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Rifugiati: in 70 milioni hanno lasciato la propria terra per guerre e persecuzioni

"Oggi – afferma la Fondazione Migrantes - si fa più urgente l’esigenza di proteggere i profughi e salvaguardare la vita e la dignità dei migranti, anche attraverso l’utilizzo di vie legali per chi fugge da situazioni drammatiche. Quella di oggi sia una ricorrenza che invita tutti alla solidarietà con gli uomini, le donne e i bambini in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti fondamentali"

Lo ha ribadito il rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, nella Giornata mondiale del rifugiato

Migranti e rifugiati al confine tra Grecia e Macedonia

Sono oltre 70 milioni le persone costrette, nel 2018, a lasciare la propria terra a causa di guerre, persecuzioni e conflitti. A ribadirlo è il rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, pubblicato ieri alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato (promossa dall’Onu, la Giornata ha come obiettivo quello di far conoscere le condizioni di milioni di rifugiati e richiedenti asilo, costretti a fuggire dalle loro terre per fame, miseria, guerra, calamità naturali o diversi altri drammi): «Il dato più alto – si legge – registrato in 70 anni di attività, una cifra che corrisponde al doppio di quella di 20 anni fa, con 2,3 milioni di persone in più rispetto all’anno precedente, e a una popolazione di dimensione compresa fra quelle di Thailandia e Turchia. La cifra di 70,8 milioni registrata dal rapporto è composta da tre gruppi principali. Il primo è quello dei rifugiati, 25,9 milioni di persone che hanno abbandonato il proprio Paese, 500.000 in più del 2017. In tale dato sono inclusi  5,5 milioni di rifugiati palestinesi che ricadono sotto il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency/Unrwa). Il secondo gruppo è composto dai richiedenti asilo, persone cioè fuori del proprio Paese di origine e che ricevono protezione internazionale, in attesa dell’esito della domanda di asilo. Alla fine del 2018 il numero di richiedenti asilo nel mondo era di 3,5 milioni».

Infine, il gruppo più numeroso, con 41,3 milioni di persone, è quello che include gli sfollati in aree interne al proprio Paese di origine, una categoria alla quale normalmente si fa riferimento con la dicitura sfollati interni: «La cifra totale di 70,8 milioni, di cui almeno la metà minori – spiega Unhcr – è stimata per difetto, manca infatti il dato venezuelano considerato che la crisi in Venezuela al momento ha provocato la fuga di circa 4 milioni di persone. Dati purtroppo ancora parziali che arrivano dai paesi limitrofi che li hanno accolti. Sebbene la maggior parte delle persone in fuga necessiti di protezione internazionale – si legge ancora nel rapporto –, oggi solo circa mezzo milione di queste ha presentato formalmente domanda di asilo e quanto osserviamo in questi dati, costituisce l’ulteriore conferma di come vi sia una tendenza nel lungo periodo all’aumento del numero di persone che fuggono in cerca di sicurezza».

E se da una parte – prosegue il testo – il linguaggio utilizzato per parlare di rifugiati e migranti tende spesso a dividere, dall’altra, allo stesso tempo, stiamo assistendo a manifestazioni di generosità e solidarietà, specialmente da parte di quelle stesse comunità che accolgono un numero elevato di rifugiati: «Inoltre –  ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati – stiamo sempre più assistendo a un coinvolgimento senza precedenti di nuovi attori, fra cui quelli impegnati per lo sviluppo, le aziende private e i singoli individui, che non soltanto riflette ma mette anche in pratica lo spirito del Global compact sui rifugiati. Dobbiamo ripartire da questi esempi positivi ed esprimere solidarietà ancora maggiore nei confronti delle diverse migliaia di persone innocenti, costrette ogni giorno ad abbandonare le proprie case».

