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Le discriminazioni religiose fanno scuola

Lo sciopero delle scuole cattoliche in Israele ci ricorda i “vuoti” della riforma italiana della “buona scuola”, e le violazioni nel mondo del diritto di scelta educativa delle famiglie.

Quando scegliamo di scrivere su notizie apparentemente lontane da noi, almeno due sono le ragioni: allargare i confini della nostra empatia verso tutto ciò che è “umano”; guardare da un’altra prospettiva i problemi di “casa nostra”.

Un esempio di questo genere di notizia arriva da Israele, attraverso le dichiarazioni rilasciate ad Asia News da p. Abdel Massih Fahim, sacerdote francescano e direttore dell’Ufficio delle scuole cristiane della Custodia di Terra Santa, impegnato a fronteggiare l’ostilità del governo israeliano verso gli istituti cattolici: «Proseguiremo con lo sciopero a oltranza, fino a che non verranno riconosciuti i nostri diritti. Siamo di fronte a un progetto mirato a colpire le scuole cattoliche, ma la nostra missione continuerà; abbiamo già affrontato altre crisi in passato, anche questa prima o poi passerà».

Da alcuni giorni le scuole cattoliche in Israele sono in sciopero; professori e alunni denunciano una doppia discriminazione nei confronti delle istituzioni cristiane: il governo ha ridotto le sovvenzioni che ormai coprono solo il 29% delle spese e ha posto un limite alle rette che le scuole possono ricevere dalle famiglie. In questo modo, diverse scuole non riescono più a far fronte alle spese annuali e rischiano di chiudere, nonostante gli istituti cattolici in Israele svolgano un servizio ottimo e aperto a tutte le confessioni presenti sul territorio. Vi sono ad oggi 47 scuole cristiane, che garantiscono istruzione a oltre 33mila bambini, il 60% dei quali cristiani e circa il 40% musulmani, e una piccola rappresentanza ebraica. Anche i maestri e il personale non docente non è solo cristiano, poiché vi sono anche insegnanti (su un totale di 3mila) musulmani ed ebrei.

A provare che si tratti di un atto contro la comunità cristiana, basterebbe sapere che le scuole ebraiche ultra-ortodosse vengono sovvenzionate in toto dal governo e non subiscono ispezioni dal ministero dell’Educazione, sebbene esse non siano in regola col curriculum degli studi. Il tema delle scuole è stato uno dei punti chiave al centro dell’incontro della scorsa settimana fra papa Francesco e il presidente Reuven Rivlin, alla sua prima volta in Vaticano. Il prossimo 9 settembre è in programma un nuovo incontro fra rappresentanti della Chiesa e autorità governative, ma poche sono le speranze di arrivare ad una equa soluzione, afferma p. Abdel Massih Fahim: «Proseguiremo nello sciopero ad oltranza sino al riconoscimento dei nostri diritti», vogliamo difendere il nostro stile di insegnamento, «perché non vorremmo lanciare una “intifada” per difendere il nostro diritto all’istruzione».

Chi crede che il diritto allo studio non possa prescindere dal diritto delle famiglie a scegliere anche la scuola, ovvero lo “stile di insegnamento” da offrire ai propri figli al fine di una formazione integrale della persona, non può non esprimere vicinanza agli istituti cristiani di Israele, con la speranza che venga loro riconosciuto il servizio ottimo che svolgono a servizio di tutto il Paese, non facendo peraltro discriminazione verso i bambini provenienti da altre confessioni religiose. A parte questo, la notizia sugli istituti cattolici di Israele ci rinvia anche alla situazione delle scuole paritarie cattoliche nel nostro Paese, soggette parimenti ad attacchi ideologici chiaramente nati da pregiudizi religiosi e anticlericali.

