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Anziani: “Ricoverarli negli istituti rivela mancanza di attenzione verso i deboli”

"Un grande supporto – spiega la Pontificia Accademia per la vita - può derivare dalle nuove tecnologie e dai progressi della telemedicina e dell’intelligenza artificiale. Se ben utilizzati e distribuiti, possono creare, attorno all’abitazione dell’anziano, un sistema integrato di assistenza e cura capace di rendere possibile la permanenza nella propria casa o in quella dei propri familiari"

Lo ha denunciato la Pontificia Accademia per la vita, in un documento pubblicato nei giorni scorsi

«Gli anziani, infatti, sono stati tra i più colpiti dalla pandemia». Lo ha fatto notare il documento della Pontificia Accademia per la Vita (Pav)) dal titolo “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, pubblicato nei giorni scorsi: «Il numero di morti tra le persone oltre i 65 anni è impressionante». Un’affermazione, quest’ultima, che fa riferimento al documento che il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha pubblicato il 7 aprile 2020, poche settimane dopo l’inizio del lockdown in alcuni Paesi europei, dove si afferma che “una particolare attenzione meritano coloro che vivono all’interno delle strutture residenziali: ascoltiamo ogni giorno notizie terribili sulle loro condizioni e sono già migliaia le persone che vi hanno perso la vita. La concentrazione nello stesso luogo di così tante persone fragili e la difficoltà di reperire i dispositivi di protezione hanno creato situazioni difficilissime da gestire nonostante l’abnegazione e, in alcuni casi, il sacrificio del personale dedito all’assistenza”.

Ma l’organismo pontificio va oltre: «L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli – ammonisce il documento -, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare». Con queste parole la Pontificia Accademia per la vita ha ribadito il suo il ”no” alla “cultura dello scarto”, pronunciato in più occasioni da Papa Francesco: «Negli istituti – aggiunge la Pav – i rischi legati all’età come solitudine, disorientamento, perdita della memoria e dell’identità e decadimento cognitivo possono manifestarsi più facilmente, laddove invece la vocazione di questi istituti dovrebbe essere l’accompagnamento familiare, sociale e spirituale della persona anziana nel pieno rispetto della sua dignità, in un cammino sovente segnato dalla sofferenza. Da qui la necessità di avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi prossima alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole». Quanto è accaduto durante il Covid-19, secondo il documento, «impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani».

A partire dal rendere le città abitabili per gli anziani. Una delle azioni sostenute fortemente dal documento: «Il pianeta sta cambiando volto – attesta il documento vaticano -, ma le società – nelle loro articolazioni – debbono acquisirne una maggiore consapevolezza. Questa grande trasformazione demografica rappresenta una sfida culturale, antropologica ed economica. I dati ci dicono che la popolazione anziana cresce più velocemente nelle aree urbane rispetto a quelle rurali e che in esse la concentrazione di anziani è maggiore. Fenomeno, questo, che segnala, tra gli altri, un fattore di rilevante impatto, ossia la differenza dei rischi di mortalità, che tendono ad essere inferiori nelle aree urbane». Inoltre, il documento sfata quello che era ormai un pensiero comune: «Contrariamente a quanto una visione stereotipata potrebbe far immaginare – chiarisce la Pontificia Accademia per la Vita -, a livello globale le città sono luoghi dove in media si vive di più. Gli anziani, dunque, sono numerosi, ma è indispensabile rendere le città abitabili anche per loro».

Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi di ultrasessantenni. Quindi una persona su cinque sarà anziana: «Per questo – esorta la Pav – è essenziale rendere le nostre città luoghi inclusivi e accoglienti per gli anziani e, in generale, per tutte le forme di fragilità. La  vecchiaia non è una malattia, è un privilegio! Essere anziani è un dono di Dio e un’enorme risorsa, una conquista da salvaguardare con cura, anche quando la malattia si fa invalidante ed emergono necessità di assistenza integrata e di elevata qualità. Ed è innegabile che la pandemia abbia rinforzato in noi tutti la consapevolezza che la ‘ricchezza degli anni’ è un tesoro da valorizzare e proteggere». Per questo, secondo l’organismo pontificio, a priori deve avvenire comunque un cambiamento: «A livello culturale e di coscienza civile e cristiana – riflette , è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani».

È la tesi espressa nel  documento della Pontificia Accademia per la Vita, che ha ricordato «il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali. Chi non vorrebbe continuare a vivere a casa propria – ci si domanda nel documento -, circondato dai propri affetti e dalle persone più care anche quando diventa più fragile? La famiglia, la casa, il proprio ambiente rappresentano la scelta più naturale per chiunque. Certo, non sempre tutto può rimanere invariato rispetto a quando si era più giovani; a volte sono necessarie soluzioni che rendono verosimile una cura domiciliare. Ci sono situazioni in cui la propria casa non è più sufficiente o adeguata. In questi casi è necessario non farsi irretire da una ‘cultura dello scarto’, che può manifestarsi in pigrizie e mancanza di creatività nel cercare soluzioni efficaci quando vecchiaia significa anche assenza di autonomia. Occorre un articolato intervento a diversi livelli, che realizzi un continuum assistenziale tra la propria casa e alcuni servizi esterni, senza cesure traumatiche, non adatte alla fragilità dell’invecchiamento».

Nello specifico, secondo la Pontificia Accademia per la vita – le case dovrebbero essere adeguate ai bisogni dell’anziano: «La presenza di barriere architettoniche o l’inadeguatezza dei presidi igienici – elenca la Pav -, la mancanza di riscaldamento, la penuria di spazio devono avere delle soluzioni concrete, perché quando ci si ammala o si diventa deboli, qualsiasi cosa può trasformarsi in un ostacolo insormontabile. L’assistenza domiciliare deve essere integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio». Per questo l’organismo vaticano ha segnalato una necessità urgente: «Di attivare – precisa – una presa in carico dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Ciò, per la Pav, richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale». Questo anche incrementando le figure dei care-giver e sostenendo le famiglie.

Queste direttive, per la Pav, possono essere tradotti in modelli di cura concreti, ovvero l’independent living, l’assisted living e il co-housing: «Un grande supporto – spiega la Pav – può derivare dalle nuove tecnologie e dai progressi della telemedicina e dell’intelligenza artificiale. Se ben utilizzati e distribuiti, possono creare, attorno all’abitazione dell’anziano, un sistema integrato di assistenza e cura capace di rendere possibile la permanenza nella propria casa o in quella dei propri familiari. Un’alleanza attenta e creativa tra famiglie, sistema sociosanitario, volontariato e tutti gli attori in campo, può evitare ad una persona anziana di dover lasciare la propria abitazione. Non si tratterebbe solo di aprire strutture con pochi posti letto, o di fornire un giardino o un animatore per il tempo libero. È necessaria, piuttosto, una personalizzazione dell’intervento sociosanitario e assistenziale. Queste esperienze consentono di vivere in un alloggio privato, godendo dei vantaggi della vita comunitaria, in un edificio attrezzato, con un sistema di gestione del quotidiano totalmente condiviso e alcuni servizi garantiti, come l’infermiere di quartiere. Ispirandosi al tradizionale vicinato, contrastano molti dei disagi delle città moderne: la solitudine, i problemi economici, la carenza di legami affettivi, il semplice bisogno di aiuto. Sono le ragioni fondamentali del loro successo e della loro larga diffusione in tutto il mondo».

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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