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“Oggi la carità è derisa come buonismo e la cultura non si riconosce più nel Vangelo”

"Non arretrare – esorta monsignor Corrado Pizziolo, presidente di Caritas italiana - su tutto ciò che attiene l’intimo nesso tra carità e giustizia e dunque vigilare sulle scelte politiche e in particolare sulle politiche sociali, ma anche su altri aspetti fortemente connessi come gli andamenti economici in termini di giustizia distributiva"

Lo ha affermato Giuseppe Savagnone, direttore della Pastorale culturale dell’arcidiocesi di Palermo, al 41° Convegno nazionale delle Caritas diocesane

Giuseppe Savagnone, direttore dell'Ufficio di Pastorale diocesana dell'arcidiocesi di Palermo

Da lunedì a giovedì scorso 522 delegati provenienti da 148 diocesi (su 218 Caritas diocesane attive), a Scanzano Jonico (Matera), hanno dato vita al quarantunesimo Convegno nazionale delle Caritas diocesane dal tema “Caritas è cultura”. Ad aprire i lavori è stato il messaggio inviato dal presidente della Conferenza episcopali italiana e arcivescovo di Perugia-Città della pieve, il cardinale Gualtiero Bassetti: «Oggi – esordisce il porporato – le logiche perverse dell’esclusione sociale mietono vittime che chiamiamo in molti modi. Esuberi nell’ambito lavorativo, clandestini nel campo delle migrazioni, scarti nel  settore economicoMa una volta chinatici  sul povero e prestata la prima assistenza, è necessario mettere avanti il passo ulteriore. Non basta soccorrere sul momento e ritenere esaurito il proprio  impegno. La carità deve davvero potersi  fare cultura. Nel messaggio, letto da monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, il presidente della Cei ha espresso «la riconoscenza della Chiesa italiana per il servizio  tanto umile  quanto  prezioso che portate avanti con  la vostra presenza sul territorio».

Card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana

Il cardinale Bassetti ha poi citato il Samaritano della parabola evangelica: «Che si specchia – osserva, compiendo un parallelismo con l’esperienza della Caritas – nell’umanità del povero malcapitato. Il sacerdote e il levita pensano che la loro vita sia migliore escludendo il  povero; lo straniero di  Samaria, invece, vede nell’esistenza dell’altro una possibilità per  rendere migliore la propria vita. E fa di tutto perché la sua buona azione abbia efficacia nel tempo e trovi continuità. Inoltre, dà il via a un processo in favore della vita e coinvolge la competenza di altri, allargando a cerchi concentrici la forza della carità, fino a rinnovare una comunità; fino a tessere autentiche reti di solidarietà culturale, diffusa e condivisa, per essere Chiesa capace di riscoprire la bellezza della propria missione. La presenza della Caritas nasce sempre da una cultura della vita, da un’appartenenza, da un’esperienza evangelica che si lascia interrogare dalla realtà e dall’incontro con situazioni e persone; e che, proprio per questo, diventa a sua volta segno, testimonianza, pedagogia capace di reagire alla cultura della paura e della divisione».

Quindi ha preso la parola monsignor Corrado Pizziolo, presidente di Caritas italiana e vescovo di Vittorio Veneto, per pronunciare la sua prolusione iniziale: «Non arretrare – ammonisce il presule – su tutto ciò che attiene l’intimo nesso tra carità e giustizia e dunque vigilare sulle scelte politiche e in particolare sulle politiche sociali, ma anche su altri aspetti fortemente connessi come gli andamenti economici in termini di giustizia distributiva».

Monsignor Pizziolo ha constatato che: «Il cammino delle Caritas – afferma – è oggi impegnativo e tanto più arduo in questo tempo, in cui il quadro istituzionale e in buona parte il clima sociale sono cambiati e anche le nostre comunità cristiane sembrano sempre più essere condizionate dalle logiche dominanti. Forse siamo ancora sotto la spinta del non concluso periodo di crisi economica e sociale, oppure siamo vittime (e complici) del radicarsi e del progressivo diffondersi di modelli culturali tipici dei momenti di crisi».

