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Filosofia per la vita-C’è modo e modo di desiderare

Più del significato etimologico, delle parole è importante la genealogia: esse nascono per esprimere le condizioni, le emozioni, i bisogni da cui scaturiscono. La scelta della lingua greca di avere come modo verbale l'ottativo, non esprime forse una certa concezione del desiderio e della speranza?

Per capire le connessioni intercorrenti tra linguaggio, pensiero, storia di un popolo, affidarsi alla filosofia del linguaggio o altre discipline è di certo consigliabile. Il nostro ragionamento prende le mosse da una riflessione più semplice, meno asettica, scaturita da una banalissima esperienza. Come spiegare a un adolescente annoiato il significato dell’ottativo greco? Si dia inizio alla parata delle definizioni: nella coniugazione verbale greca, e non solo, l’ottativo è il “modo del desiderio”; la parola ottativo, infatti, deriva dal verbo latino “optare” che significa desiderare. Non fa una piega! Chiaro?! Sì, non fa una piega, come la faccia dell’adolescente annoiato. Proviamo con l’esemplificazione suadènte. La funzione principale dell’ottativo è di esprimere un desiderio realizzabile, una speranza: “che tu possa diventare un calciatore come Totti!”. Se l’adolescente accenna un sorriso, alziamo il tiro: l’ottativo si distingue sia dall’indicativo, il modo dell’azione reale, sia dal congiuntivo, il modo che ha valore di azione esortativa; in latino l’ottativo è stato assimilato al congiuntivo, così come in italiano. A questo punto resterebbe da coniugare qualche verbo, ma l’adolescente esordisce così: “Perchè i latini hanno tolto il ‘modo del desiderio’, se è il più bello?” Siamo chiaramente davanti ad un bivio: avventurarsi nella distinzione tra “togliere” e “assimilare al congiuntivo”, o raccogliere la sfida? Vada per la seconda, senza dubbio.

Sperare etimologicamente significa “aspirare a, “tendere verso; desiderare è “sentire la mancanza di” ed esprime la condizione di chi non ha astri (desidera) di cui disporre al fine di orientarsi, ma spera in buoni auspici, come accade ai marinai in mare o alle sentinelle nella notte. Comunque più del significato etimologico, delle parole è importante la genealogia: esse nascono per esprimere le condizioni, le emozioni, i bisogni da cui scaturiscono. La lingua greca, tornando al tema, ha pensato e fissato un modo verbale specifico per esprimere la “speranza” e il “desiderio”. Il modo indica l’atteggiamento con cui il parlante presenta l’azione espressa nel verbo: l’azione può essere reale (indicativo), eventuale (congiuntivo), desiderabile (ottativo), soggetta a condizioni (condizionale), richiesta (imperativa). La cultura greca – consentiteci di enfatizzare e ricamare un po’, fissando un modo verbale per esprimere il desiderio e la speranza, sembra esprimere un grande atto di fiducia verso l’uomo e le sue infinite possibilità di essere sempre generativo e creativo. Se la lingua esprime il pensiero e il pensiero richiama un bisogno, fissare un “modo per il desiderio” significa sostanzialmente confidare nella capacità dell’uomo di guardare sempre le stelle e sperare. Il desiderio è la mancanza che sospinge alla ricerca, è la veglia che rimanda all’attesa; la speranza è la condizione di chi vive un’esistenza aperta all’orizzonte del possibile. La lingua greca, fissando il “modo del desiderio”, mette l’uomo davanti ad una radicale verità: quando speriamo e desideriamo siamo come equilibristi in bilico tra il certo e l’incerto, il possibile e l’impossibile, il noto e l’ignoto, il realizzabile e l’irrealizzabile. Se c’è un “modo del desiderio”, c’è anche un modo di desiderare: affinché la speranza non si trasformi in illusione né cada nello sconforto, bisogna stare in equilibrio tra possibile e impossibile, realizzabile e irrealizzabile, tra “già” e “non ancora”. Insomma: nella vita si può sempre pensare al desiderio dell’ottativo, senza dimenticare la realtà dell’indicativo, l’eventualità del congiuntivo, i patti con il condizionale e le intimazioni dell’imperativo. Il desiderio ha il suo modo, la speranza i suoi tempi: all’uomo sta adattare la vita all’uno e all’altro, rigenerandosi e riprogettandosi sempre.

Così mentre la faccia annoiata dell’adolescente sembra risvegliata dalla civiltà greca, che pensa e parla con il “modo del desiderio”, resta pur sempre l’interrogativo: “Perchè i latini hanno tolto – assimilato che dir si voglia – proprio l’ottativo?”. La domanda rincorre secoli di civiltà, così l’unica risposta plausibile ci pare questa: “A desiderare sono bravi tutti, invece per pensare e parlare sul desiderio c’è modo e modo”.