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Filosofia per la vita – Diamoci una regolata!

Cartesio e la sua «morale provvisoria», perché per mantenere la rotta della propria vita ci vogliono regole chiare di navigazione.

“Lo desideravo tanto!”; “Perché non riesco a trovarlo!”; “Una cosa così, non doveva succedere proprio a me!”. Spesso siamo arrabbiati, delusi, sfiancati perché i nostri desideri non si esaudiscono, il futuro pianificato non si realizza o qualche evento nefasto ci fa virare bruscamente verso direzioni indesiderate. Scoraggiati, non immaginiamo via d’uscita; incapaci di vedere nuovi orizzonti e terre inesplorate nelle quali approdare, finiamo per vivacchiare in attesa che il “brutto periodo” passi, che il “drago” sconfigga l’“orco”, tanto al castello e alle fate non ci crediamo più. Invece di attendere soluzioni magiche, rassegnati, possiamo riavviare la vita in una direzione corrispondente ai nostri desideri e al nostro modo di essere?

basta«Io per non rimanere indeciso nelle mie azioni […] e per non smettere di vivere il più felicemente possibile» – scrive un insolito Cartesio (1596-1650) in un passaggio del suo Discorso sul Metodo (Parte terza) –, mi formai una morale provvisoria consistente solo in tre o quattro massime, che desidero comunicarvi». Dunque, tanto nella buona quanto nella cattiva sorte, per essere felici non basta lasciar-si vivere, come teatranti improvvisati che recitino a soggetto un canovaccio risicato. Per essere il nocchiero della propria vita, col sole o la tempesta, è meglio disporre di una «morale provvisoria»: scegliere un modo di essere e di stare nella vita, fissando regole che rispecchino il nostro modo di vedere il mondo e di stare nel mondo. Una rotta e delle regole, provvisorie, sì, solo perché non tutto è in nostro potere; bisognerà pur fare degli aggiustamenti, durante il viaggio della vita, ma certo non si può navigare senza una rotta e delle regole. Quali «massime», suggerisce Cartesio?

Nella seconda massima, il filosofo raccomanda a se stesso «di essere il più possibile fermo e risoluto nelle azioni», tanto da seguire con la medesima costanza – «una volta che mi fossi deciso» – tanto le direzioni più dubbie quanto le più sicure. Nella vita bisogna essere viaggiatori risoluti, non vagare qui e là, tanto meno fermarci, ma puntare dritto alla direzione che si è scelti. Quando una situazione non soddisfa e procura dolore possiamo scegliere una nuova direzione, quella che appare con più probabilità la migliore, a patto che sempre con costanza riprendiamo il viaggio. Se ci troviamo smarriti, come viaggiatori gettati in un mare cupo e tempestoso, dobbiamo scegliere: continuare a vivacchiare, vagando qui e là in balìa delle onde, o puntare verso una nuova direzione che ci permetta di abitare luoghi migliori. Una volta che si sia deciso di cambiare realmente rotta, per cercare nuove opportunità di vita, è necessario distinguere tra le cose in nostro potere e quelle che non lo sono. Nella terza massima, Cartesio, suggerisce di abituarsi a «credere che nulla, al di fuori dei nostri pensieri, è interamente in nostro potere», in modo che quando abbiamo fatto del nostro meglio, «rispetto alle cose che ci sono esteriori»», dobbiamo accettare che «tutto quello che non ci riesce è, in rapporto a noi, assolutamente impossibile». Quando ci troviamo insabbiati in un fondo di pesi esistenziali, per disincagliarsi dagli impedimenti e riprendere il viaggio della vita, dobbiamo distinguere «le cose esteriori» che ci accadono, e non sono completamente in nostro potere, dai «pensieri», ossia dal modo che abbiamo di interpretare ciò che accade, di giudicarlo, di accettarlo o cambiarlo. La sofferenza, il dolore, la delusione che possiamo sentire dipendono dagli eventi della vita che ci accadono ma derivano ancor più dal modo in cui interpretiamo questi eventi. Cartesio sceglie di stare nel mondo, e di guardare il mondo, assumendo la postura di chi si propone di «vincere se stesso piuttosto che la fortuna, e cambiare i propri desideri piuttosto che l’ordine del mondo». Così noi: non fossilizziamoci in ciò che non vogliamo, non imprechiamo contro quello che non controlliamo, ma lavoriamo «le cose esteriori» con le migliori possibilità dei nostri «pensieri».

Nella prima massima, Cartesio, prescrive a sé anche di obbedire alle leggi e ai costumi del paese, di credere alla religione in cui Dio gli ha dato la fortuna di essere educato e di scegliere sempre tra le opinioni degli altri quelle più moderate, «praticate dalle persone più sensate tra cui [gli] sarebbe toccato vivere». Il nostro modo di essere e di stare nella vita dipende anche dalla posizione che assumiamo nei confronti della politica, della religione e della società civile; oggigiorno, molti abitano l’atteggiamento sterile dell’urlo e della lamentela. Io mi arrabbio, tu sei arrabbiato; io mi lamento, tu sei lamentoso; così l’insoddisfazione generale dilaga contagiosa. La contestazione e la lamentela rappresentano un modo statico e improduttivo di abitare il mondo. Nella quarta massima, Cartesio, come conclusione alla propria «morale provvisoria», scrive che, cercando tra le varie attività quale fosse la migliore per sé, ha deciso di impiegare tutta la vita «a coltivare la [sua] ragione, e a progredire quanto fosse possibile nella conoscenza della verità». Coltivare il pensiero nelle infinite possibilità intellettuali, spirituali e creative, è una via privilegiata per scegliere il nostro modo di essere e di stare nella vita, affrancandoci dagli inevitabili pesi esistenziali. Perché ristagnare nel dolore, nell’insoddisfazione, nella delusione, lasciandoci vivere, se si può guidare la propria vita con il pensiero?

Non accontentiamoci di vivacchiare, se abbiamo la possibilità di pensare vite migliori. E se cominciassimo, per esempio, con lo scrivere la nostra “morale provvisoria”? Diamoci una regolata!