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Frequento la casa di riposo non la scuola materna

Cohousing, stessa “casa” per giovani e anziani: esperienza di condivisione intergenerazionale.

Se un posto destinato all’accoglienza degli anziani si chiama “casa di riposo”, si lascia intendere che in questi posti non ci si cura altro che del trattamento delle malattie fisiche; non si riconoscono all’anziano interessi spirituali, culturali, affettivi: fanno parte del suo passato, ormai è a “riposo”. Se un posto destinato all’accoglienza dei bambini si chiama “scuola materna”, si lascia intendere che in questi posti non ci si cura altro che di dare ai bambini un’imbottitura per la loro vita: conoscenze, competenze, esperienze a profusione in vista del futuro. I bambini appartengono al futuro, gli anziani al passato.

Se è così, si incontreranno mai anziani e giovani? Cosa possono condividere gli uni con gli altri?

Possono condividere il presente, se viene data loro l’occasione di incontrarsi per sperimentare i benefici e le difficoltà che possono scaturire dalle relazioni intergenerazionali. Questa è la risposta che viene da lontano, da Seattle nello Stato di Washinghton, dove da qualche tempo è stato avviato un programma dell’Intergenerational Learn Center  che prevede la coabitazione (cohousing) nella casa di riposo di anziani e bambini. Praticamente, una scuola materna nel corso del suo anno scolastico è stata ospitata all’interno della casa di riposo Providence Mount St. Vincent, dove vivono circa 400 persone. Qui i bambini dai 3 ai 5 anni imparano a conoscere gli ospiti, accettandoli con i loro limiti fisici e i loro problemi; mentre gli ultra 65 sono stimolati a non mettere a riposo nulla di quanto sono e possono ancora dare. Questo asilo speciale, che ha ricevuto molti premi, è ambitissimo dai genitori di Seattle e sono in molti a sperare che il modello venga presto adottato in altre strutture del Paese. Gli uni e gli altri, anziani e bambini, condividono momenti di socialità e sono coinvolti in molteplici attività, in modo da essere tutti restituiti al “cerchio della vita”: gli anziani ricordano che la loro vita attuale è scaturita da una “nascita” e da una “crescita”; i bambini imparano con naturalezza che “nascita” e “crescita” convergono verso l’invecchiamento, la sofferenza e purtroppo la morte. Passato, presente, futuro sono rimessi in circolo per produrre condivisione di vita. Da questa esperienza è nato anche Present Perfect, un filmdocumentario della regista Evan Briggs, che, senza inganni, descrive la complessità, nel bene e nel male, delle interazioni tra i piccoli e gli anziani. Guardando il trailer, si comprende come attraverso la coabitazione venga data agli uni e agli altri la possibilità di incontrare persone nuove e diverse; un’occasione, questa, che nasconde indubbiamente difficoltà ma anche la possibilità di ricevere il dono più grande che nasce da un incontro: la possibilità di diventare persone migliori.

Due sono le realtà alle quali i bambini e gli anziani sono ugualmente esposti, da qui la possibilità di venire in aiuto gli uni agli altri: la solitudine e la noia. Gli anziani, chiaramente, col passare degli anni vivono la disgregazione delle reti parentali e amicali, lasciati in balìa di loro stessi; per ragioni diverse – separazioni tra genitori, trasferimenti per ragioni di lavoro, famiglie mono-genitoriali, metropoli alienanti, preponderanza del fenomeno “figlio-unico”– anche i bambini sono spesso esposti alla solitudine. Risultato di questo sfaldamento di relazioni significative è la solitudine e la noia. Unendo i due mondi, dei giovani e degli anziani, condividendo gli stessi spazi durante le varie attività (musica, danza, pittura), si dà l’occasione a tutti di unirsi attraverso un ponte di socialità ed esperienze affettive significative con persone appartenenti ad un segmento della vita diversa dalla propria. Da Seattle, il programma si sta diffondendo in vari Stati americani.

Un progetto simile – tecnicamente detto di cohousing o “abitare collettivo” intergenerazionale – esiste anche in Italia, nel Trentino, con la Casa alla Vela: Il progetto, ideato dalla cooperativa sociale Sad e partito nel febbraio 2014, coinvolge 5 anziane e 6 studenti universitari. La coabitazione avviene in un edificio di tre piani, con tre appartamenti, una terrazza e un giardino. Anziani e studenti vivono sotto lo stesso tetto in appartamenti separati, ma condividono spazi e possibilità di relazioni significative. Il progetto ha come obiettivo anche il superamento di problemi economici che affliggono, per ragioni diverse, giovani e anziani. Dopo una certa età, anche gli anziani autosufficienti iniziano ad avere paura di restare in casa da soli e i loro figli e parenti temono di lasciare i propri cari in solitudine. Per molti la casa di riposo non rappresenta una soluzione adeguata ma nello stesso tempo il costo di un’assistente familiare a tempo pieno risulta troppo oneroso. Ugualmente, per molti giovani mantenersi agli studi o abitare fuori sede risulta oneroso. Nella Casa a Vela, anziani e giovani, occupano piani diversi della casa, nel rispetto della vita privata e delle diverse esigenze di ciascuno. Per le proprie esigenze personali, di salute e di assistenza, gli anziani sono affiancati da personale medico e da volontari. Giovani e anziani, invece, condividono lo svolgimento di alcune incombenze quotidiane, risparmiando reciprocamente tempo e denaro: fare la spesa, cucinare, lavaggio e stiratura indumenti, pratiche burocratiche, pagamenti. Esistono poi spazi comuni per sperimentare una socializzazione attiva intergenerazionale: la zona living (soggiorno e cucina); il giardino interno d’inverno; l’orto e la grande sala sottotetto destinata ad attività formative e ricreative per entrambe le generazioni ospitate. Nella regione autonoma del Trentino, il progetto della Casa alla Vela è stato realizzato facendo ricorso ad una partnership pubblico-privato. Casa alla Vela è stata inserita tra le 11 buone pratiche a livello europeo nel settore delle politiche sociali, perché permette importanti risparmi di risorse pubbliche: 25mila euro all’anno per anziano, quindi 125mila euro in totale in termini di ritardo nell’inserimento in cliniche e case di riposo.

Esempi rari e virtuosi come quelli riportati potrebbero realizzarsi, innanzitutto, diffondendo queste nuove concezioni e nuove pratiche di rilievo sociale culturale ed economico; progetti che necessitano del supporto della finanza sociale e della filantropia d’impresa, di una collaborazione tra privati e amministrazione pubblica: unica via per una rinascita virtuosa del welfare sempre più depauperato di fondi e risorse umane. Abbiamo raccontato queste storie,  per diffondere queste pratiche e magari ispirarne la realizzazione in giro per l’Italia, soprattutto per ricordare che un modo per proteggere e promuovere la vita è tornare a considerare la meraviglia e la fatica inscritta nel “circolo della vita”: fin da piccoli imparare a praticare nella realtà la vita che nasce, cresce, invecchia e muore. E ricordarsi che quando nella vita, a qualsiasi età, sopraggiungono – noia, solitudine, problemi, paura – non bisogna ricorrere sempre e solo a terapie, medici, medicine ma si può provare anche a fare un’altra vita.