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Liturgia: “Oggi dev’essere uno spazio ospitale di comunione e prossimità”

"Oggi l’assemblea liturgica - sottolinea la liturgista Morena Baldacci - è chiamata ad accorciare le distanze per farsi luogo di comunione e prossimità, soprattutto di chi è lontano, di chi si affaccia alle nostre celebrazioni per caso e alla ricerca di un qualcosa di cui non sa ancora dare un nome, dei lontani, degli esclusi, degli occasionali. Davvero la celebrazione deve ritrovare il suo volto missionario. Ad esso spetta un compito unico e, io direi, quanto mai urgente oggi"

Lo ha affermato la liturgista Morena Baldacci intervenendo, venerdì 7 e sabato 8 febbraio, al convegno liturgico regionale “Celebrare l’Eucaristia”

Mons. Bruno Forte, presidente della Ceam e arcivescovo di Chieti-Vasto avvia i lavori del convegno

Le Chiese d’Abruzzo e Molise, a poche settimane dalla pubblicazione del nuovo Messale romano, venerdì 7 e sabato 8 febbraio scorsi si sono ritrovate al Grand Hotel Adriatico di Montesilvano per fare il punto della situazione sul loro stile liturgico a pochi mesi dall’entrata in vigore del nuovo Messale romano (il 29 novembre 2020), nell’ambito del convegno regionale “Celebrare l’Eucaristia”, organizzato dall’Ufficio liturgico della Conferenza episcopale abruzzese e molisana (Ceam).

Mons. Bruno Forte, presidente Ceam

Un evento al quale hanno preso parte oltre 300 persone tra sacerdoti, religiosi e operatori pastorali, tra i quali spiccavano i vescovi e gli arcivescovi della Ceam. Ed è stato proprio il suo presidente, l’arcivescovo di Chieti-Vasto monsignor Bruno Forte, ad introdurre i lavori ricollegando l’Eucaristia alle dimensioni della memoria, della presenza e della profezia dell’amore e dell’incontro con Dio: «In forza dell’idea centrale in base alla quale l’Eucaristia è memoriale della Pasqua del Signore si può dire – cito Papa Francesco in un Angelus recente – “L’Eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù”. Un unico atto d’amore al Padre e ai fratelli e, dunque, l’offerta di uno straordinario incontro con il mistero di Cristo che in essa è realmente presente, aiutandoci non solo a farne memoria, ma anche ad anticiparne la gloria futura. L’Eucaristia è veramente il più alto e profondo incontro di fede che noi possiamo avere con il Signore Gesù. È veramente la parola dell’Agnello “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”».

Mons. Fabio Iarlori, direttore Ufficio liturgico Ceam

È stato poi il direttore dell’Ufficio liturgico regionale, monsignor Fabio Iarlori, ad illustrare motivazioni e obiettivi dell’appuntamento: «Prendendo anche spunto dalla vicina pubblicazione del nuovo messale romano – spiega -, credevamo opportuno fermare a rifletterci sull’Eucaristia, per vivere bene la celebrazione dell’Eucaristia nelle nostre Chiese. Dalle nostre riflessioni verrà ricavata una sintesi, raccolta in un volume che verrà consegnata alle nostre Chiese e che dovrebbe aiutarci a riflettere e a vivere sempre meglio l’Eucaristia. Tutto questo, pensando anche all’importanza del gruppo liturgico all’interno delle diverse parrocchie, proprio per coinvolgere tutti nell’animazione della liturgia all’interno delle nostre Chiese».

A sviscerare l’argomento è stata la docente di Liturgia alla Pontificia Università Salesiana di Torino nonché direttrice dell’Ufficio liturgico della regione ecclesiastica Piemonte-Valle D’Aosta, originaria di Montesilvano, Morena Baldacci. L’esperta è partita dalla citazione di un discorso pronunciato da Paolo VI in occasione dell’udienza generale del 2 luglio 1969 “La Chiesa non è vecchia, è antica. Il tempo non la piega”: «A mio avviso – esordisce la Baldacci – questo è ciò che ci permette di comprendere le ragioni più profonde della promulgazione di un nuovo libro liturgico. Occorre cioè partire da questa prospettiva ecclesiologica che Paolo VI ci affida, la giovinezza della Chiesa. La costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, al primo paragrafo del proemio, individua quattro verbi “far crescere, adattare, favorire e rinvigorire”. Secondo questa prospettiva ecclesiologica, la liturgia non è un monumento da preservare, ma un’esperienza da far crescere e adattare al mutare dei tempi, degli uomini e delle donne appartenenti alle diverse culture e ai diversi contesti ecclesiali. Questa prospettiva, questo orientamento, ci dice il perché di un nuovo messale romano. Anche i vescovi italiani, in quella che sarà la presentazione ufficiale dell’edizione italiana, scrivono “La nuova edizione italiana del messale romano è offerta al popolo di Dio in una stagione di approfondimento della riforma liturgica ispirata dal Concilio Vaticano II. Non si tratta  di ripensare la riforma rivedendo le nostre scelte, quanto di conoscerne meglio. Dopo questo lungo cammino possiamo affermare, con sicurezza e autorità, che la riforma liturgica è irreversibile”. Quest’ultima è una citazione del discorso tenuto da Papa Francesco alla Settimana liturgica nazionale. Non sarà, dunque, un messale che apporterà novità, ma che desidera proseguire sulla scia del rinnovamento conciliare. Questa, forse, sarà la novità più autentica».

