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Filosofia per la vita – Il “linkatore” pitagorico

Pitagora, la mnemotecnica e l'arte dell'incantesimo insegnano a non sprecare "link filosofici" nella Rete.

la_scuola_di_atene_-_pitagora_e_anassagoraTra i vari utenti di social network, una tipologia è assai prolifica: il “linkatore” di massime filosofiche. Seguendo l’ispirazione, il temerario, può postare un Socrate, un Kierkegaard, rilanciare un Kant, decantare uno Schopenhauer di annata o far sbucare un Nietzsche dal nulla. Fosse pure anonima e non d’Autore, il “linkatore filosofico” piazza almeno una massima sapienziale al giorno solitamente tra la ricetta della pasta brisé di tua sorella e il trailer di un film di Zalone. Il viaggio neuronale nel quale ci imbarchiamo, scorrendo i link, dalla pasta brisè a Zalone passando per Socrate, attraversa la nostra testa pressappoco così: «versate la farina di riso a montagna sul tagliere e apritela a fontana»; «esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza»; «Scusi, della “Che Guevara” c’avete anche i borselli?». Date le premesse, proviamo a buttare giù qualche considerazione. Innanzitutto, la filosofia può essere ridotta a frasi ad effetto, quasi fossero slogan pubblicitari? Il compito della filosofia non dovrebbe essere quello di educare ad un pensiero che va in profondità, oltre le “frasi fatte” e “per sentito dire”? Insomma, c’è qualcosa di buono in questa infinita ripetizione di massime sapienziali a portata di link?

Nell’epoca antica la filosofia non disdegnava le massime sapienziali, anzi, addirittura attribuiva a esse una precisa funzione didattica e pedagogica. Gli insegnamenti degli stoici, degli epicurei, dei cinici, dei pitagorici, dei platonici, erano spesso condensati in massime brevi affinché i discepoli potessero memorizzare ed evocare le suddette nei momenti di difficoltà. I discepoli scrivevano tali massime sulle pareti, sugli utensili, ovunque potessero averle sotto gli occhi durante il giorno – un po’ come accade oggi sul “diario” di un social network. A “teorizzare” la tecnica di condensare la filosofia in brevi massime memorabili fu Pitagora, filosofo della scuola ionica, vissuto nel VI secolo a.C.; la sua figura storica si mescola a leggende nelle quali Pitagora è presentato come discendente di Apollo Pizio, il dio serpente, o come l’incarnazione stessa di Apollo. Sicuramente Pitagora ispirò una scuola filosofica, con sede a Crotone; le regole d’ammissione erano così selettive che solo pochi meritevoli ottenevano di essere iniziati ai segreti esoterici del culto, che contemplava una mescolanza d’insegnamenti di geometria, musica e magia. Tutto doveva essere finalizzato allo sviluppo della parte divina dell’essere – la psychè o anima raziocinante –, per liberarla dalle passioni animali e assicurarsi una buona reincarnazione nella vita seguente. Per raggiungere l’obiettivo, i pitagorici trascorrevano le giornate seguendo una particolare e severa regola di vita. Ogni mattina, gli iniziati indossavano una tunica bianca e cantavano per prepararsi alla giornata. La musica, espressione dell’ordine matematico divino esistente nell’universo, occupava un posto centrale nella scuola pitagorica perchè era considerata capace di mettere l’anima in relazione con il cosmo divino. Dopo il coro mattutino, i discepoli si addestravano negli esercizi di memorizzazione, cercando di ricordare esattamente tutto quello che avevano imparato il giorno prima, e mandavano a memoria le massime del maestro. Oltre al ragionamento filosofico in senso stretto, gli esercizi di mnemotecnica erano centrali nello stile di vita insegnato nella scuola. I pitagorici usavano massime, canti, simboli, immagini e quanto utile a far imprimere il sapere nella memoria, affinché gli insegnamenti entrassero nelle abitudini del pensiero e del comportamento. Le massime pitagoriche sono brevi e spesso ermetiche, perché condensano in poche parole un pensiero complesso. Ad esempio, «Non mangiarti il cuore» voleva significare: non consumare l’anima con affanni e dolori; «Non attizzare il fuoco con il coltello» voleva intendere: non suscitare l’ira dei potenti; «Non sfrondare la corona», raccomanda di non trascurare l’allegria; «Non cantare senza l’arpa», invita a vivere la vita nella pienezza; «Non sedere sulla chenice», insegna a pensare al futuro perché la chenice era la razione di cibo di un giorno. Gli iniziati, oltre la mnemotecnica, praticavano l’arte dell’incantesimo: cantavano le massime anche ripetutamente per incantare l’anima. La filosofia per i pitagorici doveva essere memorizzata, ripetuta e cantata, in modo che le parole del logos non solo penetrassero nella mente ma esercitassero un vero incantesimo un fascino magico sull’anima. Tecniche simili di memorizzazione e ripetizione di massime e frasi brevi esistono anche in tutte le grandi tradizioni religiose. Le filosofie e le religioni orientali ricorrono al mantra; nell’islam, i santi nomi di Allah sono ripetuti e cantati per trasformare l’anima. Un analogo uso di detti memorabili, facili da ricordare, si trova nell’Ebraismo e nel Cristianesimo: nel Libro dei Proverbi, solo per fare un esempio, si raccomanda al lettore di prestare attenzione, ascoltare, ricordare le “massime”. Filosofia e religione, da sempre, sanno quello che la terapia cognitiva dice oggi: il sapere per penetrare efficacemente in noi deve diventare abitudine del «discorso interiore automatico», ovvero del dialogo che ognuno di noi ha con se stesso; memorizzare, ripetere gli insegnamenti, diventa funzionale a questa assimilazione profonda e fruttuosa.

Dopo questa breve incursione nella scuola pitagorica, e nella sapienza antica in generale, possiamo riabilitare il “linkatore” di massime filosofiche perchè in fondo non fa altro che trasmettere il sapere con i mezzi offerti dalla tecnologia. Il problema non è essere un “linkatore” quanto non essere un “linkatore pitagorico”, ovvero una persona capace di ricordare e far fruttare le massime. Chiudiamo gli occhi, e chiediamoci: “quante e quali massime d’Autore ricordo, qui ed ora, tra le tante che ho letto, scritto e messo in circolo nella Rete?”.

Nel viaggio neuronale, dalla pasta brisè al trailer di Zalone, soffermiamoci sulla massima di “Socrate”, memorizziamola, ripetiamola più volte fino a farla penetrare nelle abitudini del pensiero; potremmo conservare le massime in un quaderno, in uno specifico file, come un piccolo “manuale” nel quale andare a ripescare frasi efficaci. Facebook, chissà, potrebbe aggiungere una funzione “manuale” dove piazzare le massime che peschiamo in Rete per tenerle sempre a portata di mano.

Caro “linkatore filosofico”, non sprecare la Rete. «Non cantare senza l’arpa», pitagoricamente parlando.

 

 

 

1 Comment on Filosofia per la vita – Il “linkatore” pitagorico

  1. Bell’articolo sul linkatore. E’ così ma anche peggio, come quando attribuiscono a S. Teresina di Lisieaux, o a Madre Teresa di Calcutta (le più gettonate) frasi e concetti che non appartengono né a loro né alla loro spiritualità, ma sono solo pensieri, sempre banali e scontati, di chi li ha composti.

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