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“La santità è per tutti, ma non è scontata, è un itinerario di vita”

"Nascondendoci in quel costato aperto di Gesù - sottolinea l'arcivescovo Valentinetti -, noi troviamo riconciliazione e pace. Riconciliazione nel nostro cuore, perché la prima riconciliazione è la pacificazione del nostro cuore. Quando quest’ultimo non è in pace, niente è tranquillo intorno a noi e scatta quel terribile meccanismo del giudizio, della condanna, della ricerca di una legge per poter condannare un fratello. Ma quando il nostro cuore è libero e sereno, è vivificato da questo cuore di Gesù spalancato e aperto, allora tutto trova una possibilità di dignità nuova e bella"

Lo ha affermato la scorsa domenica l’arcivescovo Valentinetti, guidando il pellegrinaggio diocesano a piedi dei giovani e delle famiglie al Santuario di San Nunzio Sulprizio

L'arcivescovo Valentinetti in pellegrinaggio insieme ai giovani e alle famiglie

In 500, giovani, fidanzati e famiglie provenienti da molte parrocchie dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, domenica scorsa sono stati protagonisti del pellegrinaggio diocesano a piedi da Torre de’ Passeri al Santuario di San Nunzio Sulprizio a Pescosansonesco, dal tema “La santità: non un mito, più di un mito”, guidato dall’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti il quale, munito di occhiali da sole, scarpe da ginnastica e cappello da Giornata mondiale della gioventù, ha scandito la marcia con passo deciso. Un cammino lungo 7,5 chilometri, in costante ascesa, anticipato da una lectio divina riservata alle coppie, ospitata nella chiesa della Beata Vergine Maria delle Grazie di Torre de’ Passeri, condotta dallo stesso presule che ha preso in esame il capitolo 5 della Lettera di San Paolo apostolo agli efesini dal versetto 21 al versetto 32:

“Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”.

L’arcivescovo Valentinetti pronuncia la lectio divina

«Questo – commenta l’arcivescovo Valentinetti – è un testo che molte volte viene interpretato in maniera strana, soprattutto per quanto riguarda i primi versetti dov’è scritto “Le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti”. Ma la chiave di lettura per capire il testo è nel versetto 32, quando San Paolo afferma “Questo mistero è grande, io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”. Innanzitutto si tratta di un mistero grande, che è l’amore di Cristo per la Chiesa e l’amore della Chiesa per Cristo. Ma questo è un mistero grande anche nella dimensione sponsale dell’uomo e della donna, perché dentro questo amore Cristo-Chiesa e Chiesa-Cristo, si cela una quantità enorme di gradienti, situazioni, emozioni e attrazioni che se li volessimo scoprire tutti, avremmo bisogno di una marea di riflessioni per approfondirli. Ma se questo è vero per Cristo e per la Chiesa, è vero anche per l’uomo e per la donna. C’è una quantità enorme di gradienti, di situazioni, di realtà, di sentimenti, di emozioni, di attrazioni tra l’uomo e la donna dentro la realtà della famiglia, dell’unione sponsale e del cominciare a capire che si è fatti l’uno per l’altra, che sicuramente è un mistero da sondare, da scoprire. Allora, la prima riflessione che mi viene alla luce di questa chiave di lettura è che la realtà dell’amore di Cristo e della Chiesa e la realtà dell’amore dell’uomo e della donna, è  un mistero che dobbiamo far crescere dentro di noi. È un mistero che dobbiamo scoprire piano piano, non possiamo darlo per scontato, ma così come la santità cresce nel tempo e nella storia di ciascuno di noi, l’amore sponsale sostanzialmente cresce, si edifica e si realizza, così come cresce, si edifica e si realizza l’amore di Cristo per la Chiesa e viceversa. Se non partiamo da questo concetto e diamo tutto per scontato, non comprenderemo mai qual è la profondità dell’amore di Cristo per la Chiesa e della Chiesa per Cristo. E non comprenderemo mai qual è la profondità dell’amore dell’uomo per la donna e della donna per l’uomo. Voglio sottolineare un fatto importantissimo. Non esiste un automatismo sacramentale per cui si è entrati nella Chiesa attraverso il battesimo. Perché se quest’ultimo non lo lascio crescere dentro di me e dentro l’alveo della comunità e della Chiesa, e non divento sempre più comunità e sempre più Chiesa, io non scoprirò mai quanto Cristo mi ama e quanto io debba amare Cristo. Trasportate questo nel sacramento del matrimonio, che è un sacramento celebrato da voi (le coppie), sacramentalmente, come ministri. Esiste un percorso di crescita, di scoperta continua di una grazia che, nel sacramento, viene deposta nel cuore delle due persone e in quel sacramento cresce e si sviluppa una dimensione d’amore, che poi produce anche la generazione e il dono dei figli, come realtà profonda di un amore sponsale, condiviso e donato reciprocamente. Fatta questa riflessione, notate bene, San Paolo questo accostamento uomo-donna e Cristo-Chiesa non lo fa casualmente, perché le due cose combaciano e trovano alimento l’uno dall’altro. Dico questo, che è possibile essere marito e moglie nel sacramento del matrimonio, perché questa grazia si effonde proprio in quell’atto d’amore di Cristo per la Chiesa, ma dove? Proprio sulla croce, quando Gesù dice a Maria “Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre”. In quel momento, questa dimensione del mistero grande Cristo-Chiesa diventa dimensione sacramentale-sponsale uomo-donna e, diventandolo, fa sì che queste due realtà camminino insieme».