Morena Baldacci, liturgista Pontificia Università Salesiana di Torino

Da qui la scelta della liturgista di adottare lo slogan “Messale nuovo, liturgia di sempre”: «Cinquant’anni fa – ricorda la Baldacci – la riforma liturgica è stata capace di intuire la forza trasformante dei riti, compiendo una coraggiosa opera di rinnovamento liturgico per adattarlo alle esigenze dei tempi. Oggi questa stessa opera necessita di essere portata avanti. Infatti può risentire di una certa stanchezza, fiacchezza, anche sbandamento in alcuni casi. Tuttavia, oggi come ieri, è necessario lottare contro la tentazione di un certo ripiegamento nostalgico, per attraversare questo nostro tempo con atteggiamento lieto, leggero, godendo per la sfida che ci è posta innanzi. Quando, infatti, viene promulgato un libro liturgico, si realizza sempre un momento importante nella vita della Chiesa. Questo a maggior ragione se il libro è proprio il messale romano, ma la sua importanza non è tanto data dalle eventuali novità che il messale può contenere. In effetti, sfogliandolo, vedremo che non si tratta di uno scritto molto diverso dal precedente nel contenuto. La novità sta nel fatto che esso viene consegnato, trasmesso, restituito rinnovato alle comunità cristiane come uno strumento autorevole che dà forma alla vita sacramentale in modo che, celebrando l’Eucaristia, diventiamo un cuor suolo e un’anima sola. Mi piace questa affermazione del teologo Luigi Girardi il quale, parlando del nuovo messale, auspica “Il messale può diventare generativo di un’identità ecclesiale”. Dunque il messale è uno strumento di comunione che ci preserva da dagli eccessivi protagonismi, dalle banali improvvisazioni, dalla frenesia del nostro tempo di andare dietro alle ultime novità, non mortifica né abolisce le differenze».

A questo punto, la liturgista si è domandata “Cos’è un rito?”: «È quella forma che ci trasforma – approfondisce -. Trasforma le nostre solitudini nella bellezza e nella grazia di un noi, il libro ecclesiale. Il libro liturgico, infatti, è ciò che mette in ordine e questa è una parola che, a volte, ci dà prurito. Mette in ordine parole con gesti, corpi e spazi, tempi e silenzi, oggetti e luoghi. Tutto nel rito è ordinato, ma non svuotato. Il rito è ciò che separa, che dà un nome alle cose, che disciplina chi deve fare chi e che cosa, i luoghi, i tempi. Eppure, pur essendo una forma, al tempo stesso non abolisce o mortifica la creatività, l’esuberanza, il gioco o l’esultanza, perché il rito è sì ordine, ma auspica al tempo stesso l’effervescenza dei sentimenti, l’esuberanza dei corpi, la fantasia dell’immaginazione, l’intuizione delle mente, la passione per gli affetti. Cosa sarebbe un rito senza quella vitalità che irrompe e abita questo spazio? Uno spazio morto, un luogo isolato, privo di vita, e spesso lo vediamo, il rattrappirsi di un gesto in una fredda esecuzione cerimoniale. Il rito non ha nulla a che fare con la mania, con la meccanica ripetitività, con la ricerca ossessiva dell’esattezza. Questo, semmai, è il volto ossessivo di un gesto cerimoniale. L’ordine, quello che un libro liturgico ci offre, non è uno svuotamento, un annientamento, ma è una trasformazione perché la vita così opera quando si manifesta. La forma, quindi, non distrugge l’anima delle cose, ma le contiene, le riveste e  in molti casi le affina, le aggrazia, le eleva e le sublima. Da qui la fatica di un rito, che è sempre il frutto di un processo di trasformazione, che dall’interiorità gradualmente sboccia verso la sua naturale pienezza. Tuttavia la liturgia opera con ordine e in ordine, perché il rito è educativo, modera l’esuberanza, aggrazia ciò che è volgare, semplifica e ripulisce l’eccesso, purifica l’euforia, accoglie lo slancio del cuore ma, al tempo stesso, lo trasforma e lo domina. L’ordine è la condizione stessa della bellezza e dell’armonia. Ma, attenzione, non è mai fine a se stesso perché l’ordine nel rito permette l’irruzione dell’altro, di quel vento gagliardo che sparpaglia ogni cosa per ridestare, col suo soffio di vita, tutte le cose».

