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La maturità tra Seneca e Caproni

Sulle prove scritte dell'esame di maturità di quest'anno, senza entusiasmo e senza polemica: solo qualche riflessione guardando al futuro.

Dal momento in cui la poesia di Giorgio Caproni, intitolata Versicoli quasi ecologici, contenuta nella raccolta postuma Res Amissa, uscita nel 1991, è stata scelta come traccia di analisi del testo per la prova di maturità, gli italiani si sono subito divisi, come sempre, in due fazioni: da una parte, quelli che “io conosco bene Caproni”; dall’altra, quelli che “Caproni, chi era costui?”. Se gli italiani sono da ieri un popolo di santi, navigatori e Caproni, la questione su cui riflettere, ci sembra, è un’altra: quanti professori, quest’anno, sono riusciti a spiegare in modo accurato il secondo Novecento, ovvero l’ectoplasma dei programmi scolastici per generazioni e generazioni di studenti? Delle due cose l’una: o l’autore proposto è “troppo” moderno rispetto ai programmi scolastici cui i professori devono, volente o nolente, attenersi; oppure, i programmi scolastici sono “troppo” vetusti rispetti alla ventata di modernità portata dalla scelta di Caproni. Togliete pure il “troppo”, resta comunque una certa distanza tra quanto previsto dai programmi scolastici e le conoscenze richieste per ben contestualizzare la riflessione sulla poesia di Caproni. Quanto detto potrebbe essere occasione di una riflessione, non  di polemica, ammesso che qualcuno al MIUR pensi, per il futuro, a sviluppare una programmazione capace di focalizzare l’attenzione sui classici della letteratura tanto quanto sugli autori moderni e contemporanei, lasciando anche maggiore autonomia ai singoli professori, senza incorrere nel rischio di essere penalizzati in sede di esame.

A parte il “caso Caproni”, le sette tracce dei temi di maturità, complessivamente, sembrano riproporre le solite questioni che la “burocrazia planetaria” si affanna tanto a farci credere essere le uniche veramente rilevati per il nostro futuro: l’uomo e l’ambiente; il progresso in tutte le sue declinazioni; robotica e mondo del lavoro; la ricerca di un “nuovo miracolo economico (italiano)”. Tutte tracce che guardano al futuro; niente da eccepire, se non fosse che così il futuro ci sembra ridotto – in modo decisamente ansiogeno – a una faccenda da consumarsi solo tra scelte economiche, tecnologiche e ambientaliste. Le tracce ci sembrano racchiudere un motto che, per certi versi, risuona per i giovani quasi come un’inquietante sentenza: “nativi digitali siete e tali morirete”.

E da poche ore abbiamo appreso che il testo della seconda prova dell’esame di maturità per il liceo classico è tratto dal secondo libro delle Lettere morales ad Lucilium di Seneca e verte su uno dei temi più cari all’autore: l’importanza della pratica della filosofia nella vita di tutti i giorni. La filosofia «non in verbis sed in rebus est»: la filosofia non risiede nelle parole ma nella pratica di vita, afferma Seneca. La filosofia non è un gioco intellettuale, dunque, tanto meno evasione per oziosi; la filosofia «crea e forma lo spirito, regola la vita, controlla le azioni, mostra ciò che va fatto e ciò che va evitato, siede al timone e mantiene la rotta attraverso i pericoli delle cose che ci agitano in vita». E perché mai la filosofia sarebbe tanto utile? «Sia che ci governi il fato, o un dio sovrano, oppure il cieco caso», la filosofia saprà sempre proteggerci, ammonisce Seneca, perché «ci spingerà a obbedire di buon grado a dio, e controvoglia alla sorte; ti insegnerà a seguire dio e a sopportare il destino».

Questo testo è un tripudio del migliore stoicismo, del tempo in cui essere filosofo significava ancora imparare a vivere filosoficamente. Come ci ricorda uno dei massimi storici del pensiero antico, Pierre Hadot (1922-2010), nel volume «Esercizi spirituali e filosofia antica» (Einaudi, 1988) –, le scuole filosofiche antiche si distinguevano per avere ognuna una regola di vita e propri esercizi spirituali: un sistema di pratiche filosofiche che si proponeva di formare gli animi attraverso un lavoro costante, un esercizio quotidiano e uno stile di vita che coinvolgeva la persona nella sua interezza. Da Socrate a Epicuro, da Seneca a Epitteto e Marco Aurelio fino ad alcuni autori contemporanei come il citato Hadot, l’italiano Roberto Màdera e la filosofa Laura Campanello, e altri ancora, la storia del pensiero è attraversata da proposte filosofiche che concepiscono la filosofia come modo di vivere.

Torniamo ai nostri maturandi. I programmi scolastici vigenti di filosofia – secondo i quali il pensiero dei filosofi si succede in modo cronologico, come un immenso e scoordinato puzzle di idee diverse e spesso contraddittorie l’una con l’altra – cosa hanno a che fare con la filosofia presentata da Seneca a Lucilio? La filosofia studiata dai maturandi nel corso del triennio, quanto è distante dalla filosofia intesa come arte della vita, come sapere terapeutico, capace, attraverso la conoscenza profonda della realtà e di noi stessi, di sanare i patimenti dell’anima e contribuire a rendere l’essere umano pienamente umano?

La filosofia antica come sapienza di vita è stata in gran parte sostituita nella nostra scuola da una disciplina accademica, strettamente teorica e speculativa, disconnessa dai nostri problemi più immediati e dalle nostre più intime esigenze. Che la scelta della versione di latino sia caduta su Seneca ci lascia comunque sperare: potrebbe essere una buona occasione per riflettere sul problema del ruolo e del significato di fare filosofia oggi nella scuola, e, magari, anche per riportare in auge la filosofia delle origini ancora viva in Occidente, generalmente, ai margini degli ambiti ufficiali e accademici.

Dalle prove di maturità di quest’anno, allora, cosa traspira: tiepidi soffi di novità, speranzose folate di un’imminente riforma dell’esame di maturità e revisione dei programmi scolatici, o fideismo scientista nelle vecchie sempre nuove «magnifiche sorti e progressive»? Chissà. Speriamo non sia solo la solita pratica burocratica da svolgere un po’ come capita, e ci rivediamo tutti l’anno prossimo ciascuno al proprio posto: MIUR, professori, commissioni, maturandi e commentatori sparsi. Tutti presenti.