A tal proposito, sono gravi i dati che riguardano l’infanzia: «Sono almeno 27 milioni di bambini sfollati a causa delle guerre – denuncia Save the children – a non avere più accesso all’educazione e fino a quando il fenomeno migratorio continuerà ad essere affrontato come un’emergenza e non come un problema strutturale, rischiamo di continuare a perdere intere generazioni di bambini».

Valerio Neri, direttore generale Save the Children

Nel solo 2017 sono stati 35 milioni i bambini costretti a lasciare le proprie case per fuggire da conflitti violenze e cambiamenti climatici, un dato che è cresciuto dell’11% dal 2009: «Ogni giorno – ricorda Valerio Neri, direttore generale di Save the children – quasi 45 mila persone sono costrette a muoversi per scappare da vite insostenibili, fatte di guerre e conflitti, povertà, cambiamenti climatici che generano carestie ed emergenze ambientali. La metà è composta da bambini, che spesso partono da soli lasciando la famiglia, la casa e la scuola. Il fenomeno migratorio coinvolge tutti i continenti cui si deve far fronte non soltanto attraverso politiche di controllo dei confini o come un’emergenza. Si tratta di un problema strutturale e deve essere affrontato con politiche di sviluppo. È necessario investire subito per supportare intere generazioni di bambini e ragazzi, che rischiano di perdere ogni opportunità di costruirsi un futuro e di contribuire a quello del proprio Paese».

Un bambino su cinque al mondo, 420 milioni, vive in aree di conflitto dove violenza, fame e malattie mettono quotidianamente a rischio la loro vita: «Nel solo 2018 – ricorda l’organizzazione non governativa, che in occasione del suo centenario ha lanciato la campagna “Stop alla guerra sui bambini” – circa 4,5 milioni di bambini hanno rischiato di morire per fame nei dieci Paesi peggiori in conflitto, che sono tra i principali Paesi di origine dei rifugiati: Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia».

Ma i conflitti non sono l’unica causa dei movimenti delle popolazioni mondiali: si stima che entro il 2050 circa 143 milioni di persone saranno costrette a spostarsi all’interno del proprio Paese per ragioni legate al clima e di questi, oltre la metà sono nell’area dell’Africa Sub-sahariana: «Non possiamo chiudere gli occhi – ammonisce Neri – di fronte alla mancanza di volontà politica a causa della quale il mondo continua a rimanere inerte davanti alle sofferenze indicibili che stanno patendo i bambini a causa di guerre, povertà o cambiamenti climatici. Il futuro dei bambini non può più attendere oltre ed è arrivato il momento che la comunità internazionale si assuma finalmente in pieno fino all’ultima delle proprie responsabilità».

Un richiamo, quello ai doveri della politica, giunto anche da Oxfam: «Tutti i Governi, soprattutto dei Paesi ricchi – esorta l’organizzazione – dovrebbero aumentare il proprio impegno per l’accoglienza di uomini, donne e bambini che ogni giorno sono costretti a fuggire dalla propria casa o dal proprio Paese, per trovare scampo da conflitti atroci, persecuzioni o carestie causate dal cambiamento climatico. E anche l’Italia, che ha sempre avuto una forte tradizione di solidarietà e accoglienza, dovrebbe fare la sua parte assieme al resto dell’Unione europea, promuovendo politiche sostenibili che mettano al centro le persone e i loro diritti».

Questo l’appello lanciato di fronte ai nuovi dati pubblicati dall’Unhcr, che mostrano come per il settimo anno di fila sia aumentato nel mondo il numero di persone costrette a migrazioni forzate, arrivando a oltre 70 milioni: «Per l’ennesima volta un triste record è stato superato – evidenzia Giulia Capitani, policy advisor su migrazione e asilo di Oxfam Italia –. Ma dietro a questi numeri ci sono persone che vivono storie drammatiche, fatte di viaggi lunghissimi e molto pericolosi, durante i quali subiscono spesso torture e abusi indicibili, come i tanti che arrivano ancora oggi in Libia. Viaggi che non avrebbero mai voluto intraprendere se non vi fossero stati costretti per salvare la propria vita o quella dei propri figli, se non fossero stati privati dei più basilari diritti fondamentali e della possibilità di condurre una vita dignitosa».

