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Miti d’Amore – Narcisismo ed ‘ecoismo’

Il mito di Eco e Narciso e sull'incapacità di stabilire relazioni autentiche

Nel Simposio, come abbiamo mostrato, Aristofane identifica il desiderio d’amore che spinge l’essere umano verso l’altra persona con queste parole: «Diventare l’uno con l’altro una medesima cosa, in modo da non lasciarsi mai né notte né giorno». Per quanta sia suggestiva l’immagine della «metà della sogliola», o “metà della mela” che dir si voglia, è evidente ci siano altri generi d’amore a parte quello di coppia. Non è forse amore quello che si prova per un figlio, per i genitori, per un lavoro, per una comunità di riferimento e non ultimo per Dio? Parlare d’amore è difficile, perché è un fenomeno universale e insieme singolare; riguarda tutti e ciascuno in modo diverso. Pur non potendo stabilire regole valide per tutti, è però possibile rintracciare alcune costanti universali. Ad esempio, qualsiasi sentimento d’amore è avvertito come processo che coinvolge un’identità e un’alterità. L’amore non richiede di uscire fuori dalla propria identità in direzione di un’alterità, ma di far incontrare l’una e l’altra. Per spiegare il delicato equilibrio tra “identità” e “alterità” in amore, ci affidiamo al mito di Narciso ed Eco com’è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, la versione che più si presta ad un’interpretazione filosofica del mito, al di là dell’interpretazione stereotipata che riduce Narciso al fanciullo innamorato di se stesso ed Eco all’infelice amante non corrisposta.

La storia di Narciso inizia con un vaticinio. L’azzurrina ninfa Liriope, dopo essere stata violentata dal fiume Cefiso, «aveva partorito un bambino che già appena nato meritava di essere amato» e lo aveva chiamato Narciso. Interrogato il celebre indovino Tiresia, se Narciso sarebbe giunto a vedere una lunga, tarda vecchiaia, egli aveva così predetto:«Se non conoscerà se stesso (Si se non noverit), vivrà a lungo». Una predizione ostica, che richiama per contraddizione il celebre “conosci te stesso” comandato a Socrate dall’oracolo di Delfi, e che solo l’esito della vicenda svelerà a pieno. A questo punto della storia, si colloca l’incontro tra la ninfa Eco e il bellissimo Narciso, un giovanetto desiderato da tutti ma superbo al punto che nessuno riusciva ad avvicinarlo. Quando vede Narciso, anche Eco s’infiamma d’amore e di nascosto ne segue le orme; vorrebbe avvicinarsi al giovane per rivolgergli dolci parole ma non può, perché Eco, per punizione della gelosa Giunone, è ridotta ad essere la ninfa che «non sa tacere a chi parla, ma che al tempo stesso non può parlare per prima». Eco duplica i suoni e le parole degli altri, ma non può parlare lei stessa per prima. Stando così le cose, l’incontro tra i due si traduce in un disastro; Narciso corre via inseguito, Eco ripete sempre le ultime parole del bel giovane generando una catena di equivoci, fino alla sentenza finale rivolta da Narciso ad Eco: «Giù le mani, non mi abbracciare! – esclama. – Preferisco morire piuttosto che darmi a te!». Ed Eco non può rispondere altro che: «Darmi a te!». Se Eco per l’umiliazione subita finirà i suoi giorni, nascosta, consumandosi al punto che di lei resterà solo la voce, «il suono che vive in lei», non sarà riservata a Narciso una sorte migliore. Dopo che una voce anonima si è alzata ad implorare una punizione per il giovanetto superbo: «Possa anche lui innamorarsi e non possedere chi ama!», Narciso, spossato per la fatica della caccia, si avvicina alla superficie dell’acqua per bere, mentre resta rapito da un’immagine che altri non è che il suo riflesso. Preso da un duplice inganno – non distinguere l’immagine da un corpo reale e non riconoscere se stesso nell’immagine riflessa –, Narciso non smette di guardarsi con ammirazione al punto che «s’innamora di una vuota speranza».

Il mito di Eco e Narciso non si riduce alla storia di un’innamorata sfortunata, non corrisposta da un vanesio giovinetto. L’impossibilità di stabilire un’autentica relazione tra i due risiede tutta nella specifica personalità di entrambi. Eco è espressione della pura alterità, perché non ha un’identità autonoma ma è solo un replicante delle personalità altrui. Allo stesso modo Narciso è espressione della pura identità, perché è incapace di cogliere fuori di sé l’alterità se non come proiezione della propria identità. Tra una totale identità, incapace di aprirsi all’alterità (Narciso), e la totale alterità, priva di autonoma identità (Eco), non si può stabilire alcuna autentica relazione. Quante persone, per primi noi stessi, vivono le relazioni in un pericoloso squilibrio tra identità ed alterità? Identità che riducono l’alterità ad una proiezione di se stessi, oppure identità che si annullano davanti all’alterità. In entrambi i casi, oltre a pregiudicare la possibilità di un’autentica relazione, si condanna se stessi all’autodistruzione come accade sia ad Eco che a Narciso. Il mito di Narciso ed Eco, allora, è di insegnamento per ognuno di noi: affinché ci sia un rapporto, qualunque ne sia l’intensità e la qualità, è necessario essere provvisti di una forte identità quanto essere capaci di accogliere l’altro in quanto altro e non soltanto come riflesso della propria identità.

Concludiamo, tornando al vaticinio di Tiresia sul futuro di Narciso:«Se non conoscerà se stesso (Si se non noverit), vivrà a lungo». Che significa? Quando Narciso riconosce se stesso nell’immagine riflessa ed esclama: «Ma questo sono io!» (Iste ego sum!), non inizia la sua salvezza ma la fine. Narciso si abbandonerà alla disperazione, percuotendosi e maledicendosi, sotto gli occhi pietosi di Eco accorsa, sfinito d’amore per quel se stesso irraggiungibile, si lascerà morire guardando fino all’ultimo la sua immagine e dicendo: «Ah, fanciullo invano amato!». «E quando disse:“Addio!”, Eco ripetè naturalmente:“Addio!”». Il mito di Narciso non ammette redenzione, possibilità di ravvedimento per il giovane. Conoscere se stesso equivale a morire, rassegnarsi all’impossibilità di avere relazioni veramente autentiche. È veramente così, è veramente impossibile raggiungere la persona amata o comunque imparare ad avere relazioni significative nella nostra vita? Aspettiamo il prossimo mito che – anticipiamo – fa ben sperare, perchè si può non morire di narcisimo e di ‘ecoismo’ – volendolo.

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[1] Sull’interpretazione del mito di Eco e Narciso, cfr. U. CURI, Filosofia dell’Eros, Bompiani, Milano 2015, pp. 62-96.

[2] Immagine: Nicolas POUSSIN, “Eco e Narciso”, 1625 – 1627, Parigi, Louvre

[3] R.M. RILKE dedicò quattro poesie a Narciso, tra queste “Narciso svanito” (4), Aprile 1913:

Svanì Narciso. Dalla sua bellezza

senza tregua esalava la sostanza,


densa come profumo d’eliotropio.


Ma suo destino era che si vedesse

Ciò che emana riassorbiva in sé il suo amore


e più nulla di lui era nel vento aperto


e chiuse il cerchio delle forme estatico


e si abolì e non poté più essere.