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Evangelizzazione: “Se non ci trasporta il vento dello Spirito è solo accademia”

"Che sia la lettura del testo della Scrittura - raccomanda l'arcivescovo Valentinetti -, la lettura di un fatto importante o di altri testi che richiamano la vita dell’anima, l’importante è annunciare Gesù e annunciarlo a 360 gradi. Non annunciare solo la risurrezione, ma annunciare la nascita, la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù"

Lo ha affermato l’arcivescovo Valentinetti pronunciando, venerdì 13 dicembre, la lectio divina d’Avvento nel Santuario della Divina Misericordia

Mons, Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, pronuncia la lectio divina d'Avvento

È stata intitolata “Dalla sterilità alla fecondità, dalla cecità alla vista” la tradizionale lectio divina d’Avvento curata, lo scorso venerdì 13 dicembre nel Santuario della Divina Misericordia di Pescara, dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, che ha proposto una riflessione incentrata sul brano degli Atti degli apostoli 8,26-40:

“Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:

“Come una pecora egli fu condotto al macello

e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,

così egli non apre la sua bocca.

Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,

la sua discendenza chi potrà descriverla?

Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita”.

Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa”.

Un testo scelto dal presule per una ragione ben precisa: «Mi sembra molto appropriato – spiega – per la situazione di Chiesa che, in qualche modo, corriamo il rischio di vivere e sperimentare. Quando ci accorgiamo che la nostra evangelizzazione non raggiunge i suoi obiettivi, quando cioè facciamo tutto quello che pensiamo sia corretto tradizionalmente per la trasmissione della fede, che poi non accade, non c’è. È un’azione che rischia costantemente di essere sterile, di non produrre frutti. E di che evangelizzazione abbiamo bisogno? Ne aveva bisogno la Chiesa primitiva. Notate bene, Filippo era uno dei sette diaconi. Se ricordate bene, questi ultimi furono stabiliti per il servizio delle mense, per le vedove, gli orfani e gli ebrei che provenivano dalla diaspora. Ma nel testo del libro degli atti, noi troviamo che il diacono Filippo non è più al servizio delle mense, ma dell’evangelizzazione, tant’è vero che reagisce positivamente ad un impulso del Signore (il testo lo raffigura come un angelo del Signore che parla a Filippo e gli dice “Alzati e va verso la strada che va da Gerusalemme a Gaza”). E Filippo va, si lascia trasportare da vento dello Spirito. Ecco allora subito una prima considerazione. L’evangelizzazione è possibile, diventa efficace e raggiunge i suoi obiettivi se si lascia trasportare dal vento dello Spirito. Se è una costruzione macchinosa, se è una costruzione unicamente metodologica, rischia di fare accademia e non evangelizzazione. E che Filippo si lascia trasportare dal vento dello Spirito, è testimoniato non solo dal primo versetto, ma anche in quello conclusivo del passo biblico preso in esame. Allora, se vogliamo scrutare la Scrittura e soprattutto essere capaci di annunciare Gesù Cristo, urgentemente bisognosi di annunciare Gesù Cristo, se non ci lasciamo trasportare dal vento dello Spirito, se non ci mettiamo in ascolto di esso, se non ci lasciamo plasmare da esso, le nostre evangelizzazioni, il nostro cammino di pastorale, rischiano di essere un esercizio scolastico e il Signore non ci chiede di fare questo, ma di comunicare una vita che viene da Lui».