Ed emerge anche un paradosso: «Sono i Paesi più poveri del mondo o quelli in via di sviluppo – sottolinea la Capitani – ad accogliere il maggior numero di rifugiati, come nel caso delle più gravi crisi umanitarie originate dai conflitti che dilaniano l’Africa sub sahariana. Emblematico il caso dell’Uganda, che si fa carico da sola di oltre 800 mila rifugiati in fuga dalla guerra in Sud Sudan; o quello della crisi siriana, dove buona parte dei rifugiati è accolta da paesi come Libano e Giordania da oltre 8 anni. È proprio in queste aree del mondo che “dovrebbe arrivare un immediato e maggior aiuto economico da parte dei paesi ricchi, offrendo la possibilità di reinsediamento ai rifugiati più vulnerabili. In questa direzione, il Global Refugee Forum in programma a dicembre a Ginevra sarà l’occasione, coinvolgendo direttamente i Paesi ospitanti, per mettere in campo azioni concrete ed efficaci. Un’opportunità che non può essere sprecata ancora una volta».

Intanto l’Unicef ha fatto il punto sulle richieste d’asilo presentate nel 2018 nei Paesi europei: «Delle oltre 638 mila presentate nel 2018 nei Paesi europei – osserva l’organizzazione delle Nazioni unite -, 19.700 sono state avanzate da minori stranieri non accompagnati, in tutto rappresentano il 10% delle richieste presentate dagli under 18. Un dato rilevante, seppure in calo rispetto a quanto registrato nel 2017 quando le richieste d’asilo presentate dai minorenni erano circa 31400. Tra i richiedenti nel 2018, la maggior parte erano ragazzi (86%), di età compresa tra 16-17 anni (70%). Circa la metà delle richieste è stata presentata da giovani provenienti da 6 Paesi: Afghanistan (16%), Eritrea (10%), Pakistan e Siria (entrambe 7%), Guinea e Iraq (entrambe 6%)».

Da qui un appello: «Sono necessari – esorta l’Unicef – ulteriori sforzi per garantire la protezione dei minorenni migranti, rifugiati e richiedenti asilo». In occasione della Giornata mondiale, l’organizzazione umanitaria raccomanda l’adozione dei decreti attuativi della legge 47/2017 (cosiddetta ‘Legge Zampa’): «Nata – ricorda – per rafforzare la protezione dei minori stranieri non accompagnati; di facilitare l’accesso al sistema d’asilo per i minorenni bisognosi di protezione internazionale, garantendo adeguati sistemi di accoglienza e protezione; garanzie affinché i minori non accompagnati siano esentati da quanto previsto dalla legge 132/2018 (cosiddetto ‘Decreto Sicurezza’), recante misure urgenti in materia di protezione internazionale, immigrazione e sicurezza pubblica;il supporto dell’Italia alla riapertura delle negoziazioni per il Sistema europeo comune di asilo (Ceas) e un sistema prevedibile che permetta alle navi di soccorso di intervenire in sicurezza il più rapidamente possibile per proteggere i bambini rifugiati e migranti che continuano ad affrontare gravi pericoli e violazioni dei loro diritti fondamentali durante pericolosi viaggi in mare verso l’Italia».

Caritas italiana, in quest’occasione, ha pubblicato online il dossier “Trattati da schiavi”, analizzando come le diseguaglianze e le ingiustizie a livello globale costringano le persone a fuggire dai propri territori, innescando meccanismi di sfruttamento e alimentando il fenomeno della tratta. Si stima che 40.3 milioni di uomini, donne, bambini siano oggi costretti a vivere una qualche forma di moderna schiavitù.

