopo che il gruppo jihadista aveva diffuso un video che mostrava la decapitazione dei 21 egiziani cristiani copti rapiti in Libia. Il video è comparso sull’account Twitter di un sito internet che sostiene il gruppo dello Stato islamico. Secondo quanto riferisce Rita Katz, direttrice del Site (un osservatorio americano che si occupa del monitoraggio del jihadismo) il video ha il titolo «Un messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce». All’interno ci sarebbe anche un riferimento esplicito all’Italia: «Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo a sud di Roma… in Libia». E poi ancora: «Avete buttato il corpo di Osama bin Laden in mare, mischieremo il suo sangue con il vostro». Nel video i militanti vestiti di nero fanno camminare i prigionieri, vestiti con tute arancioni, su una spiaggia. I prigionieri vengono costretti a inginocchiarsi, per poi essere decapitati. Il filmato dura cinque minuti. In una didascalia si legge: «Il popolo della croce, seguaci dell’ostile chiesa egiziana». Migliaia di egiziani, infatti, si sono recati nella vicina Libia per cercare un lavoro dopo la rivolta del 2011, nonostante i consigli del loro governo di non recarsi in uno dei Paesi più pericolosi della regione. La Chiesa copta ortodossa, da parte sua, si è detta “fiduciosa” che i colpevoli verranno assicurati alla giustizia.

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ha intanto incaricato il ministro degli Esteri, Sameh Shoukri, di andare a New York e avviare contatti con i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu affinchè «la comunità internazionale si ponga di fronte alle sue responsabilità e avvii le procedure necessarie per dichiarare ciò che sta accadendo in Libia come una minaccia alla pace e alla sicurezza». «Queste azioni vili – ha detto infine Sisi in un discorso teletrasmesso alla nazione – non fiaccheranno la nostra determinazione: l’Egitto e il mondo intero restano impegnati in una battaglia irriducibile contro gli estremisti». Il generale Khalifa Haftar, esponente di spicco dell’esercito regolare libico, ha dichiarato di essere pronto a collaborare con gli attacchi dell’Egitto contro l’Isis e altri gruppi terroristici in Libia: «I libici aiutano l’esercito egiziano a vendicarsi di queste forze terroriste perché l’uccisione dei copti è un “crimine orribile” che dimostra il livello di pericolo che ha di fronte il popolo arabo, ha detto il generale». Il popolo arabo, e il popolo cristiano  tutto – cattolici, copti, ortodossi, luterani– ci sentiamo di aggiungere e sottolineare. «Il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida. Uccisi solo perché cristiani»: è quanto ha affermato il Papa durante un incontro in Vaticano con i rappresentanti della Chiesa Riformata di Scozia, riferendosi proprio a quanto accaduto in Libia.

È chiaro che ormai le bandiere nere del Califfato islamico sventolino a trecento chilometri dalle coste italiane di Lampedusa. “La situazione è gravissima”, è stato l’allarme lanciato da fonti libiche vicine al governo di Tobruk. È acclarato che l’Isis ha già il controllo di parte di Sirte in Libia, dove i jihadisti hanno preso fra l’altro l’ufficio passaporti; fra aprile e ottobre hanno creato un ufficiale “califfato” a Derna; hanno fatto una “parata” di pickup pesantemente armati per sottolineare il possesso anche di Nawfaliya, cittadina desertica 145 km a est di Sirte. Inoltre le bandiere nere dell’Isis sono già a Tripoli, si vedono sventolare dalle macchine che si aggirano nella capitale libica. Prima erano poche, nascoste, adesso si stanno moltiplicando.

La crisi, anche dopo gli attentati di probabile matrice islamica a Copenaghen, preoccupa sempre di più le forze Occidentali. Mercoledì 18 e giovedì 19 febbraio, a Washington, ci sarà il vertice internazionale sulla sicurezza globale. Il congresso si mostra convinto di poter riprendere la Libia e già pianifica una Operation room per gestire il post-riconquista. Tutto gira intorno alla “Mezzaluna petrolifera”.