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Miti d’amore- La metà della sogliola

Nel Simposio di Platone, il mito dell'androgino e l'amore come nostalgia di "Quell'uno che eravamo"

 “Amore, per me, sei la metà della sogliola!“. Non so quanti uomini, guardando negli occhi l’amata, si azzarderebbero ad usare questa metafora al posto delle più rassicuranti e romantiche: “sei la mia dolce metà” o “sei la metà della mela”. Eppure alla metafora ittica, per così dire, allude una fonte a dir poco autorevole: Platone, per bocca di Aristofane, nel celebre Simposio [1].

androgino-platoneConclusa la cena presso la casa di Agatone, organizzata per festeggiare la vittoria dell’ospite in un concorso teatrale, i convitati danno inizio al rito del simposio (“bere insieme”) e s’interrogano su una questione di vitale importanza: «Che cos’è l’Amore e quali sono le sue opere. I simposiasti – un retore (Fedro), un poeta (Pausania), un medico (Erissimaco), un commediografo (Aristofane), un tragediografo (Agatone), unitamente a Socrate – prendono la parola nell’ordine elencato, in maniera assolutamente paritetica, perché per Platone nella ricerca della verità nessuno è da considerarsi migliore dell’altro. Come fossero in un vero e proprio agone, i convitati si sfidano per dimostrare la propria capacità di «rendere ragione» nel «dire la verità su Eros». Presentiamo il discorso di Aristofane perché indaga l’amore dal punto di vista ontologico, ossia come aspetto costitutivo ed insopprimibile della natura umana. Aristofane esordisce col dire che la «natura attuale» di ogni uomo – quella physis alla quale dobbiamo riferirci se vogliamo capire «che cos’è l’Amore e quali sono le sue opere» – è letteralmente dimezzata, divisa a metà, incompleta, parziale. A noi è accaduto come alle sogliole: suddivise longitudinalmente a metà, «da uno siamo diventati due» [2]. Nella «natura originaria» – prosegue Aristofane, esponendo il famoso mito dell’androgino – la forma di ciascun uomo era rotonda ed aveva dorso e fianchi a cerchio: quattro mani, altrettante gambe, due volti perfettamente uguali sopra un collo tondo. Per i due volti, l’uno opposto all’altro, una testa sola; quattro orecchie e genitali doppi. Per punire la tracotanza (hybris) degli umani nei confronti della divinità, Zeus divise la natura umana in due, «come quelli che tagliano sorbe per fare conserva, o quelli che tagliano le uova con un crine». Da allora, il destino del genere umano è segnato. Poiché ciascun individuo non è più un intero ma la metà (symbolon) di un umano originario, è inevitabile che, per tutta la vita, ricerchi l’altra metà con la quale ripristinare l’intero. Chiarita quale sia la natura umana, Aristofane è finalmente pronto a rivelare cosa sia Amore. Non è un semplice sentimento tra gli altri, ancor meno un capriccio dei sensi, e non è mosso da una libera scelta: l’amore è un’esigenza ontologica – costitutiva ed insopprimibile della natura umana – di completezza; è la forza che spinge in maniera irresistibile ognuno a cercare quella metà, e solo quella, che manca, per «diventare l’uno con l’altro una medesima cosa, in modo da non lasciarsi mai né notte né giorno». Se l’amore è il nostro destino, il percorso è già segnato: «Per noi uomini e donne, la specie nostra può essere felice solo a questo patto, se noi conduciamo a perfezione l’amore ed abbiamo la fortuna di incontrare ciascuno l’amante che ci è proprio, ritornando per tal modo alla natura antica»[3].

Platone, il padre delle “idee” e dell’Iperuranio, presenta una lettura profondamente realistica della «natura e dell’essenza dell’eros» legando indissolubilmente l’amore al problema dell’uomo, della sua vera natura, della sua origine e del suo destino. Se da una parte a Platone si fa risalire la distinzione tra mythos e lógos, dall’altra proprio il filosofo ricorse sempre ai mythoi in chiave filosofica per esporre i nodi teoretici del suo pensiero. Pur non potendo approfondire questo aspetto, va ricordato che nella lingua greca delle origini mythos significa “parola” in senso oggettivo: è “racconto”, “storia” di ciò che è accaduto o sta accadendo. Il mythos non è un racconto fantastico, piuttosto aspira a rappresentare gli archetipi della realtà. E nel mito dell’androgino, Platone, ha ben espresso la realtà costitutiva dell’amore. Nel linguaggio e nella mentalità comune, infatti, l’amore non è forse sentito come un sentimento con-naturato, che ci appartiene e realizza nel profondo? Non percepiamo l’amore come un ri-conoscersi, come fosse una nostalgia più che un desiderio? Non parliamo dell’amore come di “completezza”, come “pienezza dell’essere”, come il farmaco che lenisce tutte le “ferite”, come la forza che potenzia la nostra finitudine fino a farci sentire immortali?

L’unica cosa che il mito di Platone non dice è se il tentativo cui eros ci sospinge, tornare a essere «uno, da due», si concluda con un successo. Al termine della ricerca amorosa, ci sarà dato di trovare la “completezza”? Da chi dipende il coronamento della peregrinazione in cerca della “metà”? Detto diversamente: “Perchè alcuni trovano la metà della sogliola e altri restano sogliole a metà?”.

Per ogni domanda, ci attende un mito…

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Sul tema dell’amore come forza che spinge a cercare la sola metà capace di riformare l’unità, scegliamo: Francesco Petrarca, Canzoniere – “Benedetto sia ‘l giorno”:

«Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e l’anno/e la stagione e ‘l tempo e l’ora e ‘l punto/e ‘l bel paese e ‘l loco ov’io fui giunto/da’ duo begli occhi che legato m’ànno;/e benedetto il primo dolce affanno/ch‘ i’ ebbe ad essere con amor congiunto,/e l ‘arco e le saette ond ‘io fui punto,/e le piaghe che ‘infin al cor mi vanno./Benedette le voci tante ch’io/chiamando il nome di mia Donna ò sparte,/e i sospiri e le lagrime e ‘l desio;/e benedette sian tutte le carte/ov’io fama l’acquisto, e ‘l pensier mio,/ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’à parte».

[1] Platone, Simposio, trad.it. di C.Diano, Marsilio,Venezia, 1992; Il discorso di Aristofane (189a-193e).

[2] Cfr. Simposio (191c-d): «Da tempo è dunque connaturato che negli uomini l’amore degli uni per gli altri che si fa conciliatore dell’antica natura e che tenta di fare un essere solo da due e di curare la natura umana. Ciascuno di noi dunque è come un contrassegno (σύμβολον) d’uomo, giacché è tagliato in due come sogliole, da uno diventa due».

[3] Cfr. Simposio (191e): «Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e noi eravamo tutti interi: e il nome d’amore dunque è dato per il desiderio e l’aspirazione all’intero».

* Immagine: I fidanzatini di R. Peynet (1908-1999)

 

 

 

 

 

 

 

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