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“Facciamo della nostra vita un progetto di risurrezione che diverrà certezza”

"Ogni malato accarezzato - sottolinea l'arcivescovo Valentinetti -, ogni lacrima asciugata, ogni ingiustizia riparata, ogni carità donata, ogni pace realizzata nella nostra vita e in quella delle nostre famiglie, ogni esperienza di preghiera vissuta per noi e con gli altri, ogni eucaristia, sono risurrezioni e vita per tutti"

Lo ha affermato mercoledì sera l’arcivescovo Valentinetti, presiedendo la Lectio divina di Pasqua nel Santuario della Divina misericordia a Pescara

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, presiede la Lectio divina di Quaresima

È stata una riflessione volta all’approfondimento del significato e del valore autentico della risurrezione al centro della Lectio divina di Pasqua che, mercoledì sera, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha presieduto nel Santuario della Divina Misericordia di Pescara. Una riflessione ispirata dalla lettura e dalla meditazione del capitolo 15 della Lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi: «In questi versi – premette il presule – Paolo fa la sintesi della prima predicazione apostolica. La Chiesa primitiva si è basata fondamentalmente sull’annuncio “Cristo è risorto dai morti. Cristo, quel Gesù che voi avete messo in croce ed è morto in croce, è risorto. Non è più nella tomba, ma e risorto”. E poi esplicita il contenuto stesso di questo Vangelo “Vi ho trasmesso innanzi tutto quello che io ho ricevuto”. Qui c’è proprio la successione apostolica, qui c’è proprio la traduzione della fede dove la parola “tradizione” deriva dal latino tradere (trasmettere)».

I versetti in questione, sono quelli in cui si può leggere della morte e risurrezione di Cristo e della sua successiva apparizione e Cefa e agli apostoli: «Questa – ribadisce l’arcivescovo Valentinetti – è la sintesi della predicazione e della fede della Chiesa primitiva. Fede che anche noi dobbiamo portare nel cuore perché, fondamentalmente, noi crediamo a questa grande verità “Cristo è risorto dai morti, è il Signore della vita”».

Un annuncio, al centro del kerygma, che l’apostolo delle genti aveva fatto successivamente fatica a spiegare: «Ciò che fa problema nella nostra vita e che faceva problema nella vita dei primi cristiani – sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti -, era proprio come fosse possibile che uno messo in croce – dopo aver subito tutti i supplizi della passione – potesse risuscitare. È stato un argomento poco credibile, quello della risurrezione, anche per i greci e per gli ateniesi che pure, attraverso i loro dei, ritenevano possibile che un Dio ignoto potesse farsi uomo, ma che potesse morire e risorgere questo no».

Una difficoltà che condividiamo anche noi nella vita d’oggi: «Per fede – osserva l’arcivescovo – noi crediamo alla risurrezione dei morti, professiamo la resurrezione di Cristo dai morti, ma nel momento in cui passiamo attraverso la morte la nostra fede vacilla. Non riusciamo a entrare nella logica secondo cui così come Cristo è risorto dai morti anche noi risorgeremo, anche noi torneremo a vivere. Del resto, quando viviamo l’esperienza della morte, sicuramente piangiamo per il dolore del distacco e ci sta, ma quanti si disperano solo per questo e quanti si disperano perché, invece, pensano che dietro quella morte non ci sia assolutamente niente? Questa è una triste verità anche per il mondo in cui viviamo, anche perché se pensassimo che questa nostra vita possa avere un’eternità, una risurrezione, simile a quella di Gesù, allora probabilmente la nostra vita sarebbe organizzata diversamente, mentre è organizzata come se tutto debba essere attendibile, fruibile e conoscibile qui».

Ma allora cosa c’è al di là della morte?: «È chiaro – precisa il presule – che questo è fondamentalmente un mistero, perché la risurrezione di Cristo è un mistero. La teologia ci dice che Cristo è risorto con un corpo glorioso, ma che cos’è questo corpo glorioso? Chi lo può descrivere? Chi l’ha toccato? Qual è la sensibilità che noi abbiamo nei confronti di questo corpo?. Nessuno di noi né lo ha visto, né lo ha toccato. Gli stessi discepoli, pur avendolo visto, in realtà l’hanno visto apparire e sparire, entrare a porte chiuse e uscire a porte chiuse. Dov’è? È dappertutto o non è da nessuna parte? Occupa uno spazio? E noi quando moriremo, quando risorgeremo, occuperemo uno spazio? Anche perché non dovete mai dimenticare che noi siamo legati a due categorie fondamentali nella nostra vita, le categorie del tempo e dello spazio. Noi siamo qui in una chiesa, questo è lo spazio che ci raduna, abbiamo iniziato a stare qui alle 21 e termineremo verso le 22.30. Ma il tempo del dopo chi ce lo darà? Come lo riempiremo? Qui ci si chiede realmente una conversione profonda e cioè la capacità di comprendere che la nostra vita attuale, la nostra vita spazio-temporale, non sono niente in confronto alla vita che ci verrà rivelata al tempo opportuno».

Nei versetti successivi del capitolo 15 della lettera dei Corinzi, Paolo riflette poi su quanti negano che Cristo sia risorto dai morti, replicando che se così fosse la nostra fede sarebbe vana e che, in questo caso, saremmo ancora tutti nei nostri peccati. A suo dire, chi pensa questo è da commiserare più di tutti gli uomini: «Cioè – spiega meglio l’arcivescovo Valentinetti – se dal Vangelo abbiamo fatto una dottrina sociale, se abbiamo pensato che Cristo potesse essere il nuovo ordinatore di una convivenza umana e basta, se Cristo è solo venuto per farci sperimentare il senso del nostro volerci bene è già tanto, ma solo questo e non di più. Cioè, se avete avuto speranza in Cristo solo per questa vita, solo perché la parola di Gesù vi aiuta a vivere meglio, perché è vero, ci sono tanti che dicono “Io credo nel Vangelo, io leggo il Vangelo perché mi dà parole di vita”, però se tutto questo si risolve in questa vita, siamo da commiserare. Ed è vero fratelli, è verissimo questo. Anche noi che siamo credenti, praticanti, smarriamo l’orizzonte di questa eternità. Dobbiamo risolvere i problemi come se tutto dipendesse da noi, come se l’organizzazione di quella che possiamo chiamare anche Chiesa, avesse risolto tutti i problemi della nostra vita e della nostra umanità. Noi non abbiamo risolto proprio niente, se noi mettiamo una cesura su questo modo di vivere dell’evento della risurrezione di Cristo e l’evento della nostra risurrezione, della nostra vita al di là della morte».

Successivamente, proseguendo la meditazione sui versi di San Paolo, l’arcivescovo Valentinetti ha individuato la logica alla base del testo stesso: «È una logica – spiega – che ci dice una verità straordinaria, ovvero che noi dobbiamo pensare fondamentalmente a questa grande battaglia che Cristo ha ingaggiato nella nostra vita, nella nostra persona. È la grande battaglia della vittoria del bene sul male, è la grande battaglia della grazia sul peccato, è la grande battaglia della vita sulla morte. Cristo ha ingaggiato questa battaglia che fin quando tutto ciò che gli dovrà essere sottoposto non gli sarà sottoposto, fin quando tutto il male che esiste sulla faccia della terra arriverà il momento in cui sarà annientato, così sarà annientata anche la morte, cioè sarà annientato il principio negativo entrato dentro la storia dell’umanità».

Ciò premesso, dunque, a noi cosa resta da fare?: «Una cosa importante – denota monsignor Valentinetti -. O siamo alleati con tutte le forze del bene o siamo alleati con tutte le forze del male. Noi, forse, non ce ne rendiamo conto ma se è vero che abbiamo la grazia dello Spirito Santo, che ci custodisce e ci preserva, è anche vero che purtroppo dobbiamo combattere una grossa battaglia».

Quindi l’apostolo Paolo affronta un problema duro, interrogandosi su come risorgeremo: «Ma qualcuno dirà – presuppone il presule -, “Come risorgono i morti?” “Con quale corpo verranno?” “Ciò che tu semini, non prende vita se prima non muore”. La conclusione di tutto questo è che è inutile sforzarsi di capire come risorgeremo e quale corpo avremo, perché questa cosa non la possiamo sapere. Così come il chicco di grano caduto a terra produce qualcosa di diverso da quella che è la spiga, così sarà il nostro corpo. Nel momento in cui verrà seminato in terra, risorgerà nuovo ma questa novità nessuno di noi la può appurare».

Nei versi finali del capitolo 15, si può poi apprendere ciò che San Paolo desiderava fortemente: «“I morti risorgeranno, ma noi che incontreremo Cristo che viene per il Regno e Lui ci trasformerà, perché noi lo vedremo da vivi”. San Paolo – aggiunge l’arcivescovo di Pescara-Penne – aveva la convinzione che il ritorno di Cristo sarebbe stato immediatamente e immediatamente anche coloro che erano vivi, sarebbero stati trasformati da questa potenza della risurrezione. Una volta passeggiando a Gerusalemme nella Valle di Giosafat, una piccola valle dove – secondo la Bibbia – dovrebbe avvenire il Giudizio universale, ero con una persona molto mistica la quale mi diceva “Tommaso, pensa se Cristo tornasse in questo momento e ci trovasse vivi, non sarebbe bello?”. Certo, risposi io, risolveremmo un sacco di problemi di fede vedendolo come Egli è, soprattutto perché questo evento grande e glorioso, il Regno di Dio che viene in mezzo a noi, finalmente lo realizzeremmo nella nostra vita. La morte sarebbe distrutta, il peccato annientato e finalmente inaugurato quel regno d’amore, giustizia e pace che, speriamo e lo crediamo, duri tutta l’eternità».

In conclusione, l’arcivescovo ha rivolto un ultimo pensiero ai fedeli presenti: «Siamo chiamati a credere nella risurrezione e a farlo diventare progetto di vita nella nostra esistenza – esorta monsignor Valentinetti -, perché se non entriamo nella logica che la risurrezione è veramente un progetto di vita per noi, abbiamo perso già tanto tempo, ma facendo della nostra vita un progetto di vita di risurrezione, creiamo su di noi e intorno a noi situazioni di risurrezione. Ogni malato accarezzato, ogni lacrima asciugata, ogni ingiustizia riparata, ogni carità donata, ogni pace realizzata nella nostra vita e in quella delle nostre famiglie, ogni esperienza di preghiera vissuta per noi e con gli altri, ogni eucaristia, sono risurrezioni e vita per tutti. Che nella nostra esistenza vi sia questo progetto di vita perché compiendolo, andremo a sperimentare non tanto nella visione, quella sarà alla fine, ma quanto nella realtà di tutti i giorni che questa risurrezione è possibile e che diventerà certezza e realtà per la nostra esistenza».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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