A questo punto, il presidente di Caritas italiana si è chiesto: «Perché queste spinte culturali che spesso hanno poco a che fare con la carità evangelica? La nostra azione pastorale e le nostre opere non sono state abbastanza ‘parlanti’? Quanto hanno visto la collaborazione/coinvolgimento del territorio? Quale è il loro livello di riconoscibilità ecclesiale? Come attrezzarsi allora in questa nuova fase? Occorre imprimere un forte e significativo impulso all’azione pedagogica, in ordine alla pastorale della carità e alla testimonianza di carità delle comunità e dei singoli cristiani, con proposte di formazione e accompagnamento».

Povertà, disoccupazione, immigrazione, comunicazione, accompagnamento dei più fragili e attenzione a territorio e ambiente, secondo il vescovo, sono le tante sfide attuali per le Caritas diocesane: «Che – esorta monsignor Pizziolo – sono invitate ad avere l’ostinata capacità di andare controcorrente, in modo dinamico, superando l’accidia, o, peggio ancora, l’omertà, cioè il tacere per paura di metterci in gioco».

Mons. Corrado Pizziolo, presidente Caritas italiana

Tra gli interrogativi posti ai partecipanti: «I nostri momenti formativi e incontri – domanda il presule – sanno dar voce a soggetti sia cristiani che laici capaci di interpretare il tempo che viviamo senza ricette già pronte e superando pregiudizi? Le nostre proposte pedagogiche in primo luogo verso la comunità ecclesiale riescono a tradurre la riflessione in messaggi che diffondono sensibilità verso il bene comune, attenzione non pietistica ma liberante verso i poveri? Le nostre presenze sugli spazi informativi e comunicativi sono in grado di sfruttare al meglio ogni occasione per divulgare le nostre riflessioni e le nostre preoccupazioni, soprattutto a partire dalla scelta preferenziale dei poveri?».

Amara è stata quindi la considerazione espressa dal direttore dell’Ufficio diocesano per la cultura dell’arcidiocesi di Palermo, Giuseppe Savagnone: «Oggi – afferma – la carità è derisa come buonismo e la cultura non si riconosce più nel Vangelo. La carità diventa discorso politico – non partitico – che la sottrae al rischio – presente nella situazione attuale dei cattolici, primi nel volontariato, ultimi nella politica – di sostituirsi alla giustizia e di riparare i danni creati da leggi sbagliate e disumane, appoggiate da quelli stessi che poi lavorano per i poveri».

Savagnone ha poi fatto riferimento a quando il ministro dell’interno Matteo Salvini, nel febbraio 2018, giurò sul Vangelo: «Ma su quale Vangelo ha giurato? Forse io ho una edizione poco aggiornata che risale a 2000 anni fa – ironizza tra gli applausi -, perché vorrei sapere come è cambiato questo Vangelo. Ho visto troppi cattolici che dicono che il parroco in chiesa deve stare attento a cosa dice sugli immigrati, perché sennò si alzano e se ne vanno. Nei luoghi della cultura, innanzi tutto nella scuola, ci sono sì tanti cattolici, ma, anche se sono magari catechisti in parrocchia, insegnano le proprie discipline uniformandosi alle mode culturali e senza mai chiedersi che nesso abbiano con il Vangelo. Anche nei luoghi della carità, nelle parrocchie ci sono i riti – che le rendono stazioni di servizio – ma non c’è la cultura. Vige la scissione tra sacro e profano, che contraddice il Vangelo e che per il laico credente diventa una schizofrenia».

E secondo il professor Savagnone, i risultati si vedono nella società: «La mafia, come la ‘ndrangheta e la camorra, fiorisce in ambiti fortemente religiosi – accusa il direttore della Pastorale culturale dell’arcidiocesi di Palermo – e assume la religiosità come paradigma attraverso simboli e prossimità. Ma ancora più drammaticamente, si vedono nella crisi culturale ed esistenziale di un’epoca che per la prima volta si chiede non se esiste Dio, ma se esiste l’uomo e in tanti segnali da troppi luoghi di una cultura agli antipodi del Vangelo». In conclusione, ha rivolto un monito ai convegnisti: «La carità più grande – avverte – oggi è quella della verità, che riguarda i poveri di verità, nel tempo della post-verità e delle fake-news, e coinvolge i poveri di pane perché cambia la mentalità dei ricchi».

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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