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Lo scadalo della contessa di Castiglione. Ed era solo l'inizio dell'Unità d'Italia.

«Mala tempora currunt! Politici e amanti, scandali all’ordine del giorno, denaro, favori sottobanco: quanta corruzione! Non c’è più morale, chissà dove arriveremo!».

Chi può dire di non aver pensato qualcosa di simile, scorrendo le notizie su un tablet o ascoltando la TV, negli ultimi giorni? Non per trovare un alibi alle nostre attuali disgrazie, tantomeno una giustificazione, piuttosto per il vezzo di raccontare un “pettegolezzo storico”, oggi, in occasione delle celebrazioni del 154° anniversario dell’Unità d’Italia, riportiamo la storia della contessa di Castiglione, cugina di Cavour, che aiutò la causa italiana – si narra – divenendo amante di Napoleone III.

220px-Contessa_di_CastiglioneLa contessa di Catiglione, il cui vero nome era Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Verasis, divenne contessa verso i sedici anni, sposando senza amore il ricco e molto innamorato conte di Castiglione. Virginia era ricca e di ottima famiglia, nata a Firenze il 23 marzo 1837, figlia del nobile marchese spezzino Filippo Oldoini e della fiorentina Isabella Lamporecchi. I famigliari, per la sua strana abitudine di raccogliersi come una piccola conchiglia, la chiamavano “Nicchia”. Intelligente, amante della lettura, divenne presto consapevole della propria straordinaria bellezza, imparando, altrettanto presto, a farne astuto strumento di seduzione. Alta, bionda, con lineamenti perfetti, aveva gli occhi cangianti tra l’azzurro e il verde, il nasino all’insù; ma la sua bellezza risaltava anche grazie all’inimitabile gusto per le toilette originali e audaci. La principessa di Metternich la definì “statua di carne”. Consapevole del suo fascino, altera e superba, sprezzante verso le altre donne, soleva dire: «Io sono io, e me ne vanto; non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così qualcuno mi detesta; ma ciò non m’importa. Non ci tengo a piacere a tutti». Queste cose sono tutte annotate nel suo diario, indispensabile per ricostruire la sua storia, intitolato Journal, tutto scritto in francese.

Poco incline al sentimento, di più a collezionare flirt, a sedici anni sposò senza amarlo Francesco Verasis, conte di Castiglione, Tinella e di Costigliole d’Asti, cugino di Cavour. Francesco era ben a conoscenza dei molti amori e della libertà dei costumi della ragazza, ma era pur fiero di aver sposato la ragazza ritenuta da tutti la donna più bella d’Europa – di quel che al tempo corrispondeva all’Europa, chiaramente. Il matrimonio, che Nicchia sospettava fosse cosa noiosissima, fu per lei punto di svolta: trasferitasi a Torino nel palazzo dei Castiglione, che fiancheggia la residenza di Cavour, fece ingresso alla vita di corte di Vittorio Emanuele II. Bella, elegante fino all’eccesso, conquistò tutti, donne e uomini. Soprattutto, conquistò l’attenzione del re, il quale iniziò ad omaggiarla di regali costosissimi e gioielli di gran valore. Da questo momento fu tutta una collezione di flirt e tradimenti coniugali, senza paragoni: concedette i suoi favori a molte persone importanti, tra cui entrambi i fratelli Doria, il banchiere Rotschild, l’imperatore dei francesi, Cavour, Costantino Nigra, ambasciatore in Francia, e, cosa più rilevante, lo stesso Vittorio Emanuele II; naturalmente, un flirt e l’altro, fu tutto annotato con dovizia di particolari sul suo Journal.

La disponibilità della donna fu subito notata dall’astuto Cavour, il quale, pur disprezzandola – «Ci sono molte più belle di Voi», diceva –, non si fece sfuggire l’occasione per manovrarla; Cavour incoraggiò il rapporto della contessa con Napoleone III, convinto che fosse cosa utile “per costruire l’Italia”. Inviò la cugina acquisita a Parigi, con l’approvazione del re Vittorio Emanuele II, perché influenzasse favorevolmente Napoleone III e lo spingesse all’alleanza col Piemonte. Era il 1855 e il piccolo Piemonte si apprestava alla campagna di Crimea. Cavour, seppe manovrarla senza remore, facendone una delle poche donne in grado di svolgere un ruolo nella formazione dell’Italia, seppur con mezzi discutibili e grandissimo dispendio di danaro. A Parigi le venne messa a disposizione una villa e Nicchia entrò subito in società partecipando alle feste, indossando gioielli preziosissimi e vestiti audaci e inconsueti. Divenne quasi subito l’amante di Napoleone III e suscitò invidie e pettegolezzi di cui non sembrava curarsi. Dopo l’armistizio di Villafranca, nel luglio 1859, la sua stella cominciò ad affievolirsi: dicono che Eugenia, la moglie di Napoleone III, fece organizzare dalla polizia un finto attentato che coinvolse un italiano, certo Cappelletti. Ciò la costrinse a rientrare in Italia. Nel 1862, incontrando l’ambasciatore Costantino Nigra, in visita in Italia, la contessa chiese di poter ritornare in Francia. La richiesta fu accolta, ma le fu consigliato di evitare la corte. Il suo ritorno in Francia, alla disperata ricerca d’un passato ormai lontano, coincise con la disfatta di Sedan e della caduta della Monarchia Francese. Piena di debiti per la vita dispendiosa, lasciata alla sua sorte dal marito stanco dei numerosi tradimenti, la contessa di Castiglione decise di far ritorno, da sola, in Italia.

Dopo aver brillato e scintillato tra gioielli preziosi e toilette da favola, tra balli ed amanti, dopo aver conosciuto i fasti, i piaceri e i trionfi della mondanità, finì i suoi giorni come una romantica eroina: ignorata, in solitudine, disperata, quasi folle, piena di rancori ed inconsolabile per il fascino perduto.Vedendo sfiorire quella bellezza con cui identificava sé stessa, velò gli specchi e si chiuse in un voluto eremitaggio, rifiutò l’amore e il matrimonio ancora propostole da uomini ricchi e famosi. Dopo che il marito finì sotto ad una carrozza, non le restarono che i ricordi. Il 28 Novembre 1899, all’alba del nuovo secolo, morì nella sua casa, senza clamore. Chiese di essere sepolta alla Spezia, senza funzione religiosa e senza fiori, senza informare i giornali e le autorità, con la camicia da notte leggera e preziosa, quella che stava tutta nel pugno di una mano, che aveva indossato la notte trascorsa con Napoleone III a Compiègne, con al collo una collana di perle e ai polsi due braccialetti che tanto aveva cari, sotto il capo il cuscino di velluto ricamato dal figlio Giorgio quand’era bambino, e di avere ai suoi piedi, nella bara i due cagnolini imbalsamati. Non le fu dato nulla, né dalla Francia né dall’Italia: ebbe una regolare funzione religiosa, ai suoi funerali parteciparono camerieri, un duca e un agente di cambio, fu privata della compagnia dei suoi cani, persino del cuscino del figlio, morto da tempo, che in vita non aveva amato né seguito, e non indossò la famosa camicia della notte di Compiègne né i suoi gioielli, prontamente sottratti dagli eredi. Subito dopo la sua morte polizia, autorità e servizi segreti bruciarono tutte le lettere e i documenti a lei inviati dalle massime personalità del tempo con le quali era entrata in contatto, re, politici e banchieri. La contessa di Castiglione non ebbe la tomba in Italia ma nel cimitero di Père Lachaise, dove ancora oggi riposa.

Così finisce la storia della contessa di Castiglione, cugina di Cavour, che aiutò la causa italiana – si narra – divenendo amante di Napoleone III. «Mala tempora currunt! Politici ed amanti, scandali all’ordine del giorno, denaro, favori sottobanco: quanta corruzione! Non c’è più morale, chissà dove arriveremo!».

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Bibliografia:

Renzo Rossotti, Storia insolita di Torino, Newton Compton Editori (2006).

Arrigo Petacco, L’amante dell’imperatore,amori, intrighi e segreti della contessa di Castiglione, Milano, Mondadori, 2000.