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Parrocchia: “Deve attuare una conversione pastorale in senso missionario”

"La conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi – conferma il documento -, richiede un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale". Ma il rinnovamento della parrocchia, puntualizza il testo, non riguarda unicamente il parroco: «Né - aggiunge - può essere imposto dall’alto escludendo il Popolo di Dio". Da qui la necessità di superare "tanto una concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto di una clericalizzazione della pastorale. È la comunità intera il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio"

Lo richiede l’Istruzione della Congregazione per il Clero diffusa oggi dalla Santa Sede

Una parrocchia romana al tempo del Covid. Ph: Cristian Gennari/Siciliani

È stata diffusa oggi dalla Santa Sede l’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, a cura della Congregazione per il Clero, con l’obiettivo di attuare una «conversione pastorale in senso missionario» della parrocchia, chiamata ad uscire da se stessa attraverso «una riforma, anche strutturale, orientata a uno stile di comunione e di collaborazione, di incontro e di vicinanza, di misericordia e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo. Sin dal suo sorgere – si legge nel testo – la parrocchia si pone come risposta a una esigenza pastorale precisa, portare il Vangelo vicino al Popolo attraverso l’annuncio della fede e la celebrazione dei sacramenti».

Oggi, però, la configurazione territoriale della parrocchia è chiamata a confrontarsi con l’aumentata mobilità e la cultura digitale, che «ha modificato in maniera irreversibile la comprensione dello spazio, nonché il linguaggio e i comportamenti delle persone, specialmente quelle delle giovani generazioni. Il legame con il territorio tende a essere sempre meno percepito, i luoghi di appartenenza divengono molteplici e le relazioni interpersonali rischiano di dissolversi nel mondo virtuale senza impegno né responsabilità verso il proprio contesto relazionale».

Nasce da questo la necessità di «ripensare non solo a una nuova esperienza di parrocchia – sollecita l’Istruzione vaticana -, ma anche, in essa, al ministero e alla missione dei sacerdoti e dei laici. Non essendo più, come in passato, il luogo primario dell’aggregazione e della socialità, la parrocchia è chiamata a trovare altre modalità di vicinanza e di prossimità rispetto alle abituali attività. Nonostante il generoso impegno, la parrocchia talora non riesce a corrispondere adeguatamente alle tante aspettative dei fedeli, specialmente considerando le molteplici tipologie di comunità. Il territorio non è più solo uno spazio geografico delimitato, ma il contesto dove ognuno esprime la propria vita fatta di relazioni, di servizio reciproco e di tradizioni antiche».

E proprio in questo “territorio esistenziale” si gioca la sfida della Chiesa in mezzo alla comunità: «Se non vive del dinamismo spirituale proprio dell’evangelizzazione – ammonisce la Congregazione per il Clero -, la parrocchia corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario, magari destinate solo a piccoli gruppi». Da qui la richiesta di alla parrocchia di attuare «nuove attenzioni e proposte pastorali diversificate, perché la Parola di Dio e la vita sacramentale possano raggiungere tutti, in maniera coerente con lo stato di vita di ciascuno. L’appartenenza ecclesiale oggi prescinde sempre più dai luoghi di nascita e di crescita dei membri e si orienta piuttosto verso una comunità di adozione». Nasce da qui la necessità di «individuare prospettive che permettano di rinnovare le strutture parrocchiali tradizionali in chiave missionaria».

Ma questa svolta pastorale deve partire a monte: «La conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi – conferma il documento -, richiede un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale». Il riferimento è ovviamente ai parroci, «principali collaboratori del vescovo», ai quali viene richiesta una “riforma missionaria della pastorale”: «Onde evitare traumi e ferite – sottolinea la Congregazione per il clero, sulla scia dello stile adottato da Papa Francesco nella riforma della Curia romana -, è importante che i processi di ristrutturazione delle comunità parrocchiali e, talvolta, diocesane siano portati a compimento con flessibilità e gradualità».

Per questo è importante fare attenzione a non «forzare i tempi» e a non obbedire a logiche elaborate «a tavolino», «dimenticando le persone concrete che abitano il territorio». Ogni progetto, quindi, «va situato nella vita reale di una comunità e innestato in essa senza traumi, con una necessaria fase di consultazione previa e una di progressiva attuazione, e di verifica». Ma il rinnovamento della parrocchia, puntualizza il testo, non riguarda unicamente il parroco: « – aggiunge – può essere imposto dall’alto escludendo il Popolo di Dio».  Da qui la necessità di superare «tanto una concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto di una clericalizzazione della pastorale. È la comunità intera il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio».

Il sacerdote, dunque, come membro e servitore del popolo di Dio che gli è stato affidato, «non può sostituirsi a esso. La comunità parrocchiale è abilitata a proporre forme di ministerialità, di annuncio della fede e di testimonianza della carità». Nell’ambito delle parrocchie, un discorso a parte meritano le unità o zone pastorale il cui fattore chiave, a detta dell’Istruzione vaticana, è la prossimità. Questo perché la normativa canonica evidenzia «la necessità di individuare all’interno di ogni diocesi parti territoriali distinte, con la possibilità che esse siano successivamente raggruppate in realtà intermedie tra la diocesi stessa e la singola parrocchia, tenendo conto delle dimensioni della diocesi e della sua concreta realtà pastorale».