Alla luce di questa premessa, l’arcivescovo Valentinetti ha poi analizzato i singoli versetti a partire dal primo “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri”: «L’introduzione sgombra il campo da quello che viene detto dopo – spiega il presule -. Non c’è superiorità tra uomo e donna, ma “Siate sottomessi gli uni gli altri”. Sia ben chiaro tutto questo e soprattutto “Siate sottomessi gli uni gli altri nel timore del Signore”. Il Signore della vostra vita è Lui, è Cristo, e solo se riuscite a percepirlo voi riuscirete a vivere questa dimensione di pace profonda nell’essere sottomessi gli uni gli altri. Ma ora vediamo in cosa consiste questa sottomissione.

“Le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, Lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto”. Allora, l’elemento importante di questi versetti è che così come Cristo è il punto centrale della vita della Chiesa, e dona continuamente vita alla Chiesa, il marito dona continuamente la vita alla moglie e alla famiglia. E in questo dono totale dell’essere capo, non padrone, ma capo riconosciuto in questo dono continuo, la Chiesa si mette nelle sue mani. Si consegna, diventa artefice di quell’obbedienza amorosa, che è anche una dimensione di contemplazione. Allora, capite bene, se la mettiamo così, non esiste “Qui comando io e tu sei sottomessa a me”. Questo non lo dice il testo, dice altro e lo dice soprattutto quando fa riferimento a Cristo e alla Chiesa. Ma poi dice qualcosa di più, perché i versi sulla moglie finiscono qui, poi si dicono molte cose sui mariti.

I fidanzati e le famiglie partecipanti alla lectio divina

“E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. Domanda… Come Cristo ha amato la Chiesa? Andando a finire sulla croce. Cari mariti, la vostra storia è questa. Pensavate di essere capi, ma non lo siete. Se volete essere capi, dovete vivere un amore sponsale fino alla croce, fino in fondo, scarnificante, senza mezzi termini, in una fedeltà assoluta, così come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Solo così renderete la vostra sposa e la vostra famiglia capace di purezza e di un lavacro continuo di rigenerazione mediante la Parola. Chi è ministro della Parola nella vostra casa? Le mogli che devono ricordare ai mariti “Prendiamo le scritture e preghiamo”? O dovrebbero essere i mariti a dire “Prendiamo la scrittura e preghiamo”? E lo dico a muso duro, ma qui si gioca tutta la storia di un cammino di santità e di un cammino di santità ricercato insieme per presentare a se stesso la Chiesa, cioè la moglie, tutta gloriosa. Quello che fa splendere di santità la moglie dentro la casa, è questa fedeltà del marito alla vita di fede, alla vita di grazia, alla vita di irrobustire sempre di più la propria capacità di assomigliare a Cristo sposo, perché la vostra sposa assomigli sempre di più alla Chiesa sposa, tutta gloriosa, senza macchia, santa e immacolata. Così come anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo. Provate a pensare a Cristo che ama la Chiesa come il proprio corpo. Pensate a cosa succede nell’eucaristia, questo amore di Cristo per la Chiesa donando questo corpo nell’eucaristia a coloro che siedono alla mensa del banchetto eucaristico. E provate a pensare a questo amore, con la moglie che diventa poi mangiatrice di quel corpo eucaristico, dentro cui si fonde la liturgia dei corpi e dà vita alla bellezza di una nuova vita dell’amore. È una cosa straordinaria. Se lo contemplate questo pensiero, c’è da farsi venire le vertigini. Tutte le volte che fate l’amore vi state cibando di eucaristia tra la Chiesa e Cristo, dentro questo mistero. Voi capite bene la bellezza di questo gesto e la possibilità di poterlo deturpare.

“Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo”. Voi capite bene che quel “Siate sottomessi ai mariti” iniziale è andato a farsi benedire, perché c’è questa reciprocità che sgombra il campo e ci fa capire che questo mistero è grande. “Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. E poi la chicca finale “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”Attenzione. Non è la donna, ma l’uomo a lasciare il padre e la madre e si unirà alla sua donna, perché devono formare un nuovo clan secondo la logica scritturistica. È un uscire dal vecchio clan per creare un nuovo clan, una nuova entità, una nuova realtà di vita, profonda, che chiaramente fa diventare questa nuova entità sempre di più l’immagine dell’amore di Cristo con la Chiesa. “Ciascuno ami la propria moglie come se stesso e la moglie sia rispettosa verso il marito”. Non potrebbe essere diversamente, perché se un marito riesce a vivere tutto quello che vi ho descritto ora, ci mancherebbe che la moglie non fosse rispettosa, dopo aver ricevuto un’abbondanza d’amore così grande! Ma ancora di più, l’amore che si moltiplica così come della Chiesa per il Cristo suo sposo, per il Signore che è sposo, come la Chiesa non potrebbe amare il suo Signore dopo che Egli gli ha riversato addosso tutta questa abbondanza d’amore, di grazia, benedizione e fedeltà. E dentro questa dimensione, siamo chiamati ad accogliere il dono dello Spirito. Questa dimensione di vita si può realizzare se ci apriamo a questo grande dono che è lo Spirito, che in noi opera e agisce, e ci consegniamo a quest’azione di grazia che nasce dal sacramento del battesimo, s’irrobustisce nella penitenza e nell’eucaristia, diventa matura e adulta nella cresima e diventa progetto di vita nel matrimonio. Per voi è progetto di vita nel matrimonio, per me e per i miei fratelli presbiteri progetto di vita dentro la logica di un servizio a questa bellissima sposa che è la Chiesa, perché anche noi siamo sposi. Sposi di questa bellissima realtà, che è la Chiesa che siete voi. Questa mattina anche noi camminiamo con voi e anche noi dobbiamo crescere nella santità, come voi. Abbiamo le stesse dinamiche e gli stessi ritmi che avete voi e anche noi ci dobbiamo aprire a questa azione potente dello Spirito, per non essere non credenti, ma credenti e per saper pronunciare in ogni momento, e testimoniare nella nostra vita, ciò che contempleremo nelle letture della messa e nella pagina del Vangelo. La nostra sottomissione e la nostra signoria a Gesù, Signore e Dio. Con Tommaso ripeteremo “Tu sei il mio Signore, Tu se il mio Dio”».

