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Kierkegaard, il giglio e l’uccellino

Nell'ultimo periodo della sua attività letteraria, Kierkegaard scrisse discorsi religiosi che vogliono essere "cura dell'anima", tentativo di indicare una via d'uscita alla disperazione del vivere. Un "altro" Kierkegaard, meno noto e tradotto, alla luce del quale invece andrebbe riletta la sua intera opera.

libro-kierkSe si chiede a una persona quali opere le vengano in mente al nome di Kierkegaard, la risposta più probabile sarà, secondo i titoli apparsi in italiano: Timore e tremore, Aut- Aut, Diario del seduttore, Briciole di filosofia. Sono tutti libri definiti dal filosofo danese «opere estetiche», tutti pubblicati con pseudonimi come Victor Eremita, Johannes de Silentio, Constantin Constantius. Le «opere religiose», i cosiddetti «discorsi edificanti», tutti firmati da Kierkegaard con il proprio nome, sono invece meno noti, hanno avuto una minore quantità di traduzioni e una circolazione spesso limitata a piccole case editrici. Eppure il filosofo danese, rivolgendosi ai lettori, scrive: «offro gli scritti pseudonimi con la mano sinistra, gli scritti religiosi con la mano destra», lasciando intendere di firmare con il vero nome le opere religiose perchè esprimono il suo autentico e compiuto pensiero, considerando le opere estetiche propedeutiche ai «discorsi edificanti». L’aspetto più interessante è che se le opere estetiche ci mostrano un Kierkegaard tormentato e irrisolto, ci parlano di angoscia e disperazione, i discorsi edificanti aspirano ad essere cura amorosa di quella disperazione, tentativo di liberare la vita dall’angoscia. Nei discorsi edificanti Kierkegaard diventa interprete del senso socratico di filosofare come «cura dell’anima», un pensatore che trasmette addirittura pace, come nell’opera Il giglio nel campo e l’uccello nel cielo. Tre discorsi di devozione, pubblicata nel maggio 1849. Il tema dei tre discorsi è Matteo 6,24-34: quella parte del discorso della montagna in cui Cristo esorta a vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, a cercare il regno di Dio senza preoccuparsi del domani, perché il resto verrà da sé. In quest’opera è contenuta una storia, sulla quale invitiamo a riflettere, pensando possa giovare alla vita quotidiana di tutti.

«C’era una volta un giglio che viveva appartato sulla riva di un ruscello, in compagnia di alcune ortiche e di qualche altro fiorellino amico». Il giglio era «pieno di gioia di vivere», il suo tempo trascorreva lieto finché le assidue visite di un piccolo uccello non sconvolsero tutto. «L’uccellino era un uccello cattivo» e gioiva nel prendere in giro e umiliare il fiore: inventava storie di luoghi paradisiaci nei quali diceva vivessero gigli ben più splendidi e felici, al cospetto dei quali il fiore solitario appariva insignificante. «A sentirlo parlare così il giglio divenne molto inquieto, e più ascoltava l’uccello più si ingelosiva e si affliggeva», mentre un pensiero costante lo divorava: «Perché mai non sono nato in un altro ambiente? Perché non sono nato giglio imperiale? Non chiedo l’impossibile, in fondo. Desidero semplicemente essere un giglio magnifico, anzi il più bello di tutti!». Approfittando della debolezza del fiore, l’uccellino sradicò il giglio e volò via facendogli credere che lo avrebbe portato nel paese dove fiorivano gli splendidi gigli di cui aveva parlato, e che lì lo avrebbe aiutato a rimettere radici, lo avrebbe reso magnifico o addirittura trasformato in un giglio imperiale invidiato da tutti. Ma, ahimè, lungo il tragitto il giglio appassì. «Se si fosse accontentato di essere giglio, non si sarebbe angosciato; se non si fosse angosciato, sarebbe rimasto al suo posto; se fosse rimasto al suo posto, sarebbe stato proprio quel giglio di cui parla il Vangelo: “Considerate il giglio; vi assicuro che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu mai vestito come lui”…». (cfr. trad. a cura di Ettore Rocca, Donzelli, Roma, 1998, pp. 33-70)

Questa è la storia di un giglio felice come può essere un uomo quando è fedele a se stesso: si limita ad essere spontaneamente quello che è, e la sua gioia si identifica con la gioia di essere. Per essere felice gli basta essere. Questa è la storia di un giglio che perde la felicità quando cede all’influenza dell’uccello cattivo e comincia a vivere di paragoni, come molti uomini quando misurano il proprio valore paragonandosi ad altri: “io devo essere in questo modo e non in quest’altro”; “sono migliore, sono peggiore di”: “devo essere questo o quello”. Chi vive di paragoni non pensa a far fiorire il proprio essere ma si preoccupa dei modi di essere e di agire – di essere questo o quello, così o cosà, e, dimenticando il vero se stesso, appassisce come il giglio. Quali “uccelli cattivi” esercitano nella nostra vita un’influenza negativa, facendoci sentire inadeguati, “non all’altezza”, “diversi da”, “peggiori di”, “in competizione con” ? Lasciamo alla vostra riflessione la risposta a questa intima domanda. A noi basta ricordare quanto le influenze negative siano capaci di condurre gli uomini alla distruzione, come l’uccello fece appassire il giglio adornato spontaneamente dalla Vita in modo che Salomone al confronto sembrasse nudo. E nel far appassire la vita, non c’è alcunché di edificante.