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Accogliere i migranti in parrocchia? “Prima bisogna preparare la comunità”

"Su circa 95 mila persone migranti - precisano i vescovi italiani -, ospitate nei diversi Centri di accoglienza ordinari (Cara) e straordinari (Cas), nonché nel Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), diocesi e parrocchie, famiglie e comunità religiose accolgono in circa 1.600 strutture oltre 22 mila migranti"

E’ stato pubblicato stamani il Vademecum della Conferenza episcopale italiana, che spiega tutte le procedure per accogliere i migranti nelle strutture preposte

Alcuni migranti accolti in un centro parrocchiale

Da dove partire per accogliere i migranti? «Prima ancora dell’accoglienza concreta è decisivo curare la preparazione della comunità». Lo afferma il Vademecum per accompagnare le diocesi e le parrocchie nel cammino di accoglienza verso i richiedenti asilo e rifugiati, pubblicato stamani dalla Conferenza episcopale italiana come risultato del Consiglio episcopale permanente, svoltosi dal 30 settembre al 2 ottobre a Firenze: «L’appello – scrivono i vescovi italiani – lanciato dal Papa nell’Angelus del 6 settembre per rispondere al dramma dei profughi, ha trovato già le nostre Chiese in prima fila nel servizio nella tutela e nell’accompagnamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Su circa 95 mila persone migranti, ospitate nei diversi Centri di accoglienza ordinari (Cara) e straordinari (Cas), nonché nel Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), diocesi e parrocchie, famiglie e comunità religiose accolgono in circa 1.600 strutture oltre 22 mila migranti».

Card. Angelo Bagnasco, presidente Conferenza episcopale italiana

Card. Angelo Bagnasco, presidente Conferenza episcopale italiana

L’obiettivo del Vademecum è di aiutare a individuare forme e modalità per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza a favore delle persone richiedenti asilo e rifugiate che giungono nel nostro Paese, nel rispetto della legislazione presente e in collaborazione con le istituzioni: «Si tratta – spiega il Vademecum – di un gesto concreto e gratuito che si affianca ai molti altri a favore dei poveri presenti nelle nostre Chiese. Un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi».

Nelle parrocchie, dunque, la prima tappa è l’informazione: «Finalizzata – ribadisce la guida elaborata dalla Cei – a conoscere che è in cammino e arriva da noi valorizzando gli strumenti di ricerca a nostra disposizione, come il Rapporto immigrazione, il Rapporto sulla protezione internazionale, ma anche schede sui Paesi di provenienza dei richiedenti asilo e rifugiati e la stessa esperienza di comunità e persone presenti in Italia e provenienti dai Paesi dei richiedenti asilo e rifugiati».

La seconda tappa, invece, riguarda la formazione volta a preparare chi accoglie (parrocchie, associazioni, famiglie) con strumenti adeguati. Tra le proposte, quella di costruire una piccola équipe di operatori a livello diocesano e di volontari a livello parrocchiale: «E provvedere – invita il Vademecum – alla loro preparazione non solo sul piano sociale, legale e amministrativo, ma anche culturale e pastorale, con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata».

Di qui l’invito a Caritas e Migrantes, per curare a livello regionale e diocesano percorsi di formazione per operatori ed educatori delle équipe diocesane e parrocchiali: «Il Giubileo – scrivono ancora i vescovi -, è un’occasione per riscoprire l’attualità delle opere di misericordia corporali e spirituali, vincendo la barriera dell’indifferenza».

E in questa operazione la Chiesa precisa di non essere un soggetto diretto di assistenza, né collaterale all’azione dello Stato nel far fronte all’emergenza migranti: «Le Chiese, in Italia, – ricorda la Conferenza episcopale italiana – sono state pronte nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, in collaborazione con le istituzioni pubbliche, adottando uno stile familiare e comunitario. Tuttavia, l’azione di carità nei confronti dei migranti è un diritto e un dovere proprio della Chiesa e non costituisce esclusivamente una risposta alle esigenze dello Stato, né è collaterale alla sua azione. Per questo, la diocesi non si impegna a gestire i luoghi di prima accoglienza, né si pone come soggetto diretto nella gestione di esperienze di accoglienza dei migranti».

Spetta alla Caritas diocesana, in collaborazione con la Migrantes, curare la circolazione delle informazioni sulle modalità di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in parrocchie, famiglie, le comunità religiose, nei santuari e monasteri e raccogliere le disponibilità all’accoglienza: «La famiglia – propone il Vademecum – può essere il luogo adatto per l’accoglienza di una persona della maggiore età: l’Usmi e il Movimento per la vita hanno dato la disponibilità della loro rete di case per accogliere le situazioni più fragili, come la donna in gravidanza o la donna sola con i bambini».