L’arcivescovo Valentinetti affida la croce dei giovani, avviando il pellegrinaggio diocesano

Nel frattempo i giovani, nel vicino piazzale antistante il palasport comunale, riflettevano sul valore della santità prendendo a modello l’esempio virtuoso del diciannovenne Nunzio Sulprizio, canonizzato lo scorso 14 ottobre 2018 da Papa Francesco. Guidati dal diacono don Mauro Evangelista, hanno confrontato le dinamiche vissute dal giovane Nunzio, abbandono-solitudine (Nunzio resta orfano), tradimento-ingiustizia (Nunzio fa da schiavo allo zio a cui è affidato), umiliazione-emarginazione (Nunzio è allontanato dalla gente del paese per la puzza della ferita), accoglienza-custodia (Nunzio è affidato allo zio napoletano e incontra il colonnello), con quanto accaduto nelle loro vite alle prese con le stesse circostanze. Successivamente l’arcivescovo Valentinetti ha consegnato ad un gruppo di ragazzi la croce dei giovani, la stessa che ha accompagnato il pellegrinaggio delle dieci edizioni che si sono susseguite dal 1994 al 2003 riportando su di essa queste date, la quale è stata trasportata a turno da vari giovani pellegrini che si sono avvicendati durante tutto il percorso: «Abbiamo compiuto questo cammino – sottolinea monsignor Valentinetti –, partendo dal presupposto che la santità non è un mito, va al di là di tutto questo, e soprattutto essa non è una cosa impossibile. Se è riuscita ad un ragazzo come Nunzio può essere raggiunta da tutti, tenendo presente che la santità non è un qualcosa di scontato, ma è un cammino che in questo caso vuol essere un itinerario di vita che, un giorno, ci porterà a vivere in pienezza l’incontro con Dio».

Canti, preghiere e momenti di fraternità hanno fatto da sfondo al pellegrinaggio diocesano, tornato a svolgersi a 16 anni di distanza dalla decima e ultima edizione. Tra i partecipanti spiccavano molti adolescenti che hanno saputo mettersi in gioco alzare lo sguardo dallo smartphone, che li isola in una comunione solo virtuale, per camminare insieme condividendo la gioia e la fatica: «Non vedevo l’ora di fare quest’esperienza – racconta Serena, giunta da Pianella -. L’idea di fare questo pellegrinaggio con giovani e famiglie, vedendoli tutti camminare insieme, è stata una cosa bellissima». Anche le tante coppie di sposi e fidanzati hanno tratto giovamento dall’esperienza: «Lungo il cammino – osservano Andrea e Silvia, da Montesilvano -, abbiamo potuto riflettere insieme sul nostro fidanzamento in vista del futuro, insieme all’arcivescovo e sulle orme di San Nunzio. Lui è stato un grande esempio di fede, pazienza e speranza. Ci ha fatto vivere un cammino verso l’alto».

L’arrivo del pellegrinaggio al Santuario di San Nunzio Sulprizio

All’arrivo al Santuario di Pescosansonesco giovani e coppie, accolti dalla voce del cantautore Tony Nevoso che ha interpretato il suo brano dedicato a San Nunzio “Dall’incudine al cielo”, hanno dapprima vissuto un momento di preghiera con monsignor Valantinetti il quale, dopo il pranzo al sacco, ha presieduto la santa messa conclusiva della domenica in albis: «La gloria di Cristo – approfondisce il presule nell’omelia -, così come viene descritta dal testo giovanneo, passa attraverso l’umanità, non è una gloria che scende improvvisamente dal cielo, passa attraverso l’umanità di Gesù e dei suoi incontri umani. Pensate a Nicodemo, alla samaritana, a Lazzaro, al paralitico guarito e via di questo passo. Dunque, la gloria di Gesù si manifesta gradualmente e giunge al suo apice in questa sera di Pasqua, quando Gesù appare in mezzo ai discepoli e mostra quelle piaghe gloriose. Attenzione, queste ultime sono il riassunto di tutte le piaghe dell’umanità, sono il riassunto dei non credenti (Nicodemo), sono il riassunto delle prostitute (la samaritana), sono il riassunto dei malati (il paralitico), sono il riassunto di tutta la storia umana che arriva fino a quella croce e tutte le negatività sono inchiodate su quella croce, perché da quella croce possa rigenerarsi una vita nuova e un universo nuovo. Allora, potrebbe essere casuale che il buon Tommaso chieda di mettere le mani nel costato e nelle piaghe delle mani e dei piedi di Gesù, ma non lo è. Tommaso chiede di andare a riscoprire, fino in fondo, quel mistero di passione e quel mistero di gloria. Certo, nella sua totale incredulità “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e se non metterò la mia mano nel suo costato, non crederò”. Cioè, “se non mi faccio anch’io tutto il percorso di Gesù, non posso credere, non riesco a credere”. Ma questo vale per tutti noi che, a nostra volta, dobbiamo fare il percorso di Gesù. Dobbiamo reimmergerci totalmente dentro le storie di questa grande umanità sofferente, incredula, prostituta, rifiutante, cattiva, assassina e incapace di riconoscere il glorioso. Immergendoci dentro questa storia con la nostra santità, con la santità di un ragazzino di 19 anni, ridire la speranza che è possibile instaurare un regno di risurrezione e di vita, un regno di fede, d’amore, di pace, d’accoglienza, di pacificazione. Un regno dove, finalmente, questo personaggio vestito con una veste straordinaria, bella, gloriosa, arriverà e dirà “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete per voi il Regno preparato fino alla fine del mondo”».