Sono stati numerosi i fedeli intervenuti al Santuario della Divina Misericordia

E qui arriva l’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope, per riflettere il concetto di sterilità nell’evangelizzazione: «Gli eunuchi – approfondisce l’arcivescovo Valentinetti – erano coloro che non avevano la possibilità di sposarsi, sterili, resi tali (direbbe il Vangelo) per la malvagità degli uomini, qualche volta perché nascono tali dal grembo della madre, qualche volta per scelta. Ma la specificazione del perché quest’uomo fosse eunuco non ci è data in questo testo. Ci è detto, però, che era sterile. Quale sterilità? Senza dubbio il testo fa riferimento ad una sterilità fisica, ma sicuramente anche interiore. E quest’ultima da cosa è dimostrata? Qual è il segno che c’è sterilità dentro il suo cuore, che non ha ancora fatto l’incontro fondamentale della vita, che non ancora si è lasciato trasportare dallo Spirito? Dal fatto che legge il testo del profeta Isaia e non capisce “Nessuno mi insegna e, dunque, non posso capire. Nessuno mi fa da guida, nessuno mi introduce alla fede”. C’è da chiedersi perché un etiope leggesse la Scrittura. Probabilmente era uno di quegli ebrei della diaspora, che era stato a Gerusalemme per il culto ad offrire i sacrifici prescritti, perché questo era quello che richiedeva la legge mosaica. Ma in realtà è nell’incapacità a penetrare la Scrittura, a comprendere il cammino della fede, ad essere capace di un incontro che, in qualche modo, gli potesse cambiare la vita. Ecco la sua sterilità. E qui, fratelli, consentitemi. Quanti cristiani sono sterili? Quanti di noi siamo sterili? Con una fede, forse, tradizionale, molte volte solo impostata sulla partecipazione al culto? Un fede incentrata fondamentalmente sul rispetto di alcune regole? Una fede svuotata dell’essenziale, svuotata dell’incontro, svuotata del rapporto tra Persona e persona. Dunque l’attenzione è la sterilità dell’eunuco e la capacità di riconoscere le nostre sterilità. La mia vita è feconda? Chi ho condotto alla fede? Chi ho preso per mano? Su quale carro sono salito? Sono stato invitato qualche volta da qualcuno a salire sul suo carro? Che poi anche questa è un’immagine simbolica “Fai strada con me, cammina con me. Sali sulla mia cavalcatura, vieni a stare vicino a me”. Ma la domanda diventa ancora più provocante se penso al mio gruppo, alla mia cerchia di persone, alla mia comunità, se essa genera alla fede. E attenzione, generare alla fede non è solo consegnare il battesimo, non è solo consegnare il sacramento, ma avere il coraggio (se il sacramento si consegna nell’incoscienza o nell’incapacità di comprenderne tutto il significato) di avere un accompagnamento post-sacramentale, che i padri della Chiesa chiamavano la mistagogia (la capacità di far strada insieme a chi aveva gustato le primizie dello Spirito attraverso la grazia sacramentale). Le nostre comunità sono feconde o sono sterili? Riescono a produrre figli al Signore oppure no? Siamo nella condizione di scuoterci un attimo, per capire che forse scrutando il vento dello Spirito dobbiamo scrutare le strade più adatte, anche quelle deserte. Non dimenticate l’azione del testo che dice a Filippo “Vai su quella strada perché è deserta”. Ma le strade deserte fanno paura! O per lo meno non tanto le strade deserte perché c’è solitudine, ma quelle deserte della fede, della carità, della speranza, le strade deserte dove non c’è un seme d’amore».

Da qui il monito dell’arcivescovo di Pescara-Penne: «Le nostre strade – osserva – sono fin troppo piene. Se attraversate queste strade del centro, vedrete tantissima gente che le percorre, ma sono piene di sterilità. Non è un giudizio di valori, né tantomeno di morale. Ma se non ce ne facciamo carico, se non ce ne assumiamo la responsabilità, se non saliamo sui carri di chi ci suggerisce di fare il cammino insieme, rischiamo di vivere anche noi nella sterilità, ma soprattutto di vivere in una comunità sterile che è la cosa peggiore che possa capitare».

