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Istat: “In Italia matrimonio in declino e famiglia non più modello dominante”

Nel 2015 il 70,1% dei ragazzi tra i 25 e i 29 anni vive ancora in famiglia, contro il 54,7% delle loro coetanee. La presenza di ragazzi stranieri immigrati o nati in Italia ha bilanciato in parte quello che l’Istat chiama il “degiovanimento”, cioè la progressiva diminuzione delle nuove generazioni per il calo delle nascite. Dal 1993 al 2014 in Italia sono nati quasi 971 mila bambini stranieri, con un trend di crescita invertito solo negli ultimi due anni

Lo ha rilevato l’Istat nel Rapporto Istat 2016 sulla situazione del Paese, presentato stamani a Montecitorio

Nel 2015 il 70,1% dei ragazzi tra i 25 e i 29 anni vive ancora in famiglia, contro il 54,7% delle loro coetanee. Si tratta di percentuali più alte rispetto a quelle di 20 anni prima (62,8% e 39,8%), e questa permanenza è dovuta a diversi motivi, tra cui l’aumento della scolarizzazione e il prolungarsi della formazione, le difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e la precarietà, la difficoltà a trovare un’abitazione.

È quanto emerge dal Rapporto Istat 2016 sulla situazione del Paese, presentato oggi a Montecitorio. Tra le generazioni più recenti, il matrimonio è in declino in quanto posticipato verso età più mature. Nel 2014 l’età al primo matrimonio è di 34,3 anni per gli sposi e 31,3 per le spose. La famiglia tradizionale (coppia coniugata con figli) non è più il modello dominante, e rappresenta ormai meno di un terzo delle famiglie (32,9%): altre forme familiari si fanno avanti, come le famiglie unipersonali di giovani e adulti non vedovi, che ormai sono il 7,9% della popolazione, mentre le libere unioni superano il milione. Tra queste ultime, per la metà dei casi si tratta di convivenze more uxorio (come marito e moglie) tra partner celibi e nubili, mentre le famiglie ricostituite superano il milione.

Oltre due terzi delle trentenni (2,7 milioni), non hanno ancora lasciato la proprio famiglia e sono diminuite di circa 41 mila le donne che tra i 18 e i 30 anni si sposano per la prima volta. Continua a diminuire il numero medio di figli per donna: «Subito dopo la prima guerra mondiale – riporta la ricerca – i figli per donna erano 2,5, per passare a 2 dopo il secondo dopoguerra, fino ad 1,5 figli per le donne della generazione del 1970. Il calo della fecondità recente è dovuto, in gran parte, al posticipo delle nascite da parte della Generazione del millennio».

Il posticipo riguarda tutte le tappe del ciclo della vita. Diventavano nonne entro i 50 anni il 38,2% delle donne nate prima del 1940, contro il 30% di quelle nate all’inizio degli anni cinquanta. Per gli uomini, diventavano nonni prima dei 60 anni il 38,7% dei nati prima del 1940 e il 33,1% tra quelli nati nel periodo 1945-49. Oggi si diventa nonni in media a 54,8 anni e i rapporti tra nonni e nipoti rimangono saldi e con un ruolo attivo dei nonni, coinvolti nell’affidamento dei nipoti fino ai 13 anni in 86,9% dei casi.

Questo il preoccupante andamento demografico intrapreso dalla popolazione italiana che, di conseguenza, diminuisce e invecchia: «Al 1° gennaio 2016 – si legge ancora nel rapporto – si stimano 60,7 milioni di residenti (-139mila rispetto al 2015), mentre gli over64 sono 161,1 ogni 100 giovani sotto i 15 anni». L’Italia, quindi, insieme a Giappone e Germania, è uno dei Paesi più invecchiati del mondo.

Giorgio Alleva, presidente dell‘Istat

Giorgio Alleva, presidente dell‘Istat

Diminuiscono anche le nascite, che nel 2015 sono state 488 mila (-15 rispetto al 2014), e la fecondità cala per il quinto anno consecutivo (1,35 figli per donna); aumentano invece i decessi: 653mila (+54mila). Novanta anni fa, nel 1926, la situazione demografica era diversa. I residenti tra il 1926 e il 1952 passavano da 39 a 47,5 milioni, per la forte riduzione della mortalità e per la natalità ancora alta, e la vita media aumentava di circa 15 anni, passando da 52,1 a 67,9 anni per le donne e da 49,3 a 63,9 per gli uomini.

Dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione cresceva ancora; le nascite superavano il milione nel 1964, e con il baby boom il numero medio di figli per donna passava da 2,3 dell’inizio degli anni Cinquanta a 2,70 del 1964. La crescita demografica rallentava a partire dalla metà degli anni Settanta, infatti al Censimento del 2001 i residenti erano poco meno di 57 milioni (erano 56,5 nel 1981). Dal 2000 la popolazione è cresciuta di nuovo, ma grazie all’immigrazione dall’estero.

A gennaio 2016 i residenti italiani sono 55,6 milioni, mentre i cittadini stranieri sono 5,54 milioni (cioè l’8,3% del totale). Ma se nel nostro Paese oggi si invecchia di meno, di contro, si vive di più tanto che su 100 mila residenti, ci sono 31,4 persone di oltre 100 anni, perlopiù donne (83,8% al 1° gennaio 2015), e tra questi il 4,6% supera i 105 anni. Nel resto d’Europa più centenari e over100 si trovano solo in Spagna e Francia (33,3 e 368 persone per 100 mila residenti).

Sono però meno numerose le nuove generazioni. Infatti meno del 25% della popolazione italiana è sotto i 24 anni, una quota dimezzata tra il 1926 e il 2016. La presenza di ragazzi stranieri immigrati, o nati in Italia, ha bilanciato in parte quello che l’Istat chiama il “degiovanimento”, cioè la progressiva diminuzione delle nuove generazioni per il calo delle nascite. Dal 1993 al 2014 in Italia sono nati quasi 971 mila bambini stranieri, con un trend di crescita invertito solo negli ultimi due anni. Ai ragazzi nati in Italia (il 72,7% degli stranieri sotto i 18 anni, si aggiungono i giovanissimi arrivati insieme ai genitori o per congiungimento familiari).

Tra gli stranieri sotto i 18 anni, circa il 38% si sente italiano, il 33% si sente straniero, il 29% indeciso. Questa “sospensione dell’identità” è una caratteristica che interessa un numero consistente di ragazzi con background migratorio che vivono in Italia. In questo contesto socio-demografico, la spesa per prestazioni sociali italiana è pari al 28,6% del Pil, rispetto al 27,7% del Pil della media dei Paesi dell’Unione europea.

Tra l’altro, in base ai dati Istat chi ha studiato vive più a lungo, soprattutto se uomo. Dunque, il titolo di studio incide sulla speranza di vita, soprattutto tra gli uomini. Infatti, tra gli over65 uomini e donne con un titolo di studio elevato hanno un vantaggio di 2,0 (uomini) e 1,2 (donne) anni di vita.

Parlando poi di povertà, i minori sono quelli che hanno pagato di più le conseguenze della crisi, anche rispetto alle generazioni più anziane. Lo conferma l’incidenza di povertà relativa che, per i minori, si era attestata tra l’11 e il 12% tra il 1997 e il 2011, ed è arrivata al 19% nel 2014. Tra gli anziani, invece, che nel 1997 avevano un’incidenza di povertà 5 punti più alta di quella dei minori, c’è stato un miglioramento progressivo, proseguito fino al 2014, quando l’incidenza era di 10 punti percentuali inferiore a quella dei giovani.

Ciononostante, l’Italia sembra essersi messi finalmente alle spalle la crisi: «L’Italia – conferma Giorgio Alleva, presidente dell’Istat – sta finalmente uscendo da una recessione lunga e profonda, senza termine di paragone nella storia di cui l’Istat è stato testimone in questi 90 anni. Inevitabilmente, quindi, il periodo appena trascorso ha inciso su numerosi aspetti del sistema economico e sociale, in modi e con manifestazioni differenti».

Guardando, infine, al futuro del Paese, emergono alcune proposte: «Occorre considerare attentamente – conclude Giorgio Alleva – il ruolo degli interventi di natura pre-distributiva. Si includono tra questi: misure in grado di incidere sul funzionamento dei mercati, a partire da quello del lavoro; politiche industriali; interventi che consentano agli individui di dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato (anzitutto quelli che riguardano l’istruzione, a partire dalla primissima infanzia); infine politiche per la salute. In questo contesto, un ruolo fondamentale spetta alle scelte pubbliche in materia di investimenti e di spesa, soprattutto sul piano della qualità: scelte che l’Istat è in grado di accompagnare e di corroborare sia nella fase della loro formazione, sia in quella della loro valutazione».

About Davide De Amicis (4360 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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