Tra questi tanti profughi e richiedenti asilo che nel corso del loro viaggio cadono nella rete dei trafficanti. Il 66% delle vittime di tratta identificate in Europa sono donne. La tipologia dello sfruttamento delle vittime è in primis lavorativa (53%), mentre il 43% è finito prigioniero del mercato del sesso. Per quanto riguarda il lavoro forzato, il 38% delle persone è nell’edilizia, il 20% in ambito manifatturiero, il 18% in agricoltura.

Nel dossier vengono riportati dati, testimonianze e un focus sul Libano, particolarmente colpita dal fenomeno della kafala: 250 mila immigrati, provenienti da Sri Lanka, Etiopia, Bangladesh e Filippine, lavorano sotto questo regime come lavoratori domestici. La maggior parte sono donne: oltre 186 mila secondo le stime del governo libanese, più le migliaia prive di un permesso di lavoro regolare.

Il funzionamento è semplice: i migranti che vogliono cercare lavoro nella Penisola araba, in Libano e in Giordania, entrano in contatto con agenzie della nazione dove emigreranno. Queste ultime procurano uno sponsor (kafeel), che permette loro di entrare nel Paese ospitante. Lo sponsor è il datore di lavoro che anticipa le spese per il permesso di lavoro ed è responsabile del visto. Per gli immigrati inizia così lo sfruttamento. I lavoratori, i cui documenti sono trattenuti dai datori di lavoro, non possono cambiare impiego o rientrare nei propri Paesi quando vogliono. Sono segregati e soggetti a sfruttamento e violenze.

La Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane si impegnano tramite Coatnet, un network globale che unisce 45 Ong e associazioni cristiane, coordinate da Caritas internationalis o Thalita Kum, la rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone. In Libano la Caritas offre un supporto a 360 gradi, che va dall’accoglienza protetta in 4 centri residenziali, per le vittime che decidono denunciare i propri sfruttatori, alle campagne di sensibilizzazione fino alle azioni di lobbying sul governo mirata a leggi più efficaci per la prevenzione e il contrasto del fenomeno.

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, anche la Fondazione Migrantes ha rivolto un appello: «Oggi – afferma – si fa più urgente l’esigenza di proteggere i profughi e salvaguardare la vita e la dignità dei migranti, anche attraverso l’utilizzo di vie legali per chi fugge da situazioni drammatiche». Richiamandosi alle parole pronunciate domenica scorsa da Papa Francesco, la Fondazione Migrantes sottolinea come: «Quella di oggi sia una ricorrenza che invita tutti alla solidarietà con gli uomini, le donne e i bambini in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti fondamentali».

Un’urgenza di solidarietà che bussa anche oggi alle nostre porte: «Una solidarietà che oggi si fa più necessaria – aggiunge la Fondazione Migrantes –, con la nave Sea Watch 3 ferma a poche miglia da Lampedusa con a bordo 53 persone salvate in mare da una ong tedesca. Solo alcuni hanno avuto l’autorizzazione a sbarcare a Lampedusa, perché bisognosi di cure mediche. Nessuno può dire “a me non interessa”. Si tratta di uomini, donne e bambini, che hanno subìto vessazioni, torture o violenze, e rifiutarli non è segno di civiltà né di solidarietà. “Restiamo umani” e non facciamoci contagiare dal virus dell’indifferenza, della noncuranza o del menefreghismo».

La Focisv parla invece del ruolo del ruolo che i migranti possono assumere: «Non sono un problema, ma una risorsa per il nostro Paese – afferma il presidente Gianfranco Cattai -. Molti oggi sono cittadini italiani con un proprio lavoro dignitoso, tanti hanno studiato e non è difficile che si trovino negli ospedali, nelle strutture pubbliche e private, nel commercio».

