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La ricerca filosofica e la felicità

Io direi che la felicità consiste in un bene, posseduto il quale, non se ne desiderano altri (Severino Boezio)

Nella sua lunga storia, l’uomo si è sempre chiesto dove trovare e come raggiungere la felicità, si è sempre chiesto se questo stato di pienezza coincida con qualche bene terreno. La stessa ricerca scientifica, in ogni sua forma, si propone di contribuire al raggiungimento di questo obiettivo: «tutte le scienze e le arti – afferma Tommaso d’Aquino nel Commento alla Metafisica di Aristotele – si orientano verso un unico fine, la perfezione dell’uomo, cioè la sua felicità» (proemio). Insomma, l’uomo in tutti i modi cerca di placare la sua sete di verità e il suo desiderio di infinito.

Secondo quanto dice Agostino, nel primo libro delle Confessioni, questo “vuoto del cuore” non può essere riempito da nessun bene finito: l’uomo può trovare il suo appagamento solo in un bene infinito. Celebri sono le sue parole, ma vale la pena riportarle: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te» (I,1,1). La filosofia si 09-La_Filosofiapresenta come ricerca di questo bene infinito e il filosofo è, per Agostino, colui che ama questa ricerca e che ordina tutte le cose in vista del fine ultimo trovato; è la ricerca in definitiva della causa prima, causa che coincide con quell’Essere che è il Principio e il Fine di ogni cosa. In questo modo, dunque, «la filosofia, in quanto colma i desideri di sapere dell’uomo, contribuisce al suo perfezionamento; e in quanto si mette al servizio dell’amore, un amore intelligente e libero, facilita il raggiungimento di quella pienezza di vita, dalla quale derivano le gioie più nobili e imperiture. E così, nel senso classico e nel senso moderno, genera felicità» (T. Melendo, Metafisica del concreto, Leonardo da Vinci, Roma 20052, p. 40). Ovviamente questo non vuol dire che dobbiamo disprezzare le gioie terrene; anche in questo caso vale il principio aristotelico secondo cui la virtù sta nel mezzo: bisogna gustare le piccole felicità della terra certamente, ma non assolutizzarle. E ciò per due motivi: il primo perché i beni terreni e le relative gioie passano, il secondo perché ciò che per sua natura è finito non può sostituire l’infinito a cui tendiamo secondo le parole di Agostino. Severino Boezio in uno dei suoi testi più celebri, così si esprime: «Ora, se, come ho mostrato poco fa, esiste un certo tipo di felicità imperfetta, derivante da un bene poco consistente, non ci può essere dubbio che ne esiste una piena e perfetta. La conclusione – dissi io – è quanto mai sicura e vera. E le [la filosofia]: Per conoscere da che parte abiti – riprese – segui queste considerazioni. Che Dio, l’essere superiore a tutti, sia buono, lo sta a provare il modo di concepire comune alle menti umane; dal momento, infatti, che non si può concepire nulla di più buono che Dio, chi potrebbe dubitare che sia buono quello di cui nulla è più buono? E che Dio è buono la ragione lo dimostra in modo tale da indurre a credere che in lui sia posto anche il perfetto bene. Difatti, se così non fosse non potrebbe essere il fondamento di tutte le cose […] Perciò […] si deve ammettere che in Dio sommo sia la pienezza del sommo e perfetto bene; ma noi abbiamo dimostrato che il perfetto bene coincide con la vera felicità: ne deriva quindi necessariamente che la vera felicità si trova nel sommo Dio» (La consolazione della filosofia, Bur, Milano 200511, p. 229-231).

Certo, determinate circostanze storiche possono in parte anestetizzare la coscienza dell’uomo e renderlo, in un certo senso, incapace di porre attenzione su ciò che è essenziale, ma basta poco per risvegliare questo desiderio, il desiderio di conoscere, come dice Agostino, la sola realtà che rende felici, la Misura che colma ogni vuoto del cuore e che solo l’uomo può possedere: «Dunque, come la verità è figlia della misura, così la misura si riconosce dalla verità; non sono quindi mai esistite una verità senza misura e una misura senza la verità. Chi è il figlio di Dio? È detto: la Verità. Chi altri dovrebbe essere ingenerato se non la Misura suprema? Pertanto chiunque per la via della verità sia pervenuto alla Misura suprema è felice. Questo per l’animo umano vuol dire possedere Dio, goderne pienamente. Gli altri esseri, benché siano in potere di Dio, non Lo possiedono» (La felicità, Bur, Milano 20013, p. 87).

About Giovanni Covino (17 Articles)
Giovanni Covino (Benevento 1985) è laureato in filosofia presso l’Università Federico II di Napoli con una tesi sulla gnoseologia di Jacques Maritain, con particolare riferimento al problema del realismo e della filosofia cristiana. Ha tenuto corsi di filosofia come professore ospite presso lo Studio Teologico di Benevento e collabora con la Casa editrice Leonardo da Vinci (www.editriceleonardo.net). Ha pubblicato un commento al trattato di Antonio Livi su Vera e falsa teologia (2012) per la Rivista Rosminiana, diretta da Pier Paolo Ottonello, e un saggio (Per una filosofia come “scienza rigorosa”. La proposta teoretica di Antonio Livi e la fenomenologia) nel volume collettaneo Realismo e fenomenologia, a cura di Mario Mesolella (Roma 2012). Ha inoltre curato diversi volumi collettanei (La nozione di “senso comune” nella filosofia del Novecento, Roma 2012; La verità in teologia. Filosofi e teologi discutono il trattato di Antono Livi, “Vera e falsa teologia”, Roma 2014; Dagli enti all'Essere, Roma 2016; Verità e giustizia in democrazia, Roma 2017). Ha contribuito con uno studio sulla dialettica tra senso comune e filosofia nel pensiero antico, con particolare attenzione alla metafisica platonica, al volume collettaneo Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, a cura di Andrea Muni (Limina Mentis 2014) e curato, con Antonio Livi, il testo "Edith Stein. Tra Husserl e Tommaso d'Aquino" di Cornelio Fabro (Roma 2016). Ha pubblicato numerosi articoli sulla rivista Sensus communis ed è autore del trattato "Il senso morale. Avviamento allo studio dell'etica filosofica" (Roma 2017).
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