Ma dove accogliere i migranti che sbarcano da noi? «In alcuni locali della parrocchia – suggerisce il documento – o in un appartamento in affitto o in uso gratuito, presso alcune famiglie, in una casa religiosa o monastero, negli spazi legati a un santuario, che spesso tradizionalmente hanno un hospitium o luogo di accoglienza dei pellegrini, acquisite le autorizzazioni canoniche ove prescritte».

Si definisce sconsigliabile il semplice affidamento alle Prefetture di immobili di proprietà di un ente ecclesiastico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, mentre è altrettanto dettagliato l’elenco di chi accogliere in parrocchia o in altre comunità: «Una famiglia (preferibilmente) – raccomanda il Vademecum -; alcune persone della stessa nazionalità che hanno presentato la domanda d’asilo e sono ospitati in un Centro di accoglienza straordinaria (Cas); chi ha visto accolta la propria domanda d’asilo e rimane in attesa di entrare in un progetto Sprar, per un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese; chi ha avuto una forma di protezione internazionale (asilo, protezione sussidiaria e protezione umanitaria), ha già concluso un percorso nello Sprar e non ha prospettive di inserimento sociale, per favorire un cammino di autonomia».

Per i minori non accompagnati, inoltre, il luogo più adatto non è la parrocchia, ma la famiglia affidataria o un ente accreditato come casa famiglia: «E visto che 2 migranti su 3 nel 2014 e nel 2015 – osserva il Vademecum Cei -, dopo lo sbarco sulle coste, hanno continuato il loro viaggio verso un altro Paese europeo, nei luoghi di arrivo e di transito dei migranti potrebbe essere valutato un primo servizio di assistenza in collaborazione con le associazioni di volontariato, i gruppi giovanili, l’apostolato del mare, in particolare nei porti o nelle stazioni ferroviarie».

Mediamente il tempo dell’accoglienza varia da sei mesi a un anno per i richiedenti asilo o una forma di protezione internazionale: «Ma i tempi – si precisa – possono abbreviarsi per chi desidera continuare il proprio viaggio o raggiungere i familiari o comunità di riferimento in diversi Paesi europei. In questo caso, potrà essere significativo, per quanto possibile, che la parrocchia trovi le forme per mantenere i contatti con i migranti anche durante il viaggio, fino alla destinazione».

Si tratta, per la Cei, di un impegno che accompagna il migrante fino a che riceve la risposta alla sua domanda d’asilo, che gli consentirà di entrare in un progetto Sprar o di decidere la tappa successiva del suo percorso. Tre i percorsi diversi da scegliere per l’accoglienza dei migranti: «In base alla prima opzione – rimarca ancora il Vademecum -, l’ospitalità in parrocchia di un richiedente asilo è un gesto gratuito, ma entra nella convenzione e nel capitolato che un ente gestore (di un Cas o di uno Sprar) legato alla diocesi concorda con la Prefettura. La parrocchia sarà una delle strutture di ospitalità. In base alla seconda opzione, la parrocchia che ospita un richiedente asilo riceverà un rimborso per l’accoglienza dall’ente gestore capofila, che entra come specifica voce nel bilancio parrocchiale».

Migranti pronti a sbarcare

Migranti pronti a sbarcare

Diversa la terza opzione: «La parrocchia – spiega il documento – ospita gratuitamente, senza accedere ai fondi pubblici, chi esce dal Cas o dallo Sprar». In questo caso non c’è raccordo con le Prefetture e non c’è bisogno di un ente gestore: «È sufficiente – aggiunge – che una Caritas o una Migrantes diocesana raccolga la disponibilità all’accoglienza e la faccia incrociare con l’esigenza di alloggio e sostegno di chi esce dai Cas o da uno Sprar».

Infine, il Vademecum fa un’opportuna distinzione anche per i termini da usare: «Profugo – scrive la guida – è un termine generico che indica chi lascia il proprio Paese a causa di guerre, invasioni, persecuzioni o catastrofi naturali. Richiedente asilo è colui che, trovandosi al di fuori dei confini del proprio Paese, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato. Rifugiato è la persona alla quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico in base ai requisiti stabiliti dalla convenzione di Ginevra del 1951».

Sono questi solo alcune categorie di migranti contenuti nel glossario che fa da appendice al Vademecum della Cei, in cui si spiega alle parrocchie che un migrante irregolare, comunemente definito come clandestino, è colui che ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera nazionali; è entrato regolarmente nel paese di destinazione, ad esempio con un visto turistico, e vi è rimasto dopo la scadenza del visto d’ingresso; benché oggetto di un provvedimento di allontanamento non ha lasciato il territorio del paese che ha decretato il provvedimento stesso: «C’è poi lo “sfollato”, che in inglese è definito “internally displaced person”, – conclude il Vademecum – cioè la persona o il gruppo di persone che sono state costrette a fuggire dal proprio luogo di residenza abituale, soprattutto in seguito a situazioni di conflitto armato, di violenza generalizzata, di violazioni dei diritti umani o di disastri umanitari e ambientali».

About Davide De Amicis (4358 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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