I fedeli alla santa messa conclusiva

La santa messa finale presieduta dall’arcivescovo Valentinetti

Quindi l’arcivescovo Valentinetti ha aggiunto un’altra riflessione dedicata ad un’altra importante ricorrenza liturgica, celebrata la scorsa domenica: «Sapete – ricorda l’arcivescovo di Pescara-Penne – che San Giovanni Paolo II ha voluto che questa domenica si chiamasse “Domenica della divina misericordia” perché Gesù, apparendo ai discepoli, soffia su di loro dicendo “A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati”, allargando gli spazi di misericordia. Certo, “anche a chi non perdonerete i peccati non saranno perdonati”. Ma tutto questo, cari fratelli, ha una grossa valenza di ricerca, perché tutto quello che vi ho detto fino ad ora può essere vero, se accettiamo questo grande principio che Gesù è venuto a donare all’umanità la misericordia. E per accettare la misericordia, ci vuole la fede. Si, perché prima di tutto dobbiamo accettare noi di farci misericordia a noi stessi. E quant’è difficile, perché la prima misericordia è verso di noi e scaturisce dalla fede e, facendoci misericordia, spalancare il cuore alla misericordia. Ma per fare questo ci vuole la fede. È difficile fare misericordia “Perdonate e vi sarà perdonato. Rimetti a noi i nostri peccati, come noi li rimettiamo a coloro che peccano contro di noi”. Qui si sostanzia l’essenza della vita cristiana, che senza misericordia non è pura perché accogliamo questo grande mistero di un costato aperto, che è ancora aperto per tutti noi e per tutta l’umanità, da dove continuano a sgorgare sangue e acqua (i segni sacramentali che rigenerano e riedificano l’umanità e la Chiesa). Nascondendoci in quel costato aperto, noi troviamo riconciliazione e pace. Riconciliazione nel nostro cuore, perché la prima riconciliazione è la pacificazione del nostro cuore. Quando quest’ultimo non è in pace, quando la nostra anima non è tranquilla, niente è tranquillo intorno a noi e scatta quel terribile meccanismo del giudizio, della condanna, della ricerca di una legge per poter condannare un fratello. Ma quando il nostro cuore è libero e sereno, è pacificato, è riconciliato, oserei dire, è vivificato da questo cuore di Gesù spalancato e aperto, allora tutto trova una possibilità di dignità nuova e bella. Pensate che Nunzio non abbia perdonato lo zio che lo ha maltrattato? Pensate che Nunzio non abbia perdonato quei suoi concittadini che non lo volevano alla fonte, essendo costretto a venire a sciacquare la ferita qui alla fonte di Riparossa? Nunzio ha perdonato tutti e non poteva essere diversamente. Per questo oggi lo amiamo, come fratello santo, perché ci dia la sua bontà, la sua fede e ci comunichi la sua speranza di quell’evento straordinario, di quel regno dove un giorno insieme faremo festa».

Intanto domenica 5 maggio, si rinnoverà l’appuntamento con la festa liturgica in onore di San Nunzio Sulprizio e al Santuario di Pescosansonesco tornerà l’arcivescovo Valentinetti che, alle ore 11, presiederà la santa messa conclusa dalla processione delle reliquie nel centro storico.

About Davide De Amicis (4358 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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