È bene ricordare che in Italia le scuole paritarie non sono scuole private: sono scuole pubbliche non statali; la legge 62/200 riconosce la parità alle scuole private: riconosce cioè la funzione pubblica perché chiede l’osservanza dei protocolli formativi, stabiliti dalla stessa legge, cioè gli stessi che usa la scuola pubblica. Riconoscere le scuole paritarie vuol dire garantire la libertà di scelta educativa delle famiglie. Nel nostro Paese, le scuole paritarie cattoliche, costantemente nel tempo, sono state oggetto di attacchi ideologici, accusate di ottenere privilegi e non riconosciute per il servizio pubblico che svolgono . In realtà, fino ad ora, i genitori che hanno scelto liberamente le scuole paritarie si sono assoggettati ad una doppia tassazione: il pagamento della retta dell’istituto pur continuando a contribuire con le proprie tasse anche al funzionamento della scuola statale. A questo va aggiunto il risparmio che le scuole cattoliche apportano allo Stato: sei miliardi di euro; anzi, per la precisione 6 miliardi, 81 milioni e 429.067,34 euro. Ecco quanto costerebbe oggi allo Stato accogliere nei propri istituti l’intera scuola paritaria qualora quest’ultima fosse costretta a chiudere i battenti. L’Ocse ha fissato i seguenti costi medi sostenuti dallo Stato per i propri studenti: 5.739,17 euro alla materna; 6.634,15 euro alle elementari; 6.835,85 euro per la media; e 6.914,31 euro per le superiori. A questo punto basta moltiplicare ogni singolo costo medio per il numero di studenti delle scuole paritarie presenti nei vari ordini. Secondo i dati dello stesso ministero dell’Istruzione nell’anno scolastico 2014/2015 nelle materne paritarie erano iscritti in 621.919; nelle elementari in 186.356; nelle medie in 66.158; e nelle superiori in 119.111. Per un totale di 993.544. Il risultato delle quattro moltiplicazioni per ogni ordine di scuola fornisce un costo complessivo di poco più di 6 miliardi di euro. Se si tiene conto che nel bilancio dello Stato vi sono stanziati 471 milioni di euro nel capitolo per tutta la scuola paritaria, si fa presto a verificare che lo Stato comunque risparmia più di 5 miliardi e 600 milioni di euro. Lo Stato contribuisce ai costi delle scuole paritarie solo per l’uno per cento, cioè per circa  530 milioni di euro. Numeri che smentiscono i «presunti regali» alla «scuola dei ricchi e dei preti» come spesso ancora si sente gridare nelle manifestazioni e scrivere in qualche commento. Da queste cifre emerge che la scuola paritaria in Italia è una risorsa per lo Stato. Infatti, se dovessero chiudere tutte, lo Stato si troverebbe di punto in bianco a organizzare strutture (insegnanti, aule, materiale, ecc.) per un milione e 700 mila studenti da aggiungere ai quasi nove milioni presenti. Aggiungiamo che il 70 per cento delle scuole paritarie sono scuole dell’infanzia, un settore dove lo Stato è sempre stato inadempiente, abbandonando a se stessi i genitori lavoratori. Gridare allo scandalo delle scuole paritarie è veramente uno scandalo ideologico, perché chi ne scrive e ne parla non sa di cosa parla, al di fuori della propria ostilità anticlericale. Aggiungiamo anche l’annosa questione di Ici- Imu, che ogni tanto torna alla ribalta – facendo una gran confusione tra Vaticano, Cei, ottoXmille, proprietà ecclesiastiche –, e scavalcando completamente il principio di sussidiarietà riconosciuto dalla nostra Costituzione che riconosce contributi dello Stato – là dove questo contributi sono versati – per istituiti, organizzazioni, chiese, gruppi, enti che svolgono funzioni pubbliche a vantaggio di tutti.

In base a quanto previsto dalla riforma della “buona scuola”, entro la prima metà di settembre sarà convocato un tavolo tra il governo e le rappresentanze delle scuole paritarie laiche e cattoliche sulla questione del pagamento dell’Imu. Riguardo la doppia tassazione cui sarebbero soggette le famiglie che scelgono la scuola paritaria, c’è un piccolo passo in avanti: la detrazione delle spese sostenute per la frequenza scolastica nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie paritarie, per un importo annuo massimo di 400 euro a studente; un piccolo contributo, dal quale restano comunque esclusi gli studenti delle scuole superiori paritarie, ovvero quelle che pagano le rette maggiori.

Tra scuole statali e paritarie restano ancora molte differenze, e si è lontani dal raggiungimento di una parità di trattamento, in violazione del diritto della libertà di scelta educativa della famiglia, riconosciuto anche dalla Costituzione italiana. La resistenza a considerare “pubblico” ciò che è fatto per l’interesse pubblico, non esclusivamente ciò che è gestito dallo Stato, persiste in nome di un pregiudizio fortemente anticlericale che, come sempre, in nome di una libertà ad immagine e somiglianza dei propri pregiudizi, viola l’unica libertà che dovrebbe essere riconosciuta: la libertà a poter scegliere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria.

I pregiudizi religiosi, e le discriminazioni dettate da risentimenti anticlericali, “fanno la scuola” a danno delle coscienze che la abitano. Israele chiama Italia che chiama il resto del mondo.