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Filosofia in pratica|La reputazione vale quel che vale

La reputazione è uno di quei sentimenti pubblici fondamentali che godeva di gran considerazione nel passato, e con il quale presto o tardi anche ciascuno di noi –uomo o donna, professionista o privato cittadino che sia – è costretto dai casi della vita a confrontarsi. Come insegna il filosofo, Protagora, dobbiamo avere a cuore la nostra reputazione; dobbiamo trovare il modo di farci rispettare.

Con la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado sono riprese tutte le relative attività, inclusa, naturalmente, quella di esprimere sull’operato degli insegnanti la solita tiritera di giudizi anche essi di ogni ordine e grado. “Non ti curare del giudizio altrui; lavora e vai diritto per la tua strada!”, è il primo generico consiglio che verrebbe da dare al professore di turno. È sufficiente? Estendendo il ragionamento a qualsiasi professione, è davvero ininfluente il giudizio altrui?

Possono venire in aiuto le parole attribuite al filosofo che nel «Protagora» di Platone dà nome al dialogo:

«Ho stabilito che il pagamento del mio compenso avvenga nel modo seguente: dopo che uno ha imparato da me, se vuole, paga la somma che richiedo; se no, entra in un tempio, presta giuramento, e versa qui la somma che egli giudica valgano i miei insegnamenti». [Platone, Protagora, 317 B]

Non siamo nel Regno di Utopia né vogliamo impantanarci in rivendicazioni di categoria sulla giusta retribuzione. Le suddette parole sembrano richiamare alla mente, piuttosto, un concetto tenuto in gran considerazione nel passato: la cosiddetta “reputazione”. Il giudizio che gli altri hanno su di noi è appunto la nostra reputazione; più precisamente è l’opinione generale che coloro che ci conoscono hanno del nostro valore. Com’è ben reso da Protagora, l’altrui giudizio è tutt’altro che ininfluente e lo è per due ragioni: perché è inevitabile; perché allena alla responsabilità. Unendo le due cose si potrebbe dire che il giudizio inviti alla responsabilità proprio perchè sia inevitabile.

Come persona prima ancora che professionista, un insegnante dovrebbe avere a cuore la propria reputazione: lavorare responsabilmente sul proprio valore per essere giudicato dagli altri in modo corrispondente. Se ogni uomo restasse l’unico metro di giudizio di se stesso, rischieremmo, tutti, di cadere in un’autoreferenzialità che isola noi dagli altri e gli altri da noi. Chiunque abbia a cuore il giudizio altrui, invece, compie verso costui un gesto di responsabile attenzione, che è il presupposto per la trasmissione efficace di qualsiasi contenuto, valore, competenza o servizio. Dall’altra parte, ognuno dovrebbe ricordare come si contribuisca indirettamente alla formazione della reputazione altrui esprimendo giudizi. Quando formuliamo le nostre opinioni in modo avventato, estemporaneo, guidati dal solo sentimento di simpatia o antipatia, se non addirittura dal risentimento personale o dal pregiudizio, gli effetti sulla persona giudicata possono essere molto gravi; possiamo deprimerla, inasprirla, demotivarla fino a distruggerla, e, ugualmente, esprimendo un giudizio positivo ma non corrispondente ai meriti effettivi, possiamo inorgoglirla, insuperbirla, indurla a sopravvalutarsi. Per queste ragioni, come insegna Protagora, ognuno dovrebbe assumersi la piena responsabilità dei propri giudizi, «prestando giuramento» davanti «al tempio» – rispondendo davanti a Dio, se credente, e, almeno, davanti alla coscienza e alla pubblica opinione. Dunque, il giudizio che gli altri hanno su di noi, e noi su gli altri, ha un valore che, per quanto indiretto, è pur sempre altissimo. Se lo tenessimo bene in mente, quanti giudizi, e quali, esprimeremmo?

Un’ultima considerazione. È noto che tra i suoi contemporanei proprio Protagora non godesse di buona reputazione perché considerato un sofista – addirittura l’inventore dell’arte eristica –, cioè uno che insegnasse a ragionare al solo fine di far prevalere le proprie tesi, indipendentemente dal contenuto di verità, e, se non bastasse, pare sia stato il primo filosofo a introdurre tra i Greci l’uso di farsi pagare per i propri insegnamenti. Nel passo riportato è Socrate in persona a interrogarlo in merito. Non deve essere casuale allora che proprio Protagora, sul quale aleggia un giudizio storico tanto aspro, abbia lasciato una moltitudine di riflessioni sul tema della “reputazione”, come potrà verificare chiunque volesse approfondirne il pensiero. Se ne può dedurre ragionevolmente che Protagora abbia pensato in teoria ciò che si sia trovato a vivere nella pratica. Del resto, si sa: il filosofo pensa, il filosofo fa.