Ed è sempre lo Spirito a dire a Filippo “Va avanti e accostati a quel carro”. Così Filippo va, legge una profezia di Isaia e la domanda è essenzialmente un’iniziativa: “Capisci quello che stai leggendo? Capisci che cosa sta scorrendo davanti ai tuoi occhi?”. Molte volte aspettiamo che gli altri ci facciano una domanda, ma noi siamo capaci di domandare “Tu a che punto sei? Dove stai? Cosa fai? Qual è la tua strada?”. Naturalmente non nell’arroganza, non nell’intromissione, ma la ricerca di un cammino amicale e nell’ambito di questo cammino, la possibilità di instaurare un dialogo. Del resto, se ripensate alla metodologia di Gesù quando chiama i primi discepoli (come raccontato dal Vangelo di Giovanni), Lui chiede “Chi cercate?”. E la risposta è “Rabbì, Maestro, dove abiti?” Ma qualcuno che conoscete, vi ha mai chiesto “Dov’è la tua parrocchia?” “Dov’è la tua comunità?” “Dove vivi la fede?. E l’altra parola di Gesù alla samaritana “Dammi da bere”. Ma un uomo avrebbe detto ad una donna, per di più samaritana, “Dammi da bere”. E Gesù rovescia completamente la visione e dice alla donna “Dammi da bere”. È la stessa cosa di “Capisci quello che leggi? Ti interroghi su cosa stai facendo? È la ricerca di un senso, è la ricerca della persona di sapere dove si trova, che cosa fa e qual è il suo vissuto interiore di persona. E la persona proclama la sua totale incapacità “Come potrei capire se nessuno mi guida?”. Questo eunuco è in queste condizioni rispetto alla fede e al suo essere credente, non sapendo riconoscere la destra dalla sinistra. Molte volte capita anche a noi un’esperienza del genere, non sapendo riconoscere la destra dalla sinistra. Fratelli e sorelle che brancolano nell’incapacità di sapere qual è il cammino di fede e, magari, ci vengono a chiedere di esercitare un diritto di culto. E allora occorre la pazienza dell’accompagnamento, del camminare insieme, di saper stare accanto, di saper “sbriciolare” la Scrittura che, in qualche modo, colpisce la persona. Ma, aggiungo questa parola, di saper sbriciolare non solo la Scrittura, saper sbriciolare la vita a quella persona, sapendogli sbriciolare gli eventi della sua storia, riuscendo a conoscere tanto in profondità quella persona da entrarci in sintonia, riconoscendo il Figlio di Dio in quell’anima, facendolo emergere. Filippo, in fondo, non fa nient’altro che questo. Di fronte ad un testo abbastanza complesso, quello della pecore muta che va al macello (in cui si indica sostanzialmente il mistero della passione e della morte di Cristo), Filippo cosa fa? Parte dal testo e gli annuncia Gesù, mettendolo in contatto con il Signore. È questo il punto fondamentale, mettere in contatto le persone con il Signore. Che sia la lettura del testo della Scrittura, la lettura di un fatto importante o di altri testi che richiamano la vita dell’anima, l’importante è annunciare Gesù e annunciarlo a 360 gradi. Non annunciare solo la risurrezione, ma annunciare la nascita, la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù. Annunciare ciò è tutta la realtà divina-umana di Gesù, non accontentandosi di edulcorare l’annuncio di Cristo, di renderlo un amicone o di renderlo qualcuno che, in qualche modo, può placare le nostre ansie o può rispondere ai nostri bisogni umani. Ma annunciare Gesù tutto intero tant’è vero che l’eunuco, nel momento in cui capisce che la sua vita non è più la stessa ed ha incontrato il Signore, nel momento in cui arrivano in punto vicino all’acqua chiede il battesimo. Cioè chiedere che la sua vita possa davvero cambiare. Allora sì, il culto diventa efficace. Cambia la sua vita, cambia la sua storia, non è più sterile. Non era sterile Filippo, non era sterile la comunità da cui proveniva, si era lasciato trasportare dallo Spirito. Anche l’eunuco, da questo momento in poi, non è più sterile. Risalirono dall’acqua e lo Spirito dl Signore rapì di nuovo Filippo e l’eunuco non lo vide più, ma pieno di gioia proseguì la sua strada».

Ed è proprio questo il primo frutto del non essere più sterili: «La gioia – sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti -, la felicitàla pace, la pienezza della vita. Del resto quando viviamo momenti belli, quando viviamo momenti molto sentiti anche da un punto di vista di evangelizzazione, quando  viviamo una dimensione sacramentale che ci riempie il cuore, sentiamo che la gioia non è solo nostra, ma è la partecipazione corale della realtà di fede che stiamo vivendo. Noi viviamo l’esperienza della gioia, ma non di una gioia chiassosa o degli applausi, no fratelli non è quella la gioia. La gioia è essenzialmente quella pace interiore che prende il cuore, la mente e lo Spirito, facendoci sentire partecipi di un mistero molto più grande di noi, che ci viene comunicato continuamente dalla grazia di Dio».

Quindi, per prendere in considerazione un altro aspetto, il presule ha esaminato il passo biblico immediatamente successivo a quello dell’eunuco, ovvero quello della vocazione di Saulo: «Sapete – fa notare l’arcivescovo di Pescara-Penne – che i testi della Scrittura non sono posti l’uno accanto all’altro casualmente, ma sono posti l’uno accanto all’altro con una certa visione. Tant’è vero che io vi ho detto “La sterilità che diventa fecondità, la cecità che diventa vista”. Perché? Perché c’è uno che ci vede molto bene ed è Paolo, Saulo che addirittura si mette in cammino per compiere un gesto di grande fede nella legge mosaica, distruggere tutti i cristiani, ucciderli tutti. Portarli in catene a Gerusalemme, processarli e farli morire. Ma quest’attenzione particolare diventa una cecità. Il Signore praticamente lo acceca, non lo fa vedere più, perché la sua vita era una cecità. La stessa sterilità dell’eunuco che non riesce a capire è la cecità di Paolo che non riesce a capire. E solo quando diviene completamente cieco, gli si chiudono gli occhi e non riesce più a connettere dovendolo guidare per mano fino a Damasco dove rimase cieco per tre giorni, qualcuno gli si avvicina, gli fa da maestro superando tutte le diffidenze possibili immaginabili, considerando che Saulo era stato un persecutore. Ma quante resistenze, quante diffidenze abbiamo noi nell’andare nei posti più difficili da evangelizzare! Eppure Anania si fida della parola del Signore e va. Ma ci abbiamo mai provato a fare un cammino con chi ci sembra o è la persona più refrattaria di questo mondo? Ma chi poteva essere più refrattario di Saulo di Tarso, persecutore. Eppure Anania va e lì si compie quelle che non era capitato prima per Paolo, inizia a vedere e vede bene. Non vede più cristiani da condurre in catene a Gerusalemme, ma anche lui si alza, viene battezzato, prende del cibo, le forze gli tornano e comincia la sua evangelizzazione. È chiaro che Paolo può permetterselo, perché conosceva molto meglio la Scrittura di quanto non la conoscesse l’eunuco. E immediatamente fa i suoi collegamenti e capisce che quell’annuncio che gli è stato fatto, è un annuncio meritevole di essere seguito e meritevole di fede. E va e quando racconterà quest’episodio racconterà “Sono andato senza conoscere nessuno, pienamente fidandomi unicamente della grazia del Signore”. È uno che dalla cecità comincia una vista molto più lunga, con la grazia del Signore che lo assorbe totalmente».

In conclusione della lectio divina d’Avvento, l’arcivescovo Valentinetti ha rivolto un auspicio ai tanti fedeli presenti: «Auguro a me e a voi – conclude – di superare tutte le nostre sterilità e di far diventare tante persone che sono sterili feconde nella fede. Di superare le nostre cecità e di non aver paura di niente e di nessuno, per poter vedere con uno sguardo lungo molto più profondo. Uno sguardo che non nasca dai nostri calcoli organizzativi, ma che nasca dalla grazia dello Spirito per farci rapire dal vento dello Spirito. Che questo Natale sia realmente, per noi tutti, un essere di nuovo davanti la grotta di Betlemme a riconoscere che è tutta opera Sua. Che da questo punto, che sembra il più assurdo della storia, nasce la grande meraviglia della grazia e del lavacro che ha rigenerato tutta l’umanità. Perché grazie a questa vita dentro la grotta, ancora una volta, ogni sterilità venga superata e ogni cecità guarita».

About Davide De Amicis (4358 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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