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Pena di morte: “Lavorare ogni giorno per un mondo in cui vinca la vita”

«Ma ognuno di noi – avverte Impagliazzo – può fare qualcosa, anche nei Paesi già abolizionisti. La sfida è svelenire un clima che chiede vendetta, più che giustizia; è dire ‘no’ a una cultura dello scarto e ‘sì’ a una cultura della riabilitazione. Si può, come già accade, mobilitarsi in difesa della vita dei condannati, riuscendo in alcuni casi a fermare l’esecuzione. Oppure si può tendere la mano alle migliaia di persone che sono nei bracci della morte, scrivendo loro lettere, segno, come raccontano le centinaia di detenuti in contatto con i loro amici di penna di Sant’Egidio e di altre realtà di volontariato, che qualcuno ha a cuore la tua vita».

Lo ha affermato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, in occasione della Giornata mondiale contro la pena capitale celebrata ieri

Una postazione per l'esecuzione dell'iniezione letale

Difendere la vita a tutti i costi esprimendo apertamente il dissenso più assoluto contro la pena di morte, ma anche impegno continuo e concreto di vigilanza e controllo sulla società e sui noi stessi. Sono questi i presupposti fondamentali su cui pone le sue basi l’editoriale di Avvenire intitolato ‘Nessuno più dia morte’,firmato ieri da Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, in occasione della Giornata mondiale contro la pena capitale.

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio

«Essere contro la pena capitale – afferma – si traduce in una vigilanza continua sulla società e su noi stessi».

 «Tema della ricorrenza – spiega –  giunta alla sedicesima edizione, la salvezza delle oltre ventimila persone condannate a morte in tutto il mondo, ma anche il miglioramento delle loro condizioni di detenzione».

«Se l’abolizione della pena capitale – osserva Impagliazzo – si fa strada nel mondo e se il numero delle esecuzioni cala, tra le opinioni pubbliche e sui media il richiamo della barbarie esercita un richiamo non residuale, anzi a volte potente». 

Non manca poi, da parte del presidente della Comunità di Sant’Egidio, un riferimento sul saliente ruolo che può recitare in tal senso una capillare opera di sensibilizzazione sul tema: «Di qui l’importanza della sensibilizzazione. Preziosa – precisa – la netta presa di posizione di Papa Francesco, che ha modificato un articolo del Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2267), affermando, alla luce del Vangelo, ‘l’inammissibilità della pena di morte perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona».

«Ma ognuno di noi – avverte – può fare qualcosa, anche nei Paesi già abolizionisti. La sfida è svelenire un clima che chiede vendetta, più che giustizia; è dire ‘no’ a una cultura dello scarto e ‘sì’ a una cultura della riabilitazione. Si può,  come già accade, mobilitarsi in difesa della vita dei condannati, riuscendo in alcuni casi a fermare l’esecuzione. Oppure si può tendere la mano alle migliaia di persone che sono nei bracci della morte, scrivendo loro lettere, segno, come raccontano le centinaia di detenuti in contatto con i loro amici di penna di Sant’Egidio e di altre realtà di volontariato, che qualcuno ha a cuore la tua vita». 

«Mettere a morte il proprio simile – conclude – e lavorare tutti per un mondo liberato dalla pena capitale, un mondo dove vinca la vita».