Nell’istituire un’unità pastorale, si legge ancora, «si deve tenere conto il più possibile dell’omogeneità della popolazione e delle sue consuetudini, nonché delle caratteristiche comuni del territorio, per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali». Prima di procedere all’istituzione di un raggruppamento di parrocchie, secondo il documento, il vescovo dovrà necessariamente consultare a tal proposito il Consiglio presbiterale. E il documento indica anche quali non sono motivi adeguati per istituire un’unità pastorale, ovvero «la sola scarsità del clero diocesano, la situazione finanziaria generale della diocesi, o altre condizioni della comunità presumibilmente reversibili a breve scadenza», come la consistenza numerica, la non autosufficienza economica, la modifica dell’assetto urbanistico del territorio. Parlando invece della soppressione di una parrocchia, il vescovo dovrà procedere anche alla devoluzione dei suoi beni nel rispetto delle relative norme canoniche. Si potrà anche «ridurre una chiesa a uso profano non indecoroso», ma non in tutti i casi: «Non sono cause legittime per decretare tale riduzione – aggiunge l’Istruzione – la diminuzione del clero diocesano, il decremento demografico e la grave crisi finanziaria della diocesi. Ogni parrocchia dell’unità pastorale deve poi essere affidata a un parroco o anche a un gruppo di sacerdoti «in solidum», che si prenda cura di tutte le comunità parrocchiali. Altrimenti, il raggruppamento potrà anche essere composto da più parrocchie, affidate allo stesso parroco.

A proposito di quest’ultimo, l’Istruzione della Congregazione per il Clero ha approfondito i suoi compiti: «L’ufficio di parroco – si legge nel documento – non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici». Da qui la raccomandazione di evitare denominazioni come “team guida”, “équipe guida”, o altre simili: «Che – puntualizza la Congregazione per il Culto – sembrino esprimere un governo collegiale della parrocchia». È del parroco la rappresentanza giuridica della parrocchia: «Egli è l’amministratore responsabile dei beni parrocchiali – afferma l’Istruzione -, che sono beni ecclesiastici e sono pertanto sottoposti alle relative norme canoniche. Nel caso in cui, per la scarsità di sacerdoti, «non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno, il vescovo diocesano «può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)», coordinati e guidati da un presbitero “con legittime facoltà”, costituito “moderatore della cura pastorale”, a cui «esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l’ufficio, con i conseguenti doveri e diritti. Si tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastoraleda adottare solo per il tempo necessario, non indefinitamente, perché dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia compete solo ad un sacerdote».

Prevista, ovviamente, la collaborazione occasionale di persone di buona volontà, così com’è previsto anche il conferimento di incarichi stabili: «In base ai quali – si legge ancora – i fedeli accolgono la responsabilità per un certo tempo di un servizio all’interno della comunità parrocchiale. Si può pensare, ad esempio, ai catechisti, ai ministranti, agli educatori che operano in gruppi e associazioni, agli operatori della carità e a quelli che si dedicano ai diversi tipi di consultorio o centro di ascolto, a coloro che visitano i malati». Ma nessuno di questi ultimi che hanno ruoli di responsabilità in parrocchia possono essere, comunque, indicati con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili, riservate dal diritto canonico ai sacerdoti. Il vescovo, infine, potrà affidare ufficialmente alcuni incarichi ai diaconi, ai consacrati e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco, come nel caso della celebrazione di una liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando «per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica»; l’amministrazione del battesimo e la celebrazione del rito delle esequie. I fedeli laici possono predicare in una chiesa o in un oratorio, se le circostanze, la necessità o un caso particolare lo richiederanno, ma «non potranno invece – avverte l’Istruzione – in alcun caso tenere l’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia». In mancanza di sacerdoti e diaconi, il vescovo diocesano, dopo aver acquisito il voto favorevole della Conferenza episcopale e avuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni.

L’ultima parte dell’Istruzione della Congregazione per il Clero è dedicata all’offerta per le messe che: «Deve essere un atto libero da parte dell’offerente – ricorda il documento -, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non un prezzo da pagare o una tassa da esigere, come se si trattasse di una sorta di imposta sui sacramenti. Tra le indicazioni pratiche del documento, emergono infatti l’attenzione preferenziale verso i poveri e l’esigenza di non “mercanteggiare” la vita sacramentale, dando l’idea «Che la celebrazione dei sacramenti – soprattutto la Santissima Eucaristia – e le altre azioni ministeriali possano essere soggette a tariffari. Con l’offerta per la Santa Messa, i fedeli contribuiscono al bene della Chiesa e partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere».

Per questo è importante sensibilizzare i fedeli «perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che sono “cosa loro” e di cui è bene che imparino spontaneamente a prendersi cura, in special modo in quei Paesi dove l’offerta della Santa Messa è ancora l’unica fonte di sostentamento per i sacerdoti e anche di risorse per l’evangelizzazione». I sacerdoti, dal canto loro, sono chiamati ad essere esempi “virtuosi” nell’uso del denaro: «Sia con uno stile di vita sobrio e senza eccessi sul piano personale – raccomanda l’Istruzione -, che con una gestione dei beni parrocchiali trasparente e commisurata non su “progetti” del parroco o di un gruppo ristretto di persone, magari buoni, ma astratti, bensì sui reali bisogni dei fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi».

In ogni caso, un’altra raccomandazione del documento, «dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio, tenuto conto che è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta». Tra gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di questo obiettivo, «si può pensare – conclude l’Istruzione della Congregazione per il Clero – alla raccolta delle offerte in modo anonimo, così che ciascuno si senta libero di donare ciò che può, o che ritiene giusto, senza sentirsi in dovere di corrispondere a un’attesa o a un prezzo».

About Davide De Amicis (4360 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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