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La morte di un soccorritore ha un nome

Rendiamo onore ad Andrea Pietrolungo, morto in seguito ad un infarto dopo gli sforzi profusi in Abruzzo, ricordando il lavoro quotidiano di tutti i soccorritori professionisti, sempre esposti al rischio di patire a causa del disturbo post- traumatico da stress.

“Sono i nostri eroi”, abbiamo gridato. “Esempio di umanità e professionalità”, abbiamo pensato. Per giorni e giorni abbiamo seguito attraverso i mass media il lavoro sovraumano dei soccorritori, impegnati nel recupero delle vittime sepolte dalla valanga che ha investito l’hotel di Rigopiano, fino all’ultima sentenza: 29 morti, 11 sopravvissuti. Pensavamo fosse finito, in qualche modo, quel lugubre trambusto; fosse giunto il momento di un po’ di riposo per i soccorritori, e di silenzio meditabondo per tutti, quando è arrivata repentina un’altra notizia sfiancante: è morto di infarto a soli 39 anni, Andrea Pietrolungo, proprio uno dei soccorritori impegnati senza tregua in queste settimane difficili per l’Abruzzo. Tecnico speleologo e direttore della scuola regionale Speleo di cui era istruttore, volontario del Cnsas e capostazione delle Forre Abruzzo, Andrea Pietrolungo è morto perché il suo cuore non ha retto al freddo, alla fatica e alle tante emozioni di queste dure settimane tra terremoto, nevicate eccezionali, morti: aveva dolori alle ossa, al petto, pensava fosse una banale influenza e invece un infarto lo ha ucciso la mattina del 31 gennaio. Tragedia nella tragedia, forse, la morte di questo soccorritore? Inasprimento capriccioso di un male insensato e insaziabile?

La morte per infarto di Andrea Pietrolungo ha un nome noto tanto al mondo scientifico quanto alle categorie professionali impegnate in ogni tipo di soccorso: “disturbo post-traumatico da stress”. È infatti dimostrato dalla letteratura scientifica (per una rassegna: Giannantonio, 2003) che i soccorritori professionali (vigili del fuoco, polizia, protezione civile, medici e operatori sanitari dell’area critica), intervenendo in occasione di avvenimenti gravi, subiscono la cosiddetta traumatizzazione vicaria, ossia un duplice trauma: il loro stress personale e quello della persona aiutata. Il rischio patito dai soccorritori professionali (helping professions) di essere seriamente coinvolti nelle esperienze traumatiche delle persone che soccorrono è forte e non va sottovalutato. Quando si è esposti ad eventi traumatici per motivi professionali, infatti, possono insorgere delle patologie come il DAS (Disturbo Acuto da Stress) o il PTDS (Disturbo Post Traumatico da Stress). Un’altra tipologia di stress lavorativo è la sindrome da “burnout”, termine che può tradursi in “cortocircuito”, “fuso”, “cotto”, indicando una fase di esaurimento emozionale che coinvolge, secondo la letteratura psicologica, gli operatori impegnati in helping professions. In altri termini, essendo coinvolti in attività che richiedono un forte coinvolgimento emotivo, e poiché non sempre la soluzione dei problemi è semplice o facilmente ottenibile, i soccorritori professionali come meccanismo o strategia di difesa possono adottare comportamenti di distacco emozionale, fino a diventare apatici, cinici, indifferenti, distaccati dal lavoro. I ricercatori hanno individuato nei soggetti esposti a gravi eventi traumatici un modello comune di reazioni, che può invadere sia l’area cognitiva (difficoltà di concentrazione, rigidità, ansia, depressione), sia l’area del comportamento (irritabilità, ritiro in se stesso, problemi in famiglia e relazionali), sia quella somatica – con difficoltà respiratorie e problemi cardiaci – proprio come nel caso di Andrea Pietrolungo, morto prima che si potessero mettere in atto interventi di prevenzione e gestione della sintomatologia dei disturbi post-traumatici da stress. Una volta individuato il rischio per i soccorritori professionali, è nata l’esigenza di sviluppare una psicologia d’emergenza – nota con il nome di coping -, che ha lo scopo di aiutare e prevenire o superare quei fenomeni psichici che si determinano a seguito di un evento traumatico, sia a danno della vittima diretta che del soccorritore.

Per tutti i soccorritori – professionisti più che eroi – coinvolti nella tragedia dell’hotel Rigopiano, come del resto in ogni evento gravemente traumatico, il duro lavoro non è finito con il consumarsi dell’evento stesso ma è proseguito all’interno di ogni caserma, ospedale, nucleo operativo di soccorso o pronto intervento, dove sono previste e attuate tecniche di assistenza psicologica e presa in carico di soggetti che, a diverso livello, hanno subito uno stress traumatico. Il Defusing e il Debriefing sono le più note tecniche di gestione dello stress da evento critico. La tecnica del defusing viene utilizzata “a caldo” dopo che si è verificato l’evento critico, il debriefing invece è successivo al defusing (qualora si sia fatto) ed è una tecnica più strutturata e articolata. Senza dilungarci troppo, la caratteristica peculiare delle suddette tecniche ci sembra essere questa: il mutuo sostegno e l’assistenza psicologica necessaria subito dopo l’evento critico viene fornito sempre da colleghi esperti e ben formati, seguiti da specialisti con il ruolo di supervisori (psicologi o psicoterapeuti). In altri termini i soccorritori professionali non solo sono esperti nel soccorrere gli altri durante un evento traumatico, ma sono allenati e formati anche a sostenere i propri colleghi dopo l’evento stesso. A voler tirare una morale empirica, per così dire, si potrebbe affermare che solo chi è allenato ad aiutare il “prossimo” saprà aiutare anche lo “straniero”. Così funziona il circolo virtuoso del mutuo soccorso, che, se non è “mutuo”, soccorso non è.

Andrea Pietrolungo non è un “eroe” né un “caso unico”; è un “soccorritore consapevole”: uno che per professione vuole aiutare gli altri, sapendo che per aiutare si può anche morire. Ogni giorno.