Gianfraco Cattai, presidente Focsiv

Cattai ha poi criticato apertamente i nuovi provvedimenti assunti dal governo italiano in materia di immigrazione: «Nel leggere l’ennesima repentina chiusura, lo scorso 7 giugno, dell’Hub regionale Centro Mattei vicino a Bologna e il successivo trasferimento di 183 persone (uomini donne e minori) di cui 144 nel Cara di Caltanissetta e 39 nei centri di accoglienza per sole donne e nuclei familiari presenti nel territorio dell’Emilia-Romagna – continua il presidente di Focsiv – constato nuovamente come le scelte ministeriali riguardanti la trasformazione del sistema di accoglienza siano in linea con gli stessi provvedimenti volti a screditare e criminalizzare le operazioni di soccorso svolte dalle ong nel mar Mediterraneo».

Cattai ha poi messo in guardia dalle ripercussioni che tali decisioni avranno sul futuro del nostro Paese: «È un gioco – avverte – che oggi pagheranno per primi i migranti, ma che a lungo termine pagheremo tutti noi. Vi è l’urgenza di una reale visione di politica migratoria, da ora ai prossimi anni, che sappia rispondere a questi uomini e donne, che sappia offrire canali regolari per il diritto all’asilo e sappia, soprattutto, garantire una vita dignitosa, salvando vite umane e dando opportunità di crescita sociale ed economica tanto in Italia che nei Paesi di origine».

Il presidente Cattai ha infine ricordato l’iniziativa della “Tavolata italiana senza muri”, che si è svolta lo scorso sabato a Roma e in altre 23 città italiane: «È un’indicazione per tutti – precisa – che dobbiamo lavorare insieme, condividere lo stesso pane e mescolare i nostri patrimoni culturali se vogliamo crescere come Paese economicamente e socialmente, ce lo insegna la nostra storia millenaria».

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica

In mattinata, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riflettuto sulla giornata: «I rifugiati – riflette il Capo dello Stato – ci ricordano ogni giorno, con forza, vicende di sofferenza, di discriminazione, di separazione da famiglie, terre e radici. Ciascun popolo, nella sua storia, è stato vittima di tragedie di questa natura. Le gravi difficoltà che affliggono popoli di regioni a noi anche molto vicine meritano un’attenta riflessione sulle cause di questi drammi e sulle risposte che richiedono. L’Italia, in prima linea nell’adempiere con costanza e determinazione ai suoi doveri di solidarietà, assistenza e accoglienza, vede l’alto impegno morale e giuridico di protezione verso coloro che fuggono dalle persecuzioni, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, tra i principi fondamentali della nostra Costituzione. Le donne e gli uomini dello Stato rappresentano, per chi fugge da quelle condizioni, il primo volto amico, la mano tesa per un contatto umano e solidale».

Il presidente Mattarella ha poi ricordato, in tal senso, alcune esperienze virtuose: «Merita di essere ricordata – prosegue il presidente – la meritoria esperienza dei trasferimenti umanitari di rifugiati particolarmente vulnerabili che, grazie ai vari canali di collaborazione delle autorità con la società civile – cui va tutta la mia riconoscenza -, consentono di trarre in salvo e condurre in Italia centinaia di beneficiari. La giornata odierna ci ricorda anche che nessun Paese è in grado da solo di rispondere a questa sfida. Il superamento della logica emergenziale e la definizione di risposte lungimiranti e sostenibili fondate sui principi di responsabilità e solidarietà vanno concertati e condivisi dalla comunità internazionale e, anzitutto, a livello europeo, come sancito dai trattati».

Da qui un monito all’Europa: «L’Unione – ammonisce il Capo dello Stato – deve essere protagonista per sviluppare una politica comune che riesca a mitigare i conflitti e sostenere le esigenze di sicurezza e sviluppo dei popoli più esposti alle crisi umanitarie, attraverso un partenariato strutturato con i Paesi e le comunità che ospitano rifugiati e richiedenti asilo».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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