I vescovi abruzzesi e molisani presenti

E la liturgia, inoltre, va proposta con stile: «La liturgia – sottolinea Morena Baldacci –, in fondo, è un’atmosfera. È un’opera di ambientazione dove, entrandoci, ci sentiamo tutti a proprio agio trasmettendoci piacevolezza, come quella propria dei discepoli del Signore che sanno godere di quello stare e intrattenersi gli uni con gli altri. Una ritualità che eccede nell’etichetta, invece, ci irrigidisce. Allora non un’etichetta che ci irrigidisce e ci mette a disagio, con legami formali e stereotipati, ma una ritualità calda, sincera, dove si respira un’atmosfera confidenziale, piacevole, che ti apre il cuore. Questa ci conduce al compito urgente, ovvero realizzare una liturgia che sa farsi ospitale e accogliente. Capita, infatti, di imbattersi in celebrazioni formali nelle quali ci sentiamo a disagio. Ci sono liturgie trasandate, dove l’ideale di spontaneità ed improvvisazione dà vita ad una ritualità sformata, disordinata, in alcuni casi perfino bizzarra. Spesso l’improvvisazione, più che essere spazio di libertà, si trasforma nell’azione di pochi intraprendenti, con ruoli che si sovrappongono, gesti fuori luogo, oggetti inadeguati. Ma la riforma conciliare non ha né banalizzato, né irrigidito la liturgia, ne ha rivelato la natura più profonda, cioè la manifestazione dell’agire stesso di Dio. Gesti, parole, spazio e tempo sono il luogo della Sua manifestazione, la Sua stessa carne. La deriva spontaneista non aiuta certo ad essere un luogo epifanico del mistero di Dio. E solo nella misura in cui gesti, parole e oggetti sono significanti, ma attuati con semplicità, ordine e cura, che i riti cristiani possono permettere una partecipazione attiva e interiore al tempo stesso. Solo così la liturgia è davvero ospitale».

A questo punto, però, la responsabile dell’Ufficio liturgico della regione ecclesiastica Piemonte-Valle D’Aosta si è interrogata su quale partecipazione dovrebbe esserci nelle liturgie eucaristiche: «Una partecipazione – approfondisce la professoressa Baldacci – in  cui la Parola di Dio è al centro. Una liturgia per essere davvero evangelizzante, come l’esortazione apostolica Evangelii gaudium auspica, dev’essere impregnata di quella stessa Parola di cui si nutre. Certamente la nostra liturgia ha rivalorizzato, soprattutto nel lezionario, la liturgia della Parola. L’omelia sta ritrovando la sua dignità, la sua cura. Ma anche gli altri linguaggi liturgici devono trasudare Vangelo a partire dai canti, ma anche dai gesti, dagli oggetti, dall’architettura, dalla preghiera dei fedeli. Insomma, la Parola di Dio risuona nella celebrazione liturgica tanto che tutta la liturgia è impastata di Parola invocata, pronunciata o anche silenziosamente evocata, mentre le nostre liturgie sono affollate di parole tra letture, omelie, preghiere dei fedeli, orazioni, canti e avvisi. Ma, in generale, ciò che caratterizza le nostre celebrazioni è non solo la verbosità, ma anche un’inadeguatezza all’uso dei linguaggi. Pensate alla scarsa preparazione dei lettori, alla modesta qualità omiletica, alla povertà dei testi nei canti della liturgia, un’innologia degna e variegata, un’incapacità di parlare del rito in maniera adeguata. Saper fare una minima monizione, un’introduzione, un atto penitenziale. Ancora troppo spesso, nelle nostre liturgie, scadiamo in un banale vaniloquio e ciò è dovuto ancora ad una scarsa formazione biblica e liturgica. Di qui il maggiore impegno, perché davvero una buona qualità liturgica, davvero affonda le proprie radici in una buona conoscenza della Scrittura».

Una parte dei 300 sacerdoti, religiosi e operatori pastorali partecipanti

Quindi la liturgista abruzzese ha tratto le su conclusioni, rispondendosi all’interrogativo posto su qual è oggi il ruolo della celebrazione liturgica del nostro tempo: «Oggi – conclude l’esperta – non solo abbiamo il diritto e il dovere di far sì che la celebrazione sia un autentico spazio di ospitalità, dove i gesti del rito diventino davvero una lingua comune, una lingua che ci fa famiglia. Oggi l’assemblea liturgica è chiamata ad accorciare le distanze per farsi luogo di comunione e prossimità, soprattutto di chi è lontano, di chi si affaccia alle nostre celebrazioni per caso e alla ricerca di un qualcosa di cui non sa ancora dare un nome, dei lontani, degli esclusi, degli occasionali. Davvero la celebrazione deve ritrovare il suo volto missionario. Ad esso spetta un compito unico e, io direi, quanto mai urgente oggi».  

Questa riflessione, nell’ambito della due giorni, è stata quindi sviscerata all’interno dei cinque gruppi di studio dal tema “L’assemblea celebrante, presiedere l’eucaristia, la ministerialità nella celebrazione, il canto nella liturgia, la chiesa come luogo di accoglienza.

About Davide De Amicis (3872 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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