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“Se avessi fatto il militare sarei stato un bersagliere”

"La pace -esorta il presule - deve trovare soprattutto la strada dell’equa distribuzione dei beni della terra, la capacità di immaginare diverse fonti di possibilità energetiche su questo mondo. Perché, sapete, le guerre in atto in questo momento non si stanno facendo per motivi ideologici, né per motivi religiosi, ma perché ci sono interessi molto più grandi che oggi si chiamano ancora petrolio, interessi che domani forse si chiameranno acqua"

Lo ha affermato sabato l’arcivescovo Valentinetti, presiedendo la Santa messa dedicata ai bersaglieri presenti a Pescara per celebrare il loro 65° Raduno nazionale

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, presiede la Santa messa

«Se avessi fatto il militare sarei stato un bersagliere, perché ero stato destinato a questo corpo nel momento in cui ho fatto la visita militare». Con questa testimonianza personale di grande vicinanza e amicizia sabato, nel giorno del suo diciassettesimo anniversario di ordinazione episcopale, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha accolto i tanti fanti piumati che hanno preso parte alla Santa messa loro dedicata, presso la Cattedrale di San Cetteo, nell’ambito del sessantacinquesimo raduno nazionale svoltosi da mercoledì fino a ieri a Pescara: «Se c’è un corpo militare di cui abbiamo sentito molto parlare e che riscuote molta simpatia, per la divisa molto bella e molto pittoresca e per le vicende ultime della storia che lo hanno visto in prima linea nelle missioni di pace – osserva il presule nell’omelia -, questo è il corpo dei bersaglieri. Lo ricordiamo per la presa di Porta Pia e di Roma. Tutti conosciamo la storia, fu proprio perché i bersaglieri si lanciarono su quell’ultimo avamposto del cosiddetto potere temporale dei papi che si entrò in città, la quale divenne la capitale d’Italia».

I labari dei gruppi di bersaglieri presenti

Ma scorrendo in avanti gli anni, sono anche altri gli eventi che hanno avuto per protagonisti i cremisi: «Li ricordiamo perché molto spesso – sottolinea l’arcivescovo Valentinetti – li abbiamo visti in tante situazioni in cui, facenti parte di corpi internazionali, hanno partecipato a quelle spedizioni che avevano il compito e l’onere di essere portatori di pace. Se dovessimo stare ai fatti così come si sono svolto e come, purtroppo, si stanno svolgendo nel quotidiano della storia, certamente la pace che in quelle nazioni non c’è ancora. Ma cari bersaglieri non è colpa vostra, ma di qualcun altro che la pace la dovrebbe meditare, concepire e attuare».

Così, per accompagnare al meglio questa presenza dei fanti piumati, l’arcivescovo per presiedere la celebrazione ha usato lo schema liturgico dal titolo “Preghiera per la pace e la giustizia”: « – spiega l’arcivescovo di Pescara-Penne -, perché abbiamo bisogno di pace e di giustizia. Certamente la logica del mostrare i muscoli, dell’armarsi all’infinito fino a pensare che possa esistere una bomba non nucleare definita “la madre di tutte le bombe”, stigmatizzata da Papa Francesco, non è la strada giusta. Bisogna trovare altre dimensioni di vita, altre situazioni d’approccio alle persone».

A tal proposito, monsignor Valentinetti ha citato proprio l’esempio dei bersaglieri impegnati, con successo, nella loro prima missione di pace in Libano nel 1982: «Un Paese – ricorda – che, in qualche modo, fu stravolto da una terribile guerra civile e gli italiani riuscirono a realizzare qualcosa di molto bello perché con la loro presenza, non ci fu neanche un morto e neanche un’autobomba esplosa sulle strade. Anzi, costruirono realmente un rapporto con la gente in grado di ricucire le ferite che si erano stagliate su quel popolo e che, purtroppo, ancora lo sono. Perché noi italiani – se le sappiamo fare queste cose e se le portiamo nel cuore – la pace vera, la pace fatta di guardarsi negli occhi, la pace fatta di saper scorgere quali sono le ragioni di chi mi sta di fronte, la pace che è frutto di scambio di umanità noi la sappiamo fare. Questa è la pace che dobbiamo portare, questa è la pace che dobbiamo propagare nel mondo».

L’altare decorato, per l’occasione, con un nastro tricolore

Dunque, è evidente che la pace non può essere perseguita attraverso la corsa agli armamenti: «La pace – ribadisce il presule – cammina su altre strade, ma sembra che gli uomini di questo mondo ormai non ci pensino più, sembra che ai potenti di questo mondo non gli interessi più. Invece, la pace deve trovare soprattutto la strada dell’equa distribuzione dei beni della terra, la capacità di immaginare diverse fonti di possibilità energetiche su questo mondo. Perché, sapete, le guerre in atto in questo momento non si stanno facendo per motivi ideologici, né per motivi religiosi – ormai è acclarato che non si uccide in nome di Dio e chi adduce questa ragione la utilizza come paravento -, ma perché ci sono interessi molto più grandi che oggi si chiamano ancora petrolio, interessi che domani forse si chiameranno acqua. Sì, perché la terra ne sta rimanendo senza, per non saperne condividere i beni e per il loro sfruttamento sbagliato dal punto di vista ecologico».

Decisione sbagliate, queste, che nel tempo hanno prodotto un fenomeno migratorio epocale nelle zone più povere e sfruttare del pianeta, come l’Africa: «Fenomeno a cui – deduce monsignor Tommaso Valentinetti – possiamo anche opporci adottando strumenti legislativi, più o meno condivisibili, muri e quant’altro, ma sarà comunque inarrestabile in quanto dovuto a un cambiamento straordinario d’epoca. È un grandissimo cambiamento di sistema, perché quello attuale non regge più e bisogna trovarne un altro che trovi fondamento sulla solidarietà, sull’accoglienza, sulla giusta condivisione dei beni della terra, sulla salvaguardia del creato, su quanto il Signore dà a tutta l’umanità perché lui fa sorgere il sole sia sui buoni che sui cattivi».

Le autorità e i bersaglieri che hanno partecipato alla Santa messa

Da qui un invito: «Che il Signore – invoca l’arcivescovo di Pescara-Penne – ci conceda di capire profondamente queste esigenze, che queste giornate belle che avete vissuto qui da noi siano potute essere di memoria, di festa, in cui avete ricordato il vostro servizio alla patria, per porre un mattone nuovo e bello per la vita della nostra cara Italia che, da sempre, è stata faro di civiltà».

Infine, l’arcivescovo Valentinetti è tornato a interrogarsi sul perché i bersaglieri avessero avuto così voglia di entrare in Roma, attraverso Porta Pia, e sul perché il Governo avesse chiesto ai bersaglieri di entrarvi: «Perché Roma – conclude – è stato il faro della civiltà per secoli e secoli, dal punto di vista umano, politico e giuridico, ma anche di fede. Ebbene, la nostra Italia è faro di civiltà, ma che questo faro non si appanni, non si spenga, non scenda alle piccole inezie e bassezze di chi non sa volare alto. Preghiamo per questo, perché ne abbiamo bisogno tutti. Ne abbiamo bisogno noi credenti, ne hanno bisogno coloro che rischiano la propria vita di persona al servizio dello Stato e vi dico, sinceramente, che ogni volta che ho visto partire un nostro corpo militare, ho pregato tanto per quei ragazzi, perché tornassero a casa sani e salvi. Preghiamo perché questo faro di civiltà possa esserlo realmente, continuando a illuminare il mondo intero».

About Davide De Amicis (3928 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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