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La situazione in Libia raccontata da un missionario francescano

Padre Piotr Borkowski, francescano, dalla Cirenaica parla chiaro: in Libia serve aiuto dall’Europa.

Nei luoghi dove gli uomini sono gettati nella guerra, nella fame, nel terrore, i missionari – oltre al prezioso lavoro materiale e spirituale che svolgono – restano le “fonti” più attendibili, per conoscere quale sia la vera condizione nella quale versano le persone disgraziatamente coinvolte. I missionari conoscono il territorio, e interagiscono quotidianamente con persone che vedono in loro un valido e concreto punto di riferimento.

Padre Piotr Borkowski, francescano, parla con la MISNA da Beida, in Cirenaica, a una sessantina di chilometri da Qubbah, dove oggi oltre 30 persone sarebbero state uccise da varie autobomba. Padre Borkowski racconta come uno degli attentati si sia «verificato ad un distributore di benzina, dove è stato fatto esplodere un camion cisterna mentre molte macchine erano in fila per il rifornimento»; in questi giorni, spiega il francescano, «non abbiamo corrente, né carburante e queste difficoltà sono state sfruttate anche dagli attentatori di oggi».

Intanto, secondo il quotidiano Libya Herald, resta incerto chi controlli la città di Sirte, dove negli scorsi giorni erano giunti combattenti affiliati all’autoproclamato Stato islamico (Is). Le notizie arrivate da Sirte e da Derna riguardo i combattenti dell’autodefinito Stato islamico hanno creato preoccupazione anche a Beida, sede di alcune delle istituzioni del governo internazionalmente riconosciuto – quello di Tobruk, ricordiamolo, poiché a Tripoli c’è un governo ‘parallelo’ formato dalle milizie islamiche. Alla frontiera tunisina, invece, è stato riaperto ufficialmente il valico di Ras Jedir per permettere ai commercianti provenienti dal paese vicino di entrare in Libia. Da Ras Jedir potranno passare anche gli egiziani ancora presenti in Libia per varcare la frontiera via terra. Una volta a Djerba, un aereo li ricondurrà al Cairo. E proprio riguardo gli egiziani presenti in Libia, Padre Piotr Borkowski riferisce: «Nella nostra chiesa vengono anche i copti egiziani a pregare, e oggi ho parlato con alcuni di loro: sempre di più sono decisi ad andarsene, un gruppo vuole partire proprio in questi giorni; lo stesso fanno molti altri cristiani, per la paura».

Il missionario francescano si è espresso anche riguardo la decisione dell’Onu di proseguire col tentativo di una soluzione politica, per evitare l’intervento militare, e anche di non revocare l’embargo sulle armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale. Parlando per la propria esperienza, con realismo misto a preoccupazione, Padre Piotr Borkowski ha affermato: «Di certo la soluzione militare non è la migliore! Il dialogo – di sicuro – risolverebbe molti problemi, ma come farlo con chi non vuole parlare, ma usa solo le armi?». Ha aggiunto, poi, nel tentativo di far comprendere i problemi immediati del popolo libico: «Nessun governo (sia quello internazionalmente riconosciuto di Tobruk quanto quello formato da milizie islamiche di Tripoli, ndr) riesce a rappresentare un punto di riferimento per la gente, e il paese è sempre più diviso tra diverse cabile, tribù e milizie: è difficile anche capire chi potrebbe aiutarci o con chi dialogare». «Bisogna trovare un modo di fermare i gruppi di terroristi – è l’appello del sacerdote – e impedire loro di fare ciò che vogliono, perché anche chi vorrebbe pace e ordine è spaventato e resta in casa, senza esprimersi».

Le dichiarazioni del missionario sono inequivocabili. La soluzione militare non è la migliore, ma il popolo libico ha bisogno di aiuto in attesa della soluzione politica: «In Europa sembra che ci si stia pian piano muovendo a livello politico: è accaduto tardi, ma forse non troppo tardi e spero si possa ancora fare qualcosa».