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In Italia un milione di imprese sono pronte a marciare verso la ripresa

Crollo del prezzo del petrolio, euro debole sul dollaro e denaro a basso costo mettono, dunque, le ali alle imprese italiane che vanno per il mondo. A fine 2014 si è registrato un saldo attivo di 32 mila imprese aggiuntive, con un’onda più intensa nelle regioni centrali (quasi 13mila in più nell’anno) e nelle province di Roma (+10.398) e Milano (+7.648)

Il dato incoraggiante emerge dalla ricerca “La composizione sociale dopo la crisi”, realizzata dal Censis e presentata ieri a Roma

Al lavoro in fabbrica

In Italia un milione di imprese sono pronte a mettersi in marcia verso la ripresa: «Una corazzata di società di capitali attive: le più robuste e strutturate nell’universo di 5,2 milioni di imprese italiane complessive, in grado di attirare risorse».

È questo il dato più incoraggiante ad emergere dalla ricerca “La composizione sociale dopo la crisi” realizzata dal Censis e presentata ieri a Roma da Francesco Maietta, responsabile politiche sociali dell’Istituto. Queste imprese sono aumentate del 105% tra il 2000 e il 2014 e del 33,5% anche negli anni di crisi 2007-2014. E ci sono 212 mila imprese esportatrici e soggetti economici che fanno business all’estero (+7.200 nel periodo 2007-2013) per un valore dell’export pari nell’ultimo anno a 380 miliardi di euro.

Giuseppe De Rita, presidente Censis

Giuseppe De Rita, presidente Censis

Crollo del prezzo del petrolio, euro debole sul dollaro e denaro a basso costo mettono, dunque, le ali alle imprese italiane che vanno per il mondo. A fine 2014 si è registrato un saldo attivo di 32 mila imprese aggiuntive, con un’onda più intensa nelle regioni centrali (quasi 13mila in più nell’anno) e nelle province di Roma (+10.398) e Milano (+7.648).

Gli effetti positivi si vedono soprattutto nella ristorazione (+11mila) e nel commercio (+7.500), oltre che nei servizi alle imprese (+9.300). Decollano anche le start up innovative, tra commercio online, servizi mobile e app: oggi più di 3.500. Di contro, però, il 50,5% degli italiani pensa che la Pubblica Amministrazione funzioni male. Per il 63,5% nell’ultimo anno la Pa non è cambiata, per il 21,5% è addirittura peggiorata e solo per il 15% è migliorata. Un’inefficienza questa che, secondo gli italiani, rischia di bloccare la ripresa.

Importante il contributo atteso dalla politica, ma: «Occorre – rileva la ricerca – buona burocrazia che lavori all’implementazione operativa delle riforme». Inoltre, il 45,3% degli italiani chiede pugno di ferro per punire i corrotti e regole più severe per i licenziamenti dei finti malati. Il 34,7% vorrebbe, invece, l’assunzione di dirigenti giovani e dinamici, il 22,1% chiede che i dipendenti pubblici siano licenziabili come quelli del privato. Tuttavia, però, il Censis registra una “doppia morale”: per ottenere un’autorizzazione o accelerare una pratica nella Pubblica amministrazione, 4,2 milioni di italiani hanno fatto ricorso a una raccomandazione o all’aiuto di un parente o amico.

Quasi 800 mila le persone che hanno fatto un qualche tipo di regalo a dirigenti e dipendenti pubblici per avere in cambio un favore. Altro sintomo delle difficoltà di rapporto dei cittadini con la Pubblica Amministrazione è poi il ricorso a società di intermediazione (Caf, patronati): nell’ultimo anno lo hanno fatto 3,3 milioni di italiani. L’antidoto più efficace per le patologie sociali è comunque, secondo la ricerca del Censis, la creazione di lavoro.

Il bilancio dell’occupazione nel periodo della crisi testimonia la perdita di 615 mila posti di lavoro e l’aumento del precariato. Sui nuovi assunti del 2013 i contratti a tempo determinato (inclusi i Co.co.pro) sono stati il 60,2% del totale, mentre nel 2007 erano il 51,3%. E tra i giovani la percentuale sale al 69,6%, mentre nel 2007 erano il 56,9% (con un balzo di 12,7 punti percentuali). I precari sono stati i più colpiti dalla crisi, con licenziamenti e contratti non rinnovati. Sono l’11,6% degli occupati totali, ma il 31,2% dei licenziati o usciti dal lavoro nell’ultimo anno.

Il costo del precariato è stato pagato di fatto dalle famiglie, con l’erogazione di oltre 4 miliardi di euro annui per i millennials (la cosiddetta generazione del nuovo millennio di età compresa fra i 18 e i 34 anni) privi di risorse che vivono per conto proprio. Ora che si annuncia la ripresa, tra l’altro, gli italiani dicono no a ogni forma di precariato. Per il 67,5% pagare meno o dare meno tutele a chi entra nel mercato del lavoro non è giusto, perché si creano fasce di lavoratori penalizzati e facilmente ricattabili. Il 19,3% lo considera inevitabile, altrimenti le aziende non assumerebbero nuovo personale (devono poterlo mandare via se non vale).

Per il 13,2% invece è giusto, perché il nuovo arrivato è meno capace e produttivo: deve imparare. Ma al di là di tutto, le persone a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia sono aumentate di oltre 2,2 milioni negli ultimi sei anni di crisi: sono passate da 15.099.000 a 17.326.000. Il tasso di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,4% in Italia, superiore a Spagna (27,3%), Regno Unito (24,8%), Germania (20,3%) e al valore medio dell’Ue (24,5%).

Aumentate le disuguaglianze perché chi meno aveva ha perduto di più: «Nell’ultimo anno – osserva il Censis – gli operai hanno avuto un taglio della spesa media familiare mensile del 6,9%, gli imprenditori del 3,9% e i dirigenti